Un boato assordante svegliò Umon da un sonno agitato. Si girò tra le coperte, nervoso. Il suo sonno era dominato dai problemi che si stavano rivelando lentamente, a mano a mano che il progetto dell'istituto per le ricerche astronomiche andava avanti. Aveva ottenuto le sovvenzioni dal governo solo grazie a uno stratagemma. L'istituto avrebbe fatto parte di un complesso più ampio, una centrale idroelettrica su uno dei tanti corsi d'acqua che affiancavano il monte Fuji. Una centrale in grado di fornire energia a tutte le comunità della zona e tale da renderle indipendenti dalla lontana città di Tokyo.
Umon era stato entusiasta del progetto sin dall'inizio. La centrale idroelettrica avrebbe fornito anche tutta l'energia necessaria alle sue ricerche, e grazie a essa, avrebbe potuto utilizzare strumenti più potenti di quelli che aveva sperato all'inizio.
I problemi erano stati molti. Aveva dovuto difendersi dagli aguzzini e dagli opportunisti. Aveva tentato di appaltare il lavoro a grosse aziende giapponesi, ma subito si era accorto che queste miravano solo a incassare il denaro offertogli dallo stato e che non avevano alcuna intenzione di seguire le sue indicazioni, i suoi progetti.
Così aveva provato a mettersi in società con dei privati, ma anche in quel caso il progetto aveva preso una piega sbagliata.
Ora era solo, con i suoi sogni, i suoi progetti, i suoi disegni. Viveva in una baracca di legno in mezzo a una foresta. Veniva aiutato solo dai contadini della zona, come quel cowboy della fattoria Makiba. Era giovane e forte, ma la sua risolutezza stava cominciando a perdere colpi.
Si alzò dal letto, sudato. Sollevò due listelli dalla veneziana che teneva serrata sull'unica finestra del suo capanno. Un bagliore accecante colpì i suoi occhi «Che diamine!». esclamò lasciando immediatamente i listelli che teneva tra le dita.
Un secondo boato investì nuovamente la foresta.
Umon si gettò a terra istintivamente. Al suo fianco cadde il calendario appeso al muro con una semplice puntina. I suoi occhi si fissarono sulla data. Febbraio 1953. Per un istante i suoi pensieri tornarono alla seconda guerra mondiale. Era ancora un bambino ma le immagini di Hiroshima e Nagasaki non lo avevano lasciato indifferente. Quella esplosione, sembrava essere uguale a quella di una grossa bomba atomica.
Attese qualche minuto, con il cuore che batteva come un indemoniato, quindi cominciò nuovamente a respirare. Se fosse stata una bomba atomica l'onda d'urto lo avrebbe già spazzato via da tempo.
Si vestì con la prima cosa che trovò, e impugnò la vecchia Type 26 di suo padre. La pistola che aveva usato durante la guerra. Raccolse anche la torcia elettrica, e uscì dalla baracca di legno che ormai chiamava casa.
*
Il bosco tutto attorno alla baracca di legno era illuminato da una strana luce artificiale. Una luce potente e allo stesso tempo delicata. Umon spense la torcia ma la tenne in mano, come strumento di difesa. Non si fidava troppo della vecchia Type 26. Non sparava da oltre quindici anni, e già ai tempi della guerra mondiale era considerata un cimelio storico.
Avanzò nella neve, lentamente, attento a non fare rumore. I suoni sembravano tutti ovattati, forse a causa della recente nevicata, ma in ogni caso lontani dalla normalità della foresta. Sentiva lo scorrere del fiume, non troppo distante dalla baracca. Ma non udiva gli animali.
Il vento soffiava tra le fronde, in alto, tra le cime degli alberi. Umon si guardava attorno con attenzione. Aveva una strana sensazione. Come se una minaccia fosse nascosta tra quegl'alberi.
Avanzò, lento, circospetto, fino a giungere in un largo spiazzo circolare. Non ricordava quello spiazzo, però. Viveva nel bosco già da diversi mesi. Era sicuro che quello spiazzo non era mai esistito. Girò sul limitare della foresta, seguendo il raggio di quella radura circolare.
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