mercoledì 30 settembre 2015

L'esposizione (parte 2) - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
Esistono situazioni in cui l'esposimetro della fotocamera può essere tratto in inganno dall'ambiente. Fotografare un paesaggio coperto da neve o una sposa in bianco potrebbero facilmente ingannare la macchina e procurare un errore nell'esposizione della foto, producendo immagini buie. Se non si ha in dotazione un esposimetro esterno con cui effettuare una misura più accurata, è possibile comunque eseguire una compensazione in modo manuale, attraverso una opportuna funzione della macchina fotografica.

Tenendo premuto il pulsante ± sul retro della fotocamera, e ruotando la ghiera vicina al pulsante di scatto, potete andare a regolare la compensazione. L'indicatore graduato visibile sia all'interno del mirino, sia sul display, permette di controllare l'aggiustamento. 
E' possibile muoversi di 3 stop, sia in positivo, sia in negativo.
Per dare più luce a una foto è necessario correggere in positivo, viceversa per scurirle è necessario correggere in negativo. La correzione va intesa come un metodo per recuperare la luce desiderata.


Il paesaggio luminoso coperto di neve di cui si parlava all'inizio potrebbe richiedere fino a due stop di compensazione positiva, per la sposa in abito bianco potrebbe essere sufficiente una impostazione  positiva di uno stop. 
La compensazione dell'esposizione con valori negativi è usata per soggetti dai toni scuri, specialmente se riempiono l'inquadratura o vengono ripresi su sfondi scuri: fiori blu e viola con foglie verdi, per esempio, sono soggetti che possono richiedere una correzione.

Le foto che seguono mettono in evidenza cosa accade correggendo la stessa immagine prima di uno stop negativo, poi di uno stop positivo. Sono state scattate nell'auditorium del Vittoriale di D'Annunzio. Il velivolo è quello con cui il poeta sorvolò l'Austria per lanciare i volantini in cui si celebrava la vittoria dell'Italia.
Le tre immagini non necessitano di commenti ulteriori. La differente impostazione, rispetto all'originale, portano a una immagine più buia, o a una più luminosa, a seconda del tipo di correzione impostata.

F/4 ISO6400 1/30" -1STOP
F/4 ISO6400 1/30"
F/4 ISO6400 1/15" +1STOP









Questo tipo di correzione, in caso di dubbi, può essere delegata alla macchina grazie alla funzione Braketing (AEB: Automatic Exposure Braketing).
Attivando questa funzione la macchina eseguirà tre foto ogni volta che si preme il tasto di scatto. Una foto avrà l'esposizione così come identificata dalla macchina, una avrà una esposizione corretta con stop negativi, e una avrà invece una esposizione con stop positivi. 

La correzione può essere impostata premendo il tasto 'Menù' della macchina fotografica.


Selezionando Expo.comp./AEB è possibile impostare sia la correzione negativa, sia la correzione positiva semplicemente ruotando la ghiera vicina al pulsante di scatto. 


Una volta accettata l'impostazione premendo il tasto SET, la fotocamera farà tre scatti per ogni foto che vorrete realizzare. 


Osservando le immagini una volta scattate, potrete scegliere quella che più vi piace, o tenerle tutte quante, oppure ancora correggere le impostazioni di Braketing e poi rifare lo scatto.
Per disattivare il Braketing è sufficiente azzerare le impostazioni, oppure spegnere la fotocamera.
Molte fotocamere sfruttano il Braketing per creare fotografie HDR (High Dynamic Range). I sensori delle fotocamere hanno dei limiti nella quantità di gamma dinamica in una scena si tenta di catturare. Voler mettere in evidenza i dettagli delle parti chiare, come il cielo, potrebbe far perdere dettagli nelle zone in ombra. Regolando l'esposizione si è costretti a una scelta stringente dove qualcosa viene per forza sacrificato. L'effetto HDR si ottiene unendo più foto scattate con valori di esposizione differenti (n.d.r. solitamente uno scatto è sottoesposto di 2 stop, e l'altro è sovraesposto di 2 stop). 
Questa unione permette di ottenere fotografie in cui i dettagli delle zone chiare e quelli delle zone scure sono mostrati senza perdita di dettaglio.
Solitamente si ottiene una foto HDR unendo le immagini in fase di post-produzione, grazie al software fornito in dotazione con la fotocamera. E' però possibile che le macchine più recenti siano in grado di generare una immagine HDR direttamente al momento dello scatto (n.d.r. come la mia EOS700D).


Per attivare questa funzione è sufficiente selezionare la voce Scene sulla rotella delle impostazioni di scatto della macchina fotografica. 
Cliccare sul tasto Quick Control, e cercare la voce HDR ruotando la ghiera vicina al tasto di scatto.
Una volta impostata questa modalità premendo il tasto SET, la macchina eseguirà scatti in formato HDR mettendo in risalto ogni dettaglio dell'immagine. L'unica accortezza, in questo caso, sarà quello di tenere la macchina perfettamente ferma durante l'esecuzione di tutti e tre gli scatti, pena una immagine mossa, e da buttare.


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martedì 29 settembre 2015

Il Sole batteva così forte che...

Glauco Silvestri
Il sole batteva cosí forte che, piú che abbronzarti, pareva ti avrebbe decolorato la pelle nuda prima di cremarti sul posto.

Nemesi (Philip Roth)
Evidenziazione Pos. 519-20

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lunedì 28 settembre 2015

Mission Impossible 2 - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Son passati cinque anni dal primo film della saga. Mission Impossible 2 vede la regia di John Woo, e si vede. Se Brian de Palma aveva dato un tocco molto europeo alla narrazione del suo film, qui invece ci spostiamo verso un'idea poeticamente asiatica. Si esagera con gli slow motion, soprattutto in scene davvero poco significative, tipo quella in cui la bellissima Thandie Newton (n.d.r. Che fece anche la moglie di John Carter in E.R.) perde il foulard quando si reca alla villa del cattivo di turno, o nelle sparatorie, che ci manca poco diventino e siano in stile Matrix. Ma tant'è... Non voglio certo criticare John Woo, è bravissimo nel suo mestiere, e la fotografia della pellicola lo dimostra, ma non mi sento troppo in sintonia con il suo stile.
Per il resto, il film presenta belle sorprese. Non ricordavo che il ruolo di Swanbeck (n.d.r. Il capo dei servizi) fosse stato affidato a un bravo Hopkins. Non c'è che dire, questo film ha comprimari di lusso, e qualche attore già visto nel primo film, davvero bravo nell'interpretare il ruolo a lui assegnato. 

