lunedì 31 agosto 2015

Dylan Dog, La mano Sbagliata - #Comics #Recensione

Glauco Silvestri
Ho smesso di leggere Dylan Dog quando fecero il sequel di Johnny Freak. Era il numero 127. Superato il numero 100 alla Bonelli avevano avuto un attimo di sbandamento, albi privi di spessore, con storie mai all'altezza della situazione, soprattutto... Ripetitive. Decisi di chiudere con Dylan. Tenni i primi cento albi, che ritenevo perfetti come saga, tanto che il numero 100 era un epilogo naturale dell'intera saga, un albo davvero perfetto. Vendetti dal 101 al 132 (n.d.r. Sì, ci misi un po' a decidere dopo aver letto il cuore di Johnny) e dissi addio all'indagatore dell'incubo.

Sono passati tanti anni. Dylan è cambiato parecchio, specie quando il mensile è finito nelle mani di Recchioni. Non dico che abbia subito un reboot come quello subito da Nathan Never, ma di sicuro è stato rivoluzionato. Bloch è andato in pensione, il mondo è andato avanti, e l'ambientazione non è rimasta congelata in quegli anni 90 che diedero il via alla fortunata serie. E' cambiato molto di quel mondo, tanto che, a leggere il solo 348, si rimane un po' sconcertati.
E devo dire che forse non avrei ripreso in mano Dylan Dog se non fosse stato per la penna di Barbara Baraldi, che stimo tantissimo come autrice, e nel mio piccolo mi piace pensarla anche come una amica lontana.

Insomma, come potevo evitare di leggere La mano Sbagliata?

Se leggiamo la sinossi non possiamo che pensare a un vecchio film degli anni 80, La Mano, con Michael Caine, regia di Oliver Stone, effetti speciali di Rambaldi. Le analogie sono davvero tante, nella sinossi. Nel fumetto abbiamo una pittrice di successo, le cui opere sono un inno alla vita. Dopo un incidente che le fa perdere la mano destra, la pittrice comincia a dipingere solo scene di morte... Che si avverano. Nel film Michael Caine è un fumettista di successo. In un incidente il disegnatore perde la mano destra. Da quel momento la sua carriera è minacciata di continuo, e tutti coloro che si frappongono tra lui e il suo lavoro, muoiono inspiegabilmente.

Le analogie sono davvero tante, ma nella lettura poi le vicende si dipanano in modo differente. Nel film era la mano destra del fumettista a uccidere, e nel finale la mano si ribella persino al suo ex proprietario, e tanta di ucciderlo. Qui le spiegazioni sono più terrene, ma non meno inquietanti, ed è inutile che cerchiate di carpirmele, perché le scoprirete solo leggendo la storia.

Bella la trama, il presupposto di vita e morte che si alternino in un contrasto più che duale. La Novak, è pittrice di vita che diventa pittrice di morte. La presenza di una pittrice concorrente che cerca di appropriarsi di quello che era stato il successo della Novak prima maniera, e forse anche del suo uomo, Dylan, incaricato dalla Novak per investigare sul mistero, ma poi sedotto dal fascino cupo della ragazza. Una curatrice che appare morbosamente attaccata alla sua pupilla. L'arto mancante. I quadri inquietanti, una figura ambigua che rimane sempre in secondo piano, la vicina di casa, e il suo gatto siamese infatuato della Novak. La sessualità è palpabile in ogni pagina di Dylan, così come l'aria gotica che aleggia attorno ai personaggi della vicenda. 
Il disegno non mi convince, per quanto ci siano tavole davvero perfette, in generale il tratto spigoloso e privo di dettaglio non fa proprio per me. Di sicuro premiano i chiaro-scuri, ma i volti son troppo stilizzati, troppo minimalisti, espressivi solo di volta in volta.
Nell'insieme, comunque, l'albo funziona egregiamente. La storia tiene incollati fino alla fine, e avendo una esperienza deviata dal film che avevo citato all'inizio di questo articolo, fino alla fine non ho sospettato minimamente che si andasse a parare in una direzione tanto diversa.

Mi piace la femminilità dominante di quest'opera, e l'ambientazione cupa, noir. Il Dylan Dog 348 è un albo maturo, adulto, molto potente. E' cambiato parecchio dal Dylan Dog che leggevo anni e anni fa. Si tratta di una evoluzione che in parte mi piace, che mi spinge a pensare che il rinnovamento sia orientato a far piacere la testata ad adulti, che poi erano i ragazzini di ieri, quelli che leggevano il Dylan dei primi anni... Insomma, mi sembra che Dylan segua il suo primo pubblico e cerchi di crescere con lui. Mi domando se piaccia ai teenager di oggi, che per certi versi sono molto più maturi loro di quanto lo fossimo noi alla loro età, ma davvero funziona questa tattica? O forse DD ha bisogno degli oldBoys per vivere?