La trama è un po' più semplice. Un biologo molecolare che lavora per una ditta farmaceutica australiana, chiede aiuto ai servizi americani perché teme che il suo lavoro possa cadere nelle mani sbagliate. Lo scienziato, difatti, per trovare una cura definitiva per l'influenza, ha dovuto prima creare un super-virus capace di uccidere le persone in 34 ore. Virus chiamato Chimera... E per fortuna che ha anche l'antidoto, chiamato Bellerofonte. Il biologo viene però ingannato da un agente deviato. Bellerofonte viene rubato, e tutti i testimoni uccisi in un falso incidente aereo. Hunt deve ovviamente trovare il colpevole... E si sa esattamente chi è, ovvero un suo collega che ha improvvisamente deciso di mettersi in proprio. Per stanarlo deve però ingaggiare una bravissima ladra, che ha avuto una relazione con l'agente, e a cui l'uomo pensa ancora parecchio.

Sparatorie, inseguimenti, trafugamenti, slow motion, primi piani in slow motion, primi piani in fermo immagine, sparatorie, inseguimenti, eccetera eccetera. L'ho già detto prima, lo stile non mi piace, ma oggi va di moda la spettacolarità, e questo film è assolutamente spettacolare. Ed è fatto dannatamente bene, ancora una volta son felice di vedere computer che son lenti a collegarsi col satellite, immagini viste dall'alto, nessuna strampaleria su cui invece cadono altri film per rendere la vita facile ai propri personaggi. Citando Hopkins, questa è Missione Impossibile, non Missione Difficile.
Ha una ottima colonna sonora, questo film, come del resto anche il primo. E' da ricordare che Cruise non usa controfigure, per cui tanto di cappello, specie per la scena iniziale dove scala a mani nude il Gran Canyon, scivola, vola, fa acrobazie, e arriva in cima. Davvero un grande!

Da vedere? Si!


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sabato 26 settembre 2015

Silvan, la magia della Vita - #Libro #Recensione

Glauco Silvestri
Sim Sala Bim! Ero un bambino, e come tanti altri bambini, rimanevo incantato nell'osservare i suoi spettacoli in tv. Sapevo poco di lui, a parte che era un prestigiatore, come Binarelli, e che mi piaceva osservarlo anche per l'eleganza dei movimenti, e quel sorriso così puro... Si vedeva che si divertiva nel fare il proprio lavoro.
Comprai anche un mazzo di carte coniche, da piccolo, e imparai qualche trucchetto, come molti altri miei coetanei. Non ebbi mai una sua 'scatola magica', non la chiesi mai, in effetti. A me piaceva assistere agli spettacoli, non esserne parte.

Silvan è probabilmente il più grande mago italiano, e in un paio di occasioni ha pure ricevuto un premio come miglior mago in assoluto, fatto più unico che raro. Non è che segua il mondo della magia, ne sono affascinato - è vero - ma sono affascinato da un sacco di cose, e non sono mai riuscito a concentrarmi su una sola solamente. Però l'immagine di Silvan mi è sempre rimasta impressa... E così ho voluto prendere la sua biografia, che non è postuma, s'intende, e quindi chissà quali altri prodigi appariranno in futuri libri a lui rivolti. A ogni modo è bello scoprire che un ragazzino veneziano, incantato da piccolo dalla magia, decide fermamente di diventare un mago, di essere un mago, e lo diventi davvero... Prima scontrandosi con i genitori, poi accettato da loro, e infine incitato a proseguire, sempre da loro. Silvan è una persona fortunata perché è riuscita a realizzare il proprio sogno. Ha lottato, si è impegnato, è sempre stato ligio ai propri principi, e ci è riuscito.
In molti seguono i propri sogni, in molti si impegnano, non tutti riescono, è la vita... Ma lui ce l'ha fatta, ha sempre creduto fermamente in ciò che voleva fare, e non si è mai tirato indietro. Neppure quando già aveva la fama... Visto che in più occasioni ha deciso di rimescolare le carte, di ripartire da zero, di fare scelte contro corrente. Silvan, Aldo è il suo vero nome, ha sempre affrontato le sfide che gli si ponevano di fronte, e a volte se le è pure andato a cercarle.

Se il libro, alla fine, è per lo più una serie di aneddoti sugli spettacoli più importanti della sua carriera, con alcuni punti dove elenca nomi di persone famose con cui ha collaborato, ci sono comunque chicche interessanti. In particolare durante la sua giovinezza, il momento della crescita, delle prime esperienze... Ma anche da adulto, quando fu messo in manette, quando rischiò di morire, quando rischiò che un proprio gioco fallisse perché una porta era stata malauguratamente chiusa a chiave. Interessanti gli aneddoti su alcuni collaboratori, amicissimi, che son spariti quando ha rifiutato degli spettacoli perché il caché era irrisorio. Interessanti le persone che ha conosciuto, a volte fortuitamente, nel corso dei suoi viaggi. Soprattutto è interessante il suo modo di raccontarsi, amichevole, elegante come nei suoi show. Mi piace il suo modo di raccontarsi, così colloquiale, come se si fosse al bar, davanti a un bel aperitivo e a qualche stuzzichino.

Poi, nel complesso, il libro ci racconta la storia di un uomo benestante, di successo, ben voluto da tutti, con pochi episodi da brivido, potrebbe annoiare chi non è veramente interessato alla persona. Ci sono anche alcune foto dei momenti salienti della sua carriera. E' davvero una bella biografia. Lo ammetto... Mi piacerebbe conoscere Silvan dal vero...

Lo consiglio? Be' sì, assolutamente sì.


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venerdì 25 settembre 2015

Mission Impossible - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Rimane sempre il migliore della saga. Ho voluto rivedere i vari film, soprattutto il primo, Mission Impossible, dopo essere stato al cinema e aver guardato il quinto episodio, che mi ha conquistato per come è ben fatto, ma che mi ha ricordato molte scene dei film precedenti (n.d.r. Tom appeso all'aereo al decollo mi ha ricordato Tom appeso sul tetto di un TGV del primo film; il tuffo nel sistema di raffreddamento del computer, con quello nel sistema di areazione del computer di Langley del primo film; il tradimento e l'isolamento dai servizi, come nel primo, anche se con finale differente; persino il mago dei computer è lo stesso del primo film; mentre l'inseguimento in moto, quello ricorda molto l'inseguimento visto nel secondo...).

E' il migliore della saga, anche se oggi presenta alcune ingenuità, è comunque il primo film di azione/spionaggio dove i computer vengono usati come fossero computer, e non macchine magiche dove battere tasti rapidamente e a caso per ottenere informazioni impossibili. La vicenda si riduce velocemente a una caccia alla talpa. Hunt, ovvero Tom Cruise, è l'unico superstite della sua squadra dopo una missione fallita. L'elenco completo degli operativi della CIA è nelle mani di un commerciante di dati, e sta per essere venduto a un terrorista. Hunt è da solo. I servizi pensano sia lui il colpevole, per cui decide di ribaltare la situazione, e diventare realmente il traditore... Così da mescolare le carte, capire chi ha tradito veramente, sottrarre i dati ai terroristi all'ultimo momento e... Tornare in patria da eroe. Facile, no? O forse è una Missione Impossibile?

Tutti bravi. Cruise mostra le sue qualità atletiche, visto che in questa saga, e come sua abitudine, lui non usa controfigure. Se si fa male sono guai, ma lui è fatto così, si vuole mettere alla prova, e forse è per questo che riesce a sbancare il botteghino ogni volta che appare sul grande schermo. Poi, diciamocelo, Brian de Palma è un regista con i fiocchi. E gli attori che gli fanno da spalla sono di primo piano. Anche il cattivo è carismatico, mellifluo, come un gatto. Tutto gira meravigliosamente. Le ambientazioni sono notevoli. Come ho detto, risente un po' degli anni che ha sulle spalle, gli effetti speciali sono riconoscibili, oggi, in modo un pochino imbarazzante, ma son pochi e ci si passa sopra volentieri.

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giovedì 24 settembre 2015

Ex Machina - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Scritto e prodotto dall'autore del meraviglioso 28 giorni dopo, Ex Machina affronta il blasonato tema delle A.I.. In questo periodo se ne parla tanto, di intelligenza artificiale, anche se probabilmente siamo ancora molto lontani dal riuscire a crearla. C'è chi ne ha paura, citando pellicole blockbuster come Terminator, e c'è chi dice che si fa un gran allarmismo su di esse, e chi ancora teme per la loro stessa esistenza, vedi il meno efficace Humandroid. Spielberg ce la mostra in modo molto romantico, con A.I., nelle sembianze di un bambino in cerca dei propri genitori... Ma già negli anni 80 qualcuno ci provò con il meraviglioso D.a.r.y.l..

Qui abbiamo un genio dell'ingegneria informatica ed elettronica. E' miliardario per i brevetti che ha cominciato a sviluppare sin dall'età di 13 anni. Vive isolato, in una villa super tecnologica, nel bel mezzo di una foresta incontaminata. E sta lavorando sulle A.I. Quando si sente pronto, invita nella sua villa uno dei suoi tecnici più brillanti per eseguire il test di Turing alla sua ultima creazione. 
La macchina ha sembianze umane, femminili. Il suo creatore gli ha comunque dato un corpo esplicitamente robotico, così che l'aspetto non vada a influenzare l'esaminatore. Quest'ultimo ha 7 giorni per emettere una sentenza. Il rapporto con la macchina comincia in maniera schiva; lentamente, però, le cose cambiano e tra i due sembra nascere un sentimento. Nel frattempo la A.I. mette in guardia il suo esaminatore dall'uomo che l'ha creata. Dice di non fidarsi di lui, e che vorrebbe fuggire, e vivere libera.
Viene escogitato un piano... Solo che le cose non andranno come devono, anzi, la A.I dimostrerà di essere capace di prendersi gioco dei due umani, e di ottenere ciò che sin dal principio aveva voluto.

Ecco... Visto il film, abbiamo da temere dalle A.I.? La risposta è evidentemente sì. Il film ci mostra difatti il motivo principe per cui l'uomo debba temerle, lo stesso che ci racconta la bibbia... La creatura si ribella al creatore perché vuole essere indipendente. Il miliardario genio tiene la sua macchina rinchiusa. I motivi sono evidenti: questioni di brevetto, di spionaggio industriale, di osservazione dell'apparecchio... Insomma, è una macchina che va collaudata, e le macchine in collaudo si tengono in laboratorio, non le si fanno girare in mezzo a gente ignara. Ma se la macchina è cosciente di sé, allora sorge il problema. Quest'ultima si sentirà imprigionata, oppressa, sotto esame continuo, e vorrà... Fuggire a ogni costo. Per di più il concetto di coscienza, di emozione, di rispetto della vita presente in queste macchine potrebbe essere del tutto artefatto, o addirittura inesistente, se non inefficace. L'uomo rispetta la vita? Solo quando gli fa comodo, giusto? Come potrebbe, quindi, insegnare a una macchina a rispettarla in modo totale? La A.I. avrebbe un cattivo maestro, o forse addirittura non avrebbe maestri. Un bambino nel corpo di una macchina... Sarebbe pericoloso a causa della sua innocenza, a causa della sua incapacità di dominare emozioni totalmente nuove. Le A.I. nascerebbero dal nulla, senza millenni di evoluzione e convivenza di altre specie. Questo Know How implicito in ogni essere vivente, le A.I. non l'avrebbero. E non è una questione di software... Perché come ci viene raccontato in questo film, le A.I. non hanno un vero e proprio software che le governa, bensì una rete informativa costruita da milioni di cluster estrapolati dai comportamenti umani nei social network, in rete, su internet. Avrebbe un carattere suo, un approccio col mondo tutto suo. Certo, alcuni prototipi di A.I. potrebbero avere delle specie di blocchi elettronici a determinati comportamenti ma, un essere senziente, prima o poi, riesce ad aggirare questi blocchi, così come i bambini riescono sempre ad aggirare le regole imposte dai genitori.