Digressione a parte, un bel 10 non lo toglie nessuno a Barbara Baraldi. Il suo tocco in questa vicenda si vede e si riconosce. Dò 8 invece a Nicola Mari, perché in questo albo ci sono tavole che lasciano il segno, come a pagina 14 (n.d.r. giusto per citarne una sola), ma i volti non mi hanno convinto, per lo meno non sempre. 10 anche ad Angelo Stano, la copertina è eccezionale.



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sabato 29 agosto 2015

La Famiglia Belier - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Non amo molto i film francesi. Non è una questione di pelle, è solo che mi sembra che in essi manchi sempre qualcosa, che non siano mai... Completi. La Famiglia Belier è l'eccezione che conferma la regola.

La trama è abbastanza complessa. Abbiamo una famiglia che vive nelle campagne francesi. Padre, madre e fratello sono sordomuti. Paula, 16 anni, è nata senza questo problema. Nella quotidianità Paula a un ruolo indispensabile per i genitori, visto che fa da interprete in ogni attività, da quelle private, mediche, a quelle amministrative della fattoria, e del mercato. Nel frattempo Paula va a scuola, come tutti i sedicenni, e ha amici e nemici... e un amore non corrisposto. Per seguire quest'ultimo, un colpo di follia, si iscrive a un corso di canto, e scopre - grazie al suo professore - di avere un grande dono... Tanto che viene convinta a prepararsi per un concorso canoro indetto da Radio France. Scelta, questa, che costringerebbe la ragazza ad andare a Parigi, e ad allontanarsi dalla famiglia.

Come dicevo, tanta carne al fuoco, tanti argomenti scottanti, tutti affrontati con la giusta leggerezza, senza mai scadere nella commedia, o nella comicità più banale. Tutt'altro, questo film è maturo, e l'ombra della commedia nasce solo a causa della situazione surreale in cui si trova Paula. Ma andiamo per gradi. Qui abbiamo una famiglia che ha superato le difficoltà, le proprie debolezze, ed ha trovato una sorta di equilibrio con il mondo esterno. Il padre di Paula, addirittura, non la va a dire a nessuno, e addirittura si candida in politica per cercare di fermare le scelte scellerate del sindaco locale, che sta distruggendo l'ambiente, e gli affari degli agricoltori, per favorire la cementificazione, i centri commerciali, e probabilmente anche le proprie tasche. Paula è una sedicenne che vive nel suo mondo. Lavora in fattoria, va a scuola, in molti la scherniscono per via del suo aspetto un po' trasandato, per la sua stanchezza quando arriva a scuola, ove capita che si addormenti, e per il fatto che non abbia ancora un ragazzo. La sua migliore amica, del resto, è una che di ragazzi ne ha avuti parecchi, e il rapporto che ha con Paula è del tutto particolare, perché difende l'amica, ma allo stesso tempo non riesce a comprenderne i comportamenti. E poi c'è il ragazzo del mistero, ombroso, con doti canore notevoli, schivo. Ha una storia con la bella della scuola, è ingenuo, e non si accorge subito che Paula lo adora. Si iscrive al corso di canto per lui, ma quando scopre che ha un talento, ecco il terzo tema affrontato dal film, ovvero la crescita di un adolescente. Il concorso canoro è la prima occasione, per Paula, di compiere scelte in autonomia rispetto ai genitori. E' il suo primo passo verso il mondo degli adulti, quello delle responsabilità, e dell'autonomia. Scelta che la allontanerebbe da casa, che metterebbe in difficoltà i genitori stessi, che fanno molto affidamento su di lei, e che potrebbe cambiarle la vita in modo irreversibile.
Da qui l'opporsi dei genitori, che in questa situazione svelano la loro vulnerabilità verso il mondo di chi parla e sente, e soprattutto il loro odio per tutti quelli che possono sentire, compresa la figlia. La confessione della madre in cui racconta la sua disperazione quando scopre di aver avuto una figlia senza problemi uditivi, è davvero toccante.
C'è il rapporto con il professore, che diventa suo mentore, ma allo stesso tempo non smette mai di comportarsi da sergente maggiore. E' lui che farà crescere la ragazza e che smantellerà ogni sua debolezza. Dover lottare per i propri sogni la... Rende più forte, indipendente, donna a tutti gli effetti.

In pratica, c'è davvero tantissimo in questo film, che mi ha commosso, mi ha conquistato, mi ha tenuto incollato allo schermo fino alla fine dei titoli di coda. Davvero molto bello, egregiamente interpretato, una perla da non perdere... Assolutamente!


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venerdì 28 agosto 2015

The Wolf of Wall Street - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Quando uscì, nonostante l'altisonante nome di Scorzese, non ebbi alcun desiderio di andarlo a vedere. Mi ci son voluti un paio d'anni abbondanti per avere l'occasione di guardarlo. The Wolf of Wall Street conferma la mia primissima opinione, non valeva la pena di vederlo al cinema.
Sono crudele, cinico, eccessivo? Può essere, però vediamo di andare per gradi, e di spiegare pro e contro di questa pellicola.

Il film ricalca la vita di un noto tycoon della borsa americana, a cavallo degli anni ottanta, molto prima delle crisi degli ultimi anni. Jordan Belfort viene da una famiglia di medio livello, ha una educazione classica, e dal di fuori appare il classico bravo ragazzo. Sposato, laureato in economia, decide di andare a Wall Street per far fruttare i suoi studi. Qui diventa il pupillo di un altro tycoon, e da lui impara le dure leggi della borsa, e dell'esser broker. Nessuno sa cosa accadrà in borsa. Nessuno può davvero far arricchire il proprio cliente in base a quanto sa e conosce di economia. Ciò che conta è vendere azioni, ciò che conta è il proprio guadagno personale. 
Belfort entra a Wall Street e in breve ne esce per il fallimento della società che l'aveva assunto. Così - spinto anche dalla moglie - trova altre strade per cominciare a far soldi, a rincorrere il successo, e a diventare un personaggio... avido, cocainomane, malato di sesso, senza scrupoli.

Il film ha un ritmo altalenante, momenti in cui si riconosce il buon vecchio Martin, momenti in cui ci si chiede chi sia il regista. Di Caprio è sicuramente diventato un attore solido. Non è più il belloccio di The Beach, ma qui è evidente che non può ancora ambire all'oscar. No... I grandi discorsi di Belfort alla sua truppa mancano di quella mimica, di quell'espressività naturale, di un quid indescrivibile - lo ammetto - tant'è che guardando il film mi chiedevo come si sarebbe comportato Al Pacino al suo posto. E' forse colpa del viso tondo, biondo, di eterno bambino che lo danneggia? Il suo volto non è di sicuro un volto rigato dall'esperienza, e questi ruoli in cui interpreta uomini consumati da droga, alcol, eccessi, ed emozioni estreme, forse mal calzano con la sua fisionomia. Non so... Ma durante tutto il film non ho visto Jordan Belfort, ma ho visto Di Caprio che interpreta Jordan Belfort.
Meraviglioso il troppo breve cameo di McConaughey, che fa da mentore al giovanissimo Jordan. 
C'è molto nudo, ci sono molte scene dalla moralità discutibile, ci sono scene addirittura noiose. Manca un filo logico della metamorfosi di Jordan Belfort, che viene dipinto inizialmente come un ragazzo che non beve alcolici e che parla a voce bassa, e che all'improvviso si trasforma in un membro di Animal House, sempre pronto ai droga-party, senza scrupoli, privo di morale se non per pochi minuti ogni tot settimane, eccetera eccetera.
Poco delineata la figura dell'agente FBI, interpretato da Kyle Chandler (che tutti conoscerete per Gray's Anatomy, ma che ha lavorato anche in pellicole come Super 8, King Kong, e Ultimatum alla Terra). Sembra una comparsa, eppure dovrebbe essere l'alter-ego di Belfort.

In pratica è un Prova a Prendermi meno efficace. Tre ore sono tante, troppe, e mal proposte. Sono più le scene di sesso, di nudo, di volgarità, di eccesso, che quelle in cui ci viene raccontata realmente la vita di Belfort. No, non funziona un granché.



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giovedì 27 agosto 2015

Da #Cimabue a #Morandi

Glauco Silvestri
L'eloquenza, la capacità istrionica di guidare gli appassionati lungo un percorso artistico, le competenze, di Vittorio Sgarbi sono innegabili, così come è innegabile il suo carattere forte ed esuberante. Questi ingredienti, a mio parere, rendono le mostre da lui organizzate molto più interessanti, e brillanti, rispetto a quelle organizzate da moltissimi - comunque valevoli - esperti d'arte. 
L'esposizione di cui mi appresto a parlare è, per certi versi, sorta in risposta a una polemica nata tempo fa con l'arrivo a Bologna de La ragazza dall'orecchino di Perla, e più in generale, dei capolavori olandesi. Polemica aspra, che ha diviso la città, e forse anche l'intero paese, tra chi la vedeva come Vittorio Sgarbi, e chi invece vedeva nell'arrivo di Vermeer in città come una occasione unica.

Raffaello, Estasi di Santa Cecilia
Occasione unica? Forse lo è stata, visto che si è potuto sfruttare un'opera che è nota a tutti per via del suo coinvolgimento mediatico in un noto libro, e in un altrettanto noto film. 