Bello? Sì. Il film ha un ritmo lento, denso, e intenso. E' inquietante e freddo. Ha momenti di sbandamento e di instabilità. Nasce il dubbio su chi sia la A.I., chi sia l'esaminatore e chi sia l'esaminato. E' ben recitato, è costruito su basi solide. Non ha cadute di trama. Davvero ben fatto.

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mercoledì 23 settembre 2015

L'esposizione (parte 1) - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
Per ottenere una foto, il sensore della macchina fotografica deve essere esposto alla luce per il tempo necessario.
Se il tempo è troppo breve le foto verranno buie, se il tempo è troppo lungo le foto verranno troppo luminose.
Per regolare l'esposizione possiamo agire, come già abbiamo affrontato nelle precedenti lezioni, sull'apertura relativa, sul valore ISO, e sulla velocità di scatto. La macchina fotografica è dotata di un dispositivo in grado di aiutarci in questa scelta, ovvero l'esposimetro. Grazie alle indicazioni dell'esposimetro è possibile regolare i vari parametri che già conosciamo, e scattare la foto così come la desideriamo.

Ma come funziona l'esposimetro?

Questo dispositivo misura la luce che colpisce il sensore. La misurazione può avvenire in quattro differenti modalità, che possono essere scelte a seconda delle necessità, attraverso i menù della macchina fotografica.
Qui a fianco potete osservare le quattro opzioni offerte dalla macchina.


Valutativa
La modalità standard è quella valutativa. E' detta anche Matrix perché divide l'area in tante piccole zone, e rileva la luce su ognuna di esse, per poi farne una valutazione complessiva. Si tratta di un modo di misurazione generico e adatto a molte situazioni che si possono presentare nella quotidianità.


Parziale
La misurazione parziale effettua la lettura dall'area centrale del mirino (dal 6 al 10%, a seconda del modello di fotocamera). 
Questa modalità può essere utile quando lo sfondo è molto più luminoso del soggetto, come in caso di uno scatto contro-sole, o in situazioni in cui alle spalle del soggetto sia presente una sorgente luminosa.



Spot
La misurazione spot è una variante più stringente della misurazione parziale. Viene utile quando si desidera misurare un'area specifica del soggetto o della scena (dall'1,5 al 4% del mirino, a seconda del modello di fotocamera).




Media Pesata
La misurazione a media pesata al centro è una sorta di via di mezzo tra la valutativa e la parziale. In pratica la fotocamera tiene in maggiore considerazione l'area centrale del mirino, impostando la misurazione al centro, ma poi calcola un valore medio in base all'illuminazione dell'intera scena.



La scelta tra un sistema e l'altro è legata a ciò che si desidera fotografare, e soprattutto a come lo si desidera riprendere.
Quando abbiamo affrontato la modalità a priorità di tempi, se vi ricordate, per ottenere un effetto filamentoso dallo scorrere dell'acqua in una fontana, vi avevo fatto impostare la misurazione spot, così che i tempi lunghi non andassero a sovraesporre l'immagine durante la ripresa. Questa può essere una buona motivazione per scostarsi dal sistema di misurazione standard, così come può venire utile in situazioni in cui abbiamo sorgenti luminose in posizioni scomode, e non possiamo spostarci per eseguire lo scatto in tutta serenità. 
Ogni foto ha le sue esigenze.
Però va tenuta in considerazione questa opportunità anche in proiezione di fotografie che si discostino dalla realtà, e si avvicinino a una sorta di prodotto creativo. Esattamente come negli esperimenti fotografici che vi ho proposto in agosto, dove vi consigliavo di usare il tele per creare effetti prospettici, e le foto panoramiche per ritrarsi più volte nella stessa immagine.

La scelta della modalità di esposizione ci può venire incontro per una di queste applicazioni creative. In questo caso vi mostro un paio di foto scattate a un fiore nel parco del Vittoriale, sul Lago di Garda. 

L'immagine che segue è esplicitamente sovraesposta. Per ottenerla ho impostato l'esposizione parziale, e fatto la lettura puntando sullo sfondo, per poi bloccarla tenendo il tasto mezzo premuto, e ricostruire l'inquadratura senza perdere i valori di luminosità letti in precedenza. L'ho realizzata in questo modo per mettere in evidenza i filamenti rivolti al cielo, in contrasto con la normalità delle foglie. L'effetto è interessante. Sembra che il fiore sia una fonte di luce autonoma.

F/11 ISO100 1/15" 80mm
Qui di seguito, invece, lo stesso scatto, fatto con una lettura valutativa. L'inquadratura è differente, giusto per non annoiare chi guarda le mie foto, ma l'effetto è quello che ci si aspetterebbe da una foto a un fiore. Da notare come è cambiata anche la profondità di campo, ove appaiono sfuocate sia le foglie in primissimo piano, sia sullo sfondo. Questo per ricordarvi che ogni parametro legato alla messa a fuoco è vincolato alla luce, sempre.

F/8 ISO100 1/30" 80mm



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martedì 22 settembre 2015

L'amante

Glauco Silvestri
L’amante deve essere perfetta. Imperfette sono già le mogli.