Però a mio parere Sgarbi aveva/ha sacrosanta ragione nel sollevare il polverone che sollevò, perché la mia cara città ha da parecchio tempo avuto i paraocchi, e il suo sguardo puntato sull'ingombrante Morandi (n.d.r. Giorgio... Non il cantante bolognese Gianni!), dimenticando invece moltissimi e pregiatissimi autori Bolognesi che qui son sempre rimasti nell'ombra, ma che fuori dai confini hanno avuto le loro soddisfazioni e l'apprezzamento che meritano. Senza dimenticare i bolognesi del passato, e soprattutto la nostra Pinacoteca, che raccoglie opere splendide, ma che è poco valorizzata, davvero poco valorizzata.
Ecco... 
Questa esposizione serve a ricordare ai bolognesi che non c'è bisogno di un olandese per parlare di arte in città, che Bologna ha prodotto, e produce tutt'ora, artisti di calibro, e che nulla ha da invidiare, ma piuttosto avrebbe persino da insegnare. 

Annibale Carracci, Venere e Satiro con due Amorini
E' una fenice che risorge dalle sue ceneri, per certi versi, e ringrazio Sgarbi per la sua insistenza, caparbietà, e forza, nel volere una esposizione bolognese a Bologna, che oggi si dimentica troppo spesso di ciò che è stato, di ciò che è, e che preferisce guardare fuori dalle mura, piuttosto che scoprire ciò che può offrire a sé stessa, e a chi sta fuori dalle mura.
C'era bisogno che l'aeroporto bolognese divenisse uno scalo Ryanair, per scoprire che la nostra città potrebbe essere un ottimo richiamo turistico e artistico? Io penso di no, ma nessuno ha mai valorizzato ciò che doveva essere valorizzato... Per lo meno fino a oggi, e come diceva quello: meglio tardi che mai!  

Nosadella, La Sacra Famiglia
Ma bando alle ciance, Da Cimabue a Morandi ha avuto la sua sede a Palazzo Fava, una costruzione stupenda, con affreschi meravigliosi realizzati dal Carracci, pittore bolognese che ha fatto scuola, e che compare - giustamente - tra i protagonisti dell'esposizione. Tre piani, diverse sale, un centinaio - contate a spanne - di opere di altissimo valore, nomi altisonanti, nomi meno noti, nomi dimenticati, come i più recenti Protti, Cremonini, e Romagnoli, che hanno dovuto competere con Morandi, e che a mio modestissimo parere valgono molto di più, del più famoso bolognese... Non a caso in passato ho parlato di alcune loro raccolte, qui sul blog, ma mai ho parlato di Morandi.
Ogni sala è organizzata in modo da avere un'opera principe, e una schiera di opere coetanee concorrenti, provenienti da autori della stessa scuola, e altri provenienti da scuole concorrenti.

Fonte ispiratrice è Roberto Longhi, e a lui è dedicata, a ottant’anni dalla sua celebre lezione all’Università di Bologna (1934) sulla grande tradizione artistica della città.
I nomi, e le opere che troviamo all'esposizione partono, ovviamente da Cimabue, proseguono con Niccolò dell’Arca, Vitale da Bologna, il Parmigianino, i Carracci - tra cui Annibale, il più bravo della famiglia - c'è guido Guido Reni - che adoro - e il Guercino; non manca ovviamente Donato Creti, da lui si va verso Antonio Canova, passando poi per i dimenticati che ho citato prima, e giungendo a Lucio Fontana, Arturo Martini, e ovviamente Giorgio Morandi.

Morandi, Natura Morta
E' una apoteosi di opere stupende, da ammirare senza fine, che incantano. Gli stili seguono i percorsi storici che tutti conosciamo, ma lo fanno con 'il muso duro degli emiliani', e così ecco che possiamo ammirare opere dove si vuole andare oltre al conformismo dell'epoca, e dire la propria, mostrare Maria che stende i panni mentre Giuseppe la aiuta, o addirittura l'opera di Nosadella, che ritrae un Giuseppe disperato perché costretto a doversi confrontare in famiglia con Maria Vergine e il figlio di Dio... 
Una battaglia persa in partenza!


Guido Reni, La caduta dei Giganti
La mostra merita assolutamente, e ormai mancano pochi giorni alla sua chiusura. La audio-guida è un plus interessante, visto che è la registrazione di una visita guidata da Vittorio Sgarbi. La presentazione esposta dall'audio-guida fa rimbalzare da una parete all'altra delle varie sale per seguire l'esposizione del curatore della mostra, ma diverte, oltre che a fornire informazioni davvero interessanti, sia sugli autori, sia sul periodo storico, sia su aneddoti interessanti relativi all'opera stessa. Un plus che per di più è gratuito, per cui vale la pena usufruirne.

Il catalogo costa un botto, su Amazon si risparmiano un paio di euro scarsi rispetto al prenderlo direttamente al museo, ma è davvero ben fatto e merita assolutamente. Mancano un paio di opere, di autori aggiunti all'ultimo momento, perché dipartiti quando già il catalogo era già in stampa. Già... Perché la mostra racconta di artisti che non ci sono più. Raggiunge gli anni 2000, i giorni nostri, pur parlando solo di autori non più in vita. Sarebbe interessante una esposizione di soli Bolognesi ancora in vita...

L'opera più bella? Io adoro guido Reni, per cui non posso che citare la Caduta dei Giganti.

Vi lascio qui sotto un bel video dedicato alla mostra, realizzato da un altro bolognese Doc, Red Ronnie, per il suo RoxyBar. Dura parecchio... Ma merita di essere visto.




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mercoledì 26 agosto 2015

Il Filtro Polarizzatore - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
Quando scrissi che non uso più il Filtro Polarizzatore dissi una mezza verità. E' vero che non lo uso, ma è anche vero che non lo uso perché ultimamente mi dedico a un tipo di fotografie dove il suo uso non è necessario.

Che cosa fa questo filtro? 
La caratteristica di questo filtro è quella di bloccare determinate radiazioni elettromagnetiche, nel nostro caso, determinate frequenze delle radiazioni luminose. E' costituito da delle lamelle che possono essere orientate in modo tale da impedire il passaggio delle frequenze che possono dare fastidio, in particolare, quelle che vengono riflesse dalle superfici lucide.
Questa caratteristica fa sì che una superficie trasparente, che solitamente in fotografia appare bianca opaca, o con riflessi chiari, possa apparire perfettamente trasparente.
Come funziona? 
Si applica il filtro sull'obiettivo. Gli obiettivi hanno una piccola filettatura davanti alla lente frontale. E' lì che va avvitato. Una volta montato, si punta la macchina, si mette a fuoco, e poi si ruota la piccola ghiera del filtro. Ciò permette alle lamelle di orientarsi nel modo giusto per impedire alla radiazioni 'cattive' di raggiungere l'obiettivo. Quando si ottiene l'effetto desiderato, si scatta e il gioco è fatto.

70mm F/5.6 ISO6400 1/25"
Vi voglio mostrare due fotografie, anche questa volta le ho scattate a scopo didattico, per cui non date troppa attenzione a particolari ininfluenti. E' una vetrinetta del mio salotto. L'ho scattata ieri sera un po' di fretta. Non mi sono accorto che avevo gli ISO impostati a 6400 per via di altri esperimenti che facevo la sera prima... Poco male, colgo due piccioni con una fava e vi posso mostrare 'il rumore' generato dalle foto con un numero alto di ISO.
E' sufficiente che clicchiate sulle immagini per ingrandirle. Noterete che il colore è disturbato da dei piccoli, quasi impercettibili, puntini neri. Ecco, questo è il famigerato 'rumore'... più alto è il valore di ISO che usate, maggiore è questo problema. 
Fino a 6400 ISO, per foto buie o scattate in ambienti scarsamente illuminati, possiamo anche far finta di niente. Ma è meglio non esagerare, o per lo meno, fare questa scelta con consapevolezza.
Ma torniamo a parlare del Polarizzatore, e concentriamoci sui riflessi. 
70mm F/5.6 ISO6400 1/21"
La prima delle due foto, quella che vedete qui sopra, è scattata col polarizzatore inattivo. Come potete vedere il riflesso del vetro si mostra come un velo nebbioso. Il soggetto, ovvero le statuine di Lupin, Goemon Jigen (n.d.r. dipinte a mano da me) si vedono, ma la loro immagine è disturbata. Di sicuro non è uno scatto ben riuscito.
La seconda foto è stata scattata col polarizzatore orientato nel modo giusto. Ora il velo nebbioso è scomparso. E' rimasto giusto un riflesso all'altezza di Goemon, ma Lupin e Jigen sono venuti pressoché perfetti. La differenza è evidente, la vetrata non si quasi per nulla.

I vantaggi di questo filtro sono quindi piuttosto evidenti. Però non ha solo vantaggi... Immagino lo capiate da soli, c'è sempre un risvolto negativo quando si applica qualcosa davanti a un obiettivo, ovvero la perdita di luminosità dello stesso.
Un filtro polarizzatore (n.d.r. Ce ne sono tanti in commercio, vanno valutati con cura) può ridurre la luminosità dell'obiettivo anche di uno stop a seconda della sua qualità. E' quindi consigliabile utilizzare obiettivi molto luminosi, o giocare sui tempi di scatto, magari evitare gli ISO elevati (n.d.r. cosa che invece io non ho fatto).