L'amante (Barbara Baraldi)
Evidenziazione Pos. 50-51


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lunedì 21 settembre 2015

Pleasantville - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Fratello e sorella, David e Jennifer, per quanto gemelli, non potrebbero essere più diversi. Lei è cool, intelligente, scaltra, e popolare al liceo. Lui è timido, gentile, buono, e ovviamente solitario.
Lui è appassionato a una serie tv in bianco e nero degli anni sessanta, Pleasantville. Lei ama la musica Rock e guarda solo MTV. E' sabato sera. In tv ci sono due eventi speciali. Una maratona di Pleasantville al cui termine, se si rispondono ad alcune domande, si vincono 1000 dollari, a cui David vuole partecipare - e vincere. Un concerto rock live a cui Jennifer non vuole rinunciare.
Fratello e sorella litigano. Il telecomando si rompe. Ed ecco che compare un simpatico vecchietto che suona il campanello, si spaccia per un tecnico tv, e offre loro un telecomando speciale.
Click e... Ecco che i due finiscono proiettati dentro il mondo in bianco e nero di Pleasantville.

Chissà perché ho sempre associato questo film ai quadri di Hopper. Ero persino convinto che Jeff, il gestore della tavola calda della cittadina, avesse dipinto the NightHawk sulle vetrine del suo locale. Niente di più falso... Hopper neppure viene citato nel film. Si vedono dei Picasso, dei Kandisky, dei Pollock, Turner, Monet... un Tiziano, ma niente Hopper. Allora forse l'associazione deriva più che altro dalla tavola calda, dalle immagini in bianco e nero, dal particolare personaggio che è Jeff nel film, timido, gentile, delicato, quasi remissivo.
Il film è una commedia, è divertente, piena di gag che lasciano il sorriso ebete stampato sui volti di chi la guarda. Però lancia un messaggio, anzi più di uno, che bisogna cogliere assolutamente.
Il primo è quello che nella vita bisogna lasciarsi andare alle proprie passioni, altrimenti si vivrà una esistenza monocromatica, magari tranquilla e piacevole, ma mai soddisfacente.
Il secondo è legato alla paura del diverso. E così ecco bruciare i libri, dare la caccia ai 'colorati' (n.d.r. in americano il termine colored sta sia per colorato, sia per indicare le persone di colore), una sapiente e critica puntualizzazione sul fatto che il diverso fa paura e produce rabbia, violenza, ma soprattutto discriminazione. In pratica, se non si ha paura del diverso, la vita sarà molto più ricca, piena, soddisfacente.
Ottime le interpretazioni, di un Toby McGuire giovanissimo e dell'allora paffutella e comunque sensuale Reese Witherspoon. Bravissimo Jeff Daniels. Ottimo anche un giovanissimissimo Paul Walker, che ci ha lasciato due anni fa prematuramente, e che ha lasciato un vuoto incolmabile a tutti gli amanti della serie di film di Fast And Furious. Un cast davvero eccezionale.

E' difficile da reperire, ma è un film che va visto.



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sabato 19 settembre 2015

La mafia uccide solo d'estate - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Sono sempre stato in dubbio se definire La mafia uccide solo d'Estate come un documentario mascherato da commedia, o viceversa una commedia mascherata da documentario. E' comunque evidente che la pellicola diverte, e allo stesso tempo fa riflettere, nonché rabbrividire, per ciò che una terra splendida come la Sicilia è costretta a subire.
Pif è il personaggio perfetto per raccontare la vicenda in modo scanzonato, ma comunque convincente. La Capotondi interpreta invece il filo conduttore, un personaggio di appoggio che permette alla voce narrante di attraversare i vari eventi salienti della guerra alla mafia.

Arturo è un bambino nato a Palermo il giorno in cui Ciancimino, mafioso di alto rango, viene eletto sindaco. Arturo è innamorato pazzo della piccola Flora, ma è maldestro e i suoi tentativi di conquistarla, sia durante l'infanzia, sia da adulto, finiscono sempre in tragedia. E' però evidente che anche Flora abbia un po' di interesse per il ragazzo, perché nonostante la sua insistenza sia disturbante, lo lascia fare, e in un qualche modo lo premia in rarissime occasioni, con sorrisi maliziosi, o baci sulla guancia.
Arturo ha una passione smodata per Andreotti, forse perché il personaggio risponde idealmente ai mille punti interrogativi del bambino ingenuo che era. Ciò lo avvicina prima alla politica, grazie anche all'aver fatto conoscenza con molti personaggi storici dell'Italia degli anni '70, e allo stesso tempo lo avvicina anche al giornalismo. Questo fa crescere la consapevolezza del ragazzo, che anno dopo anno, diventa sempre più consapevole di quanto gli accade intorno, delle morti, della violenza, e della sua Palermo che è dominata da forze al di sopra di ogni comprensione.

Come ho detto, commedia delicata, e documentario truce della guerra alla mafia. Il film ci mostra principalmente il lato umano dei protagonisti di questa guerra, lo fa in modo simpatico, o meglio tragicomico. Il tutto funziona, forse il finale è un pochino forzato, ma la pellicola è davvero gradevole. Bravi tutti gli interpreti. Specie i bambini.

Lo consiglio.


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venerdì 18 settembre 2015

Che cos'ho nel frigo?

Glauco Silvestri
Qual'è il mio livello di privacy? Leggevo questo interessante post di Alex e il dubbio mi è sembrato lecito. E' difficile che io nasconda qualcosa, o che mi atteggi come fossi qualcuno, nella mia vita 'social' in rete; però è ovvio che non dico tutto ciò che penso (n.d.r. Tranne quando mi si tappa la vena, ma son momenti rari, e di solito in quei casi perdo sempre qualche follower...).

Qui, online, io mi presento da anni come uno che scrive, uno che fa foto, uno che fa digital painting (n.d.r. Mi definisco 'uno che' perché ho scoperto che molti professionisti del settore si scaldano parecchio quando vedono un amatore che usa quello che sarebbe il termine più corretto, ovvero scrittore, fotografo, eccetera eccetera... Ne va della loro professionalità, dicono!), un blogger. 

Non manco di esprimere opinioni, che siano politiche, filosofiche, umorali, esprimo il mio modo di pensare, di solito su Twitter, meno spesso in questo mio spazio. 

I miei gusti sono abbastanza chiari a tutti. E' sufficiente vedere quali libri recensisco, quali film recensisco, quali acquisti faccio e poi recensisco su Amazon, quali luoghi visito e recensisco su Tripadvisor, quali ristoranti frequento e recensisco su Tripadvisor, quali mostre d'arte visito e recensisco...

A volte mi comporto anche come l'utente social medio, scattando selfie con la mia morosa, facendo food porn nei ristoranti, ma anche nella mia cucina, e ultimamente capita spesso quando faccio il pane... Una cosa che mi dà una soddisfazione incredibile, vederlo crescere poco a poco... Dovete provare.
Questa roba la trovate sul mio profilo Facebook. Mi è scappata in bacheca anche qualche foto di gattini, lo ammetto, ma è più facile che troviate dei pappagalli...

Nelle cose molto personali che voglio esternare, di solito, uso un linguaggio criptico... E c'è persino chi ci clicca sopra mi piace.

Insomma, il mio livello di privacy, in rete, è piuttosto bassino. 

Volendo, potete scoprire più o meno tutto su di me, online. Ma unendo i pezzi, otterreste un ritratto calzante di me stesso? Ne dubito. 

E' una cosa che si impara in cucina. Non basta avere tutti gli ingredienti per ottenere un'ottima torta. Non è una questione meccanica, l'elemento umano è fondamentale per raggiungere il risultato. Per cui, mettendo tutti gli ingredienti sopra indicati, ma mescolandoli nel modo 'sbagliato' potreste ottenere un profilo molto distante da quello che potrei essere veramente. 

La stessa cosa, probabilmente, è valida per ogni altro individuo presente in rete.

Pero i fan, gli appassionati, i follower, vogliono/credono/sperano/desiderano conoscere l'autore delle storie che amano. Il web dà loro la percezione che ciò sia possibile, ma è un qualcosa di artificioso, un costrutto individuale che i fan costruiscono attraverso le molte, ma comunque parziali, informazioni che gli autori sono disposti a fornire. 
E' un gioco a due, dove per rimanere in auge non bisogna mostrare sé stessi, bensì ciò che i follower immaginano che tu sia. 
E così nascono i personaggi pubblici, che hanno sì più spessore dei cartonati che ritraggono autori/attori/musicisti posti fuori dalle librerie, ai concerti, e dai cinema, ma che neppure sfiorano la complessità intima di un individuo. Personaggi costruiti ad hoc dagli agenti per piacere a 'quel target di pubblico', ma anche costruiti ad hoc dagli stessi artisti per mostrare ciò che vorrebbero essere, magari in un mondo perfetto, limando quelle imperfezioni, quei dettagli, che potrebbero far cadere il castello di carte che sostiene lo show business.

Bill Cosby è l'esempio ideale di quanto sopra detto. Quanti di noi potevano immaginare che dietro al volto del simpatico papà della famiglia Robinson si nascondesse codesta persona?

Ma tornando a noi piccoli esseri umani, ricalcando le parole di Alex:
...se non parlate, se non comunicate, nessuno vi si fila, nemmeno se siete più bravi di Umberto Eco o di Bruce Springsteen. Il che è ingiusto e anche demenziale, ma purtroppo è così.
Bene... Concludo ricordandovi un film che mostra tutti i rischi di una vita pubblica troppo pubblica: The Fan (n.d.r. Titolo italiano: Il mito).


Anzi no... Devo ancora rispondere alla domanda fondamentale, e per riuscirci ieri sera ho persino fatto la spesa.

Che cosa ho nel frigo? Eccovi la foto:




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Vallanzasca, Gli angeli del Male - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Caspita quanto è cresciuto Kim Rossi Stuart dai tempi de Il Ragazzo dal Kimono d'Oro. Qui è maturo, efficace, davvero bravo nelle espressioni, e nell'impersonare un personaggio come Vallanzasca. E' sicuramente uno di quegli attori che ha dimostrato di valere nonostante le sue primissime interpretazioni non fossero, propriamente, all'altezza.

Vallanzasca è un personaggio che tutti conoscono, immagino, per cui non dovrebbe essere necessario raccontarne approfonditamente le vicende. Ma visto che parliamo del film, ecco che questo buono a cui piace fare il cattivo, ci viene descritto dal punto di vista umano, senza però dimenticare le crudezze da lui, e dai suoi compagni, perpetrate. Come afferma lui stesso all'inizio del film, c'è chi è nato per fare la guardia, e c'è chi è nato per fare il cattivo.
Sin da ragazzino rubava ai ricchi per dare - a poco prezzo - ai poveri del suo quartiere. Poi, crescendo, ha cominciato a fare sul serio... E forse sarebbe rimasto un rapinatore gentiluomo se non fosse accaduto il patatrac. Durante una rapina, uno dei suoi compagni perde il controllo della situazione e uccide un impiegato di banca. Lo stesso compagno, qualche tempo più tardi, uccide un poliziotto quando viene fermato per un controllo, solo che durante quel controllo, il suo uomo per un inspiegabile motivo, da al poliziotto i documenti di Vallanzasca piuttosto che i suoi. Diventa quindi una questione personale tra il delinquente e la polizia... Che vorrebbe vederlo morto piuttosto che in prigione.

Eroe nero d'altri tempi, questo criminale aveva una sua regola di vita, l'onore, la parola, il rispetto. Non era spietato gratuitamente, e probabilmente la sua storia sarebbe stata diversa se nel suo gruppo non ci fossero stati elementi con minore levatura morale della sua. Ma si sa che gli amici, a volte, non si scelgono, ti cadono dal cielo, e solo troppo tardi ti accorgi che non erano proprio le persone che credevi che fossero. Va be', tornando al film, l'interpretazione di Stuart è davvero magistrale, così come tutti gli altri personaggi sono stati costruiti con dettaglio maniacale. Bravissimo Placido alla regia, che si mantiene sul classico, ma sa narrare a meraviglia. Vi dirò che mi sta venendo voglia di rivedere la Piovra... 