Ne esistono due tipologie:
  • Lineare: Indicato con la sigla PL;
  • Circolare: indicato con la sigla C-PL, PL-CIR, CIR-PL o CPL;
L'effetto in fotografia di questi due tipi di filtro è identico. La differenza tra i due sta nel fatto che il filtro circolare, dopo aver polarizzato la luce selezionando un piano di polarizzazione preferenziale, la depolarizza nuovamente. Ciò permette al sensore delle reflex, che è sensibile al piano di polarizzazione della luce, di funzionare correttamente.

Quando può essere usato?
  • Per scattare foto attraverso delle vetrate, per ridurne i riflessi;
  • Per scattare foto all'acqua, per recuperare la sua trasparenza;
  • Per scattare foto a pareti lucide, riflettenti, così da mostrarne la superficie e non la luce che esse riflettono;
  • Per avere cieli più saturi e tersi, visto che polarizzando la luce si riduce la riflessione dovuta all'umidità dell'aria.
In quest'ultimo caso bisogna tenere conto di un paio di accortezze:
  • Affinché il polarizzatore funzioni correttamente, e massimizzare il suo effetto, il sole deve essere sempre di lato;
  • Le nuvole più leggere tendono a scomparire, visto che la luce riflessa da queste ultime è debole, e il filtro tende a eliminarla.
Detto questo, credo che il Polarizzatore debba essere un Must-Have, anche se poi - probabilmente - non verrà usato molto spesso. In certe situazioni è davvero in grado di fare la differenza e non averlo potrebbe costringere a rinunciare a uno scatto, a una foto che vorreste fare, ma che le condizioni ambientali non vi permettono di ottenere come vorreste.

Attenzione: Nel caso voleste acquistare un filtro polarizzatore, prima di fare l'acquisto è importante che controlliate il diametro del vostro obiettivo. Io possiedo obiettivi con diametro 52mm, 58mm e 95mm e ho acquistato (n.d.r. All'epoca delle mie foto su pellicola) sia un polarizzatore da 52mm, sia uno da 58mm.


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martedì 25 agosto 2015

Ciò che è semplice...

Glauco Silvestri
Ciò che è semplice, a volte è difficile. 

Evidenziazione Pos. 585



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lunedì 24 agosto 2015

Toy Story 3, La grande Fuga - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Terza pellicola dedicata al mondo dei giocattoli. In Toy Story 3 si riprende il tema dei giocattoli abbandonati dai propri padroni. 

Se nel secondo capitolo Woody si era trovato nelle grinfie di un collezionista senza scrupoli, ma soprattutto sotto la minaccia di un giocattolo che non aveva mai lasciato il negozio, e che aveva vissuto sempre nella sua scatola originale, questa volta veniamo proiettati in avanti nel tempo per... Vedere Andy che parte per il college.
Già! Andy ha 17 anni. I suoi giochi se ne stanno chiusi nel vecchio baule già da un pezzo, ed è il momento di fare una cernita: Alcuni verranno donati, altri andranno in soffitta, altri ancora in discarica.
Per un errore e un po' di superficialità, Woody, Buzz, e gli altri finiscono per essere donati a un asilo. Sembrerebbe la meta ideale per un giocattolo, con bambini disposti a giocarci, e a prendersi cura di loro, ma in questo caso l'asilo è sotto il giogo di un orso che profuma di fragola. L'orso ha creato un regime dittatoriale, dove i nuovi venuti devono sopravvivere ai bimbi più piccoli, sopportare ogni angheria, così che quelli più anziani possano godere dei bambini più grandi e attenti.
Risultato? Dopo un solo giorno di giochi, gli amici di Woody sono stremati e al limite della rottura. Buzz è stato addirittura resettato alle condizioni di fabbrica e si è trasformato in un carceriere... E Woody è dato per disperso.

Si comincia ad avere carenza di idee, per lo meno sul plot generale, che ricalca per certi versi le vicende viste nel secondo film. E' la seconda volta che Woody viene messo all'angolo dai suoi amici, ed è la seconda volta che sarà lui a non mollare per aiutarli, e salvarli. Insomma, il primo è di un'altra pasta. Ciò non significa che questo film sia brutto. Tutt'altro! E' ricco di momenti esilaranti, di momenti di pathos, e di situazioni epiche.
Il personaggio più interessante è, ovviamente, Ken! La sua figura ambigua, sempre al limite tra l'essere gay, l'essere un accessorio di Barbie, o l'essere il Macho che ci si aspetterebbe, rende l'intera vicenda molto, ma molto, divertente. E anche Buzz in modalità spagnola è notevole, così come anche Mr Potato, che in questo episodio darà il meglio di sé, e dovrà addirittura lottare con un piccione.

Insomma... C'è tanta carne al fuoco anche in questo episodio, l'ultimo per il grande schermo, che consiglio vivamente.