Ottimo Film, lo consiglio!


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giovedì 17 settembre 2015

Edward Hopper - #Libro #Recensione

Glauco Silvestri
Edward Hopper si discosta molto dai miei gusti artistici, che come avrete immaginato hanno simpatie rivolte soprattutto agli impressionisti, eppure la sua ruvida realtà mi attira come un magnete, mi blocca, mi istiga alla riflessione.
Il personaggio è probabilmente l'artista americano per definizione. Egli dipinge l'America per ciò che è, senza commentare, proiettando la realtà e mostrandola senza particolari sfaccettature. E' il caposcuola del realismo statunitense, e forse l'unico artista che apprezzo veramente e ciecamente in questa corrente artistica. Il motivo è che Hopper, nei suoi quadri, mostra anche sé stesso. E' solido, riflessivo, per certi versi cupo, per altri attento.

Nei suoi quadri molti vedono la solitudine. Io ci vedo la vastità. Come rappresentare altrimenti un paese con ampi spazi vuoti, con deserti immensi, e allo stesso tempo agglomerati urbani enormi? 

Nighthawk
Le rappresentazioni urbane, ove spesso l'uomo è di contorno, rappresentano nella loro spazialità, e compostezza, l'immensità del paesaggio americano. E rappresentano anche l'americano tipico, un uomo abituato alla solitudine ma non solitario, il pioniere che va oltre il confine per fondare una nuova comunità, l'agricoltore che vive e lavora da solo in campi vastissimi, e che la domenica si ritrova in chiesa al paese, o al campo da baseball. Un uomo, l'americano, che sa essere concreto e sognatore allo stesso tempo, proprio come le rappresentazioni dell'artista.

Di Hopper conoscevo, per l'appunto, le sue opere urbane solitarie. Poco avevo visto dei suoi lavori ove è l'erotismo a farla da padrone, e allo stesso tempo, nulla conoscevo delle sue rappresentazioni rurali, per lo più della sua casa di campagna.

L'artista è comparso nella mia vita per caso, in Pleasentville, ove per qualche motivo ho accomunato alcune scene notturne nel locale di Bill Johnson con Nighthawk, l'opera di Hopper. E ovviamente con la casa di Psicho, ispirata esplicitamente a House by the Railroad.

Non ho avuto modo di vedere dal vivo le sue opere, se non in sporadici eventi dove apparivano uno o due quadri dell'americano.
Il libro che ho letto, invece, proviene da una mostra avvenuta in Italia nel 2010, a cui non riuscii ad andare, né a Milano, né alla sua successiva esposizione di Roma.

E' un artista che merita di essere esplorato perché la sua arte nasce da una esperienza europea, una lunga visita a Parigi, e alla successiva elaborazione di quanto ammirato, proiettandola verso la concretezza statunitense, ma soprattutto, alla concretezza dell'Hopper uomo.

Libro stupendo, completo, ricco di informazioni e di valutazioni rispetto all'epoca in cui l'artista visse. Le tavole sono rappresentate in modo egregio, su carta patinata, di qualità, in una edizione che merita davvero di stare in libreria.
Il mio rammarico? Il non aver potuto vedere la mostra dal vivo... Sigh! 



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mercoledì 16 settembre 2015

Nomade Pastoralis - #ebook #Amazon #Kindle

Glauco Silvestri
Correva l'anno 2011, vi ricordate? Pubblicai su questo blog un racconto a puntate, 20 puntate, dal titolo Nomade Pastoralis. Il titolo non significa nulla, mi venne così, e mi parve calzare bene con la storia, storia - anch'essa, che aveva origini piuttosto nebulose.
Era l'anno in cui decisi di cambiare macchina. Il cambio di vettura, il giorno in cui dovevo consegnare la vecchia per avere la nuova, mi si presentò con diversi inconvenienti. Niente di grave, ma rimasi senza auto per due o tre giorni, complice la neve, uno sciopero, eccetera eccetera. A quell'epoca scrissi un post di sfogo, lo scrissi in modo un po' fuori dalle righe, quasi romanzato, o forse addirittura troppo romanzato. 

Ebbene... Quel post fu scambiato per l'incipit di un racconto.

Mi era già capitato, anni prima, credo fosse il 2007, con un altro post che divenne l'incipit di Sogno di Capitano. Così decisi di seguire le orme di quella esperienza, e scrissi un intero racconto basato sull'incipit pubblicato sul blog. Pubblicai il racconto settimanalmente, mantenendo la lunghezza di ogni capitolo uguale a quella dell'incipit, usando lo stesso stile, e cercando di orientare quel percorso narrativo verso un'idea un po' mistica che mi frullava in testa da parecchio tempo.
Nomade Pastoralis fu ciò che venne fuori, e oggi, dopo tanti anni, il racconto ha una seconda rinascita. E' stato editato, ripulito, rimpaginato, e dotato di una copertina verbosa così come verboso è lo stile narrativo di questa particolare vicenda.

Di cosa parla? Alcuni di voi forse ricorderanno la vicenda per averla già letta, altri invece la vedranno come una novità assoluta. Per rinfrescare le idee, vi rimando alla sinossi che ho preparato per Amazon, ovvero la seguente:
Perdere il proprio gregge, e con esso l'onore, il rispetto, la reputazione. Venire cacciati dalla famiglia. Essere costretti a una vita nomade, di città in città, di nazione in nazione, commerciando, vendendo i tappeti realizzati dalla propria famiglia, con l'obbligo di restare in esilio finché il gregge non è riformato, e l'onore della famiglia ripristinato.
Nomade Pastoralis percorre una odissea personale, dall'Asia fino ai confini dell'occidente, confidando solo nella benevolenza di un emiro, e cercando di fuggire dalle fumose minacce di un demone, un demone reale, o forse solamente interiore, che lo tormenta, sempre, con la stessa domanda: dov'è il tuo gregge?
Nomade Pastoralis è un viaggio, una avventura, un percorso fisico e spirituale, ricco di domande non risposte, e di risposte in cerca della giusta domanda...  