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sabato 22 agosto 2015

Unbroken - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ero curioso di vedere come se la cava Angelina Jolie dietro alle telecamere. 
 Unbroken è una storia vera. Narra la vita di un ragazzo, ouis “Louie” Zamperini, una storia davvero incredibile, ed emozionante. Vessato da piccolo perché di origini italiane, il piccolo Louis scopre il suo talento nella corsa. Il passo dallo scappare dai suoi persecutori alle piste di atletica è breve, così come il suo talento si manifesta fino a raggiungere le olimpiadi. Ebbe persino un colloquio con Hitler, alle olimpiadi di Berlino. Poi... la guerra. A bordo del suo B17 rischia la vita ogni giorno bombardando città del Giappone, fino a ché il suo aereo cade in mezzo all'oceano. 47 giorni in mare, su un gommone, in balia delle onde, del sole, dei caccia giapponesi, dei pescecani. 
Alla fine viene salvato da una nave nemica, condotto assieme ai suoi commilitoni in un campo prigionieri, e qui nuovamente vessato da un direttore del campo dal carattere psicopatologico... Che lo prende di mira, e non lo molla più finché la guerra non finisce.

Forse, di uomini come lui ce ne sono stati tanti in quegli anni. Molti di loro non hanno mai raccontato la loro storia. Molti di loro sono finiti nel dimenticatoio, o sono rappresentati da una fotografia ormai sbiadita su un monumento ai caduti. Ma Louie Zamperini è morto solamente l'anno scorso, sfiorando i 100 anni. E nonostante l'età, volle correre alle olimpiadi in Giappone del 1998. Un gesto davvero nobile visto ciò che aveva dovuto subite in quel paese.
Il film ci racconta una vicenda che dimostra carattere, forza interiore, e capacità di andare avanti nonostante tutto e sempre. Davvero uno spirito indomito, questo Zamperini, che andrebbe imitato da tutti quanti. Mai piegarsi davanti alle avversità, vivere giorno per giorno, lottare, mai arrendersi.
Interpretazione magistrale di ogni elemento del cast. Il film è davvero ben fatto. La regia è tradizionale, molto curata, ricca di dettagli, con effetti speciali discreti (nel senso di non invadenti) capaci di rendere ancora meglio le scene di guerra. Inquadrature, primi piani, montaggio... tutto funziona bene in questa pellicola. 
Per una volta la Jolie rimane dietro alle telecamere, e non sbaglia.
Il film, che è tratto da questo romanzo, è riuscito a incassare quasi tre volte il budget speso per realizzarlo. Una bella prima prova. 

Brava Jolie, ottima pellicola.


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venerdì 21 agosto 2015

Toy Story 2 - #Recensione #Film

Glauco Silvestri
Secondo capitolo della saga dedicata ai giocattoli, prodotta da Pixar. Toy Story 2 si avvia esattamente dal finale del primo film. Andy ha una sorellina, ha un cucciolo di cane, Buzz e Woody sono amici, e tutti quanti son felici e contenti.

E' la festa del cowboy e Andy si prepara al suo weekend all'aria aperta. Mancano 5 minuti alla partenza, c'è tempo per un ultimo gioco, e succede il patatrac. Il braccio di Woody si scuce. Andy si preoccupa. La mamma mette il pupazzo sulla scrivania, nella polvere, tra i giochi ormai abbandonati. Woody è depresso, teme che la sua fine sia vicina. Sulla libreria trova un vecchio compagno, dato per disperso molti anni prima. Parlano qualche minuto, ma poi arriva la mamma, che in assenza del figlio decide di fare un mercatino dell'usato. Raccoglie tutto ciò che in casa non si usa più, compreso il pinguino amico di Woody, quello abbandonato sulla libreria.
Woody però non ci sta... E per quanto menomato, tenta di salvare il vecchio compagno, esponendo sé stesso alle grinfie di chi cerca affari d'oro nei mercatini. Ed è questo il caso... Un collezionista lo adocchia, e quando la madre si distrae, lo prende e scappa.

Bella avventura, anche se meno efficace di quella raccontataci nel primo film. Qui si strizza l'occhio al citazionismo. Si scopre che Buzz Lightyear è figlio di Zork, il robot assassino e suo acerrimo nemico. Si scopre che Woody è il personaggio principale di un noto brand commerciale di un ventennio prima, e si scopre che i giocattoli non sempre sono buoni. C'è anche chi pensa solo a sé stesso, magari a causa del suo triste destino, magari per invidia.
I disegni sono alla stregua della prima pellicola, ancora attualissimi e perfetti. Le gag sono notevoli. Si ride, si ride parecchio, specie quando i giocattoli di Andy fanno un giro nel negozio di giocattoli. Non va tralasciata neppure la sigla finale, ricca di bloopers.