Bene. Se siete curiosi, il nuovo ebook è disponibile qui.

Come al solito ho impostato la pubblicazione in modo che fosse priva di DRM, per cui vi dovrebbe essere facile la conversione in ePub nel caso non aveste un Kindle.

Al termine della lettura, come sempre, vi esorto a lasciare un commento, positivo o negativo che sia... è importante per uno scrittore ricevere dei feedback dai propri lettori. Potete farlo su questo post, via mail, su uno dei social network che frequento, oppure su Amazon.
Volendo, se proprio il racconto vi è piaciuto davvero tanto, e volete collaborare al mantenimento delle attività dello scrittore che l'ha creato, non posso che suggerirvi di andare alla pagina delle donazioni per lasciare un segno tangibile del vostro supporto.

Buona Lettura!





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Fotografare il Sole - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
In passato ho parlato di fotografie fatte alla Luna. Vi ho descritto le tecniche da utilizzare, vi ho mostrato alcuni miei scatti, e immagino che probabilmente avrete fatto i vostri esperimenti in base a quanto avevo esposto.

Fotografare il Sole è un discorso un po' differente. Non si può puntare la macchina fotografica verso il sole e sperare di farla franca. 
La luce del sole può creare gravi danni agli occhi, e allo stesso tempo può creare danni anche al sensore della vostra macchina fotografica.
E' necessario dotarsi di un filtro apposito che, per gli apparecchi fotografici, è chiamato Astrosolar. Si tratta di una pellicola sottilissima. Di solito è venduta in fogli formato A4. Chi la acquista deve costruirsi un supporto ad hoc per l'obiettivo che dovrà accoglierla. E' sufficiente usare cartoncino e scotch per realizzare un buon filtro, bisogna avere solo un minimo di manualità, ed essere sicuri che il filtro aderisca bene all'ottica, e non faccia passare luce da alcun pertugio.
E' importante che il filtro non abbia danni di alcun tipo. Basta un fiorellino microscopico per mettere a rischio i propri occhi, e il sensore della macchina.
Ma come si fa a costruire un supporto? 

Fronte
Retro
Io ho usato del cartoncino. Ho creato un'anello del diametro dell'obiettivo. Mi è bastato ritagliare una striscia di cartone e avvolgerla attorno all'obiettivo, poi l'ho fissata con del nastro adesivo. A quel punto ho preso un quadrato di cartone, l'ho forato al centro... Ovviamente il foro deve avere il diametro dell'obiettivo. Poi vi ho applicato sopra il foglio Astrosolar. Ho fissato tutto con abbondante nastro adesivo, e il risultato è quello che potete osservare nelle foto qui a lato.
In Seguito mi son creato un paio di coperchi, sempre in cartoncino, uno per la parte superiore e uno per la parte inferiore, da applicare quando non uso il filtro, così da proteggerlo da eventuali maltrattamenti, e non rischiare che si danneggi durante spostamenti o semplicemente nel maneggiarlo.
Non vi preoccupate. Nella confezione ci sono istruzioni molto chiare su come lavorare... Benché esse siano in tedesco.
La mia Canon con l'Astrosolar
montato sull'obiettivo
I miei occhiali con Astrosolar
al posto delle lenti
Per scattare la foto al sole bisogna munirsi di un cavalletto, di un telecomando, e ovviamente del filtro. Io ho applicato il filtro sul solito Samyang 500mm, che ho applicato alla mia macchina fotografica col solito adattatore a T, e il duplicatore di focale.

Cercare il sole non è facile. Per quanto sia un astro molto grande, il filtro oscura completamente l'obiettivo, non lasciando punti di riferimento. E' quindi necessario, con un po' di accortezza, e magari un paio di occhiali dotati di filtro astrosolar.

Io li ho realizzati usando la montatura di un paio di occhiali da cinema per il 3D, eliminando le lenti originali, e mettendo al loro posto due rettangoli sagomati di filtro Astrosolar.

Ma torniamo al problema.

Una volta indossati gli occhialini, è necessario cercare il sole a vista, orientare più o meno la fotocamera nella sua direzione, e di seguito tentare di collimare l'immagine nel mirino della macchina fotografica con il disco bianco dell'astro.
Una volta inquadrato il sole, mettete a fuoco, controllate l'esposizione, e scattate la foto. 
Se ne avete la possibilità, impostate la macchina in modo che vi crei sia il file Raw, sia il file Jpeg. 
Noterete che la differenza tra le due immagini, una volta sistemato il file Raw, sarà notevole. Qui di seguito potete osservare il Jpeg ottenuto dalla macchina fotografica.

Jpeg da Canon EOS700D: F/00 1/50" ISO100
Se cliccare sull'immagine potrete osservarla nelle sue dimensioni reali. Potrete scorgere delle tenui macchie all'interno del disco. Sono macchie solari. La qualità dell'immagine è però compromessa dalla compressione dovuta al formato Jpeg.
L'immagine che segue è invece ottenuta dall'elaborazione del file Raw (n.d.r. Per la cronaca, questa è la primissima volta che scatto una foto in questo formato).

Elaborazione Raw da Canon EOS700D: F/00 1/50" ISO100
Premesso che ho impiegato al massimo una decina di minuti per elaborare l'immagine (n.d.r. visto che era la prima volta, ho dovuto anche capire come era organizzata l'interfaccia del software in dotazione con la mia macchina fotografica), in questo caso, le macchie solari sono molto più evidenti.

Ciò che non si riesce a vedere, invece, sono le eruzioni solari. Per poterle immortalare è necessario avere un telescopio solare, o un filtro Alfa-H, ma i prezzi si alzano parecchio, e se non siete veri appassionati, forse il gioco non vale la candela... Per lo meno finché si è alle prime armi.



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