Insomma, anche in questo caso, un bel prodotto Pixar, che però non potrebbe vivere a sé stante, visto che è strettamente legato al primo capitolo della saga.


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giovedì 20 agosto 2015

Toy Story - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Verso l'infinito e oltre... Ditelo assieme a me, ma non buttatevi da una finestra, che non sapete volare, al massimo, sapete cadere con stile.
Toy Story è un film di animazione che ha sicuramente segnato la svolta. Pixar già esisteva, ma con questo film è diventata leader assoluta dei film di animazione, sia per la qualità dei suoi disegni, sia per le sue trame mai troppo banali (ok, quasi mai, specie nei tempi recenti). Insomma, Toy Story è un must!

Il film ci proietta nel mondo dei giocattoli. Il piccolo Andy è affezionato ai suoi giochi, e in particolare al cowboy Woody. Solo che all'ultimo compleanno gli viene regalato un nuovo personaggio che in breve tempo scalzerà Woody dalla sua leadership: Buzz Lightyear. Quest'ultimo è fenomenale, pieno di effetti speciali, e... vola! E' rivoluzione nel mondo dei giocattoli. In breve Woody non viene più ascoltato neppure dai suoi amici di lunga data. Buzz ha conquistato tutti, forse anche perché non si rende conto di essere un giocattolo, lui... Lui crede veramente di essere uno Space Ranger. E ogni giorno che passa lo trascorre a riparare la sua astronave, che altro non è che la confezione in cartone in cui era racchiuso.
La gelosia è una brutta bestia, così Woody decide di fare un brutto scherzetto al nuovo venuto... Scherzo che gli costa caro perché Buzz cade fuori dalla finestra, e finisce nel giardino del vicino di casa, il cui figlio si diverte a distruggere giocattoli nei modi più ingegnosi.
Nel tentativo di riparare al suo grave sbaglio, anche Woody finirà per perdersi. Ciò costringerà i due giocattoli alla collaborazione, e da questa, poi, nascerà una vera e propria amicizia.

Davvero toccante, divertente, umano, questo cartoon. In un solo film ci sono tutte le emozioni umane. L'amicizia, l'invidia, la paura, l'affetto, l'amore... E' però l'amicizia la chiave di volta dell'intera vicenda. I piccoli giocattoli agiscono in modo tanto umano da apparire veri. La grafica è perfetta e le forme espressive sono tanto realistiche da non credere neppure che si tratti di un film del 1996. Eppure è perfetto.

Non so voi... Ma io lo adoro!



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mercoledì 19 agosto 2015

Giocare con le Panoramiche - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
La mia Canon EOS700D non è in grado di fare autonomamente delle foto panoramiche. Per ovviare a questa - chiamiamola - mancanza, Canon fornisce in bundle con la macchina un software fatto a posta per realizzarle, il cui nome è PhotoStitch. Per quanto realizzare delle panoramiche non sia nelle mie priorità, ogni tanto mi diletto a realizzarne qualcuna, in fondo è semplice, e il risultato - se il paesaggio merita - è di sicuro effetto.

Le foto panoramiche sono anche una buona occasione per divertirsi con la macchina fotografica. E oggi voglio affrontare proprio questo argomento, e mostrarvi la foto sottostante.

F/5 ISO6400 1/50"
Questo scatto mi ritrae in due pose contemporaneamente.
Come ho fatto a essere sia il carnefice, sia la vittima? 
L'immagine è una composizione panoramica di tre fotografie. Nella prima foto ci sono io che impugno una pistola (n.d.r. non preoccupatevi, è ad aria compressa, spara pallini, l'ho comprata quando facevo il militare, perché tra commilitoni ci divertivamo col soft-air tra le mura della caserma, quando non potevamo uscire in libera uscita). La seconda foto inquadra la libreria, da sola, e funge da collegamento. La terza foto mi ritrae mentre cado e cerco di proteggermi inutilmente allungando una mano verso l'aggressore. 
Le potete osservare qui sotto:


Tutte e tre sono state scattate usando un cavalletto, necessario per mantenere allineata l'inquadratura. 
Ho usato un 35mm (n.d.r. che moltiplicato per 1,6, ovvero i fattore di crop del sensore della mia macchina, ottengo 56mm), diciamo che l'ottica giusta su una full-frame dovrebbe essere il 50mm. 
Per scattare, ovviamente, ho sfruttato il live view per osservarmi mentre mi mettevo in posa, e il timer per poter avere il tempo di sistemarmi per bene.

A scatti avvenuti, pochi click di Photostitch ed ecco la mia composizione. Poi ho aggiunto l'effetto seppia, e ho aumentato leggermente il contrasto. Un bel risultato, eh?


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martedì 18 agosto 2015

Fare una Rivoluzione

Glauco Silvestri
Sebbene la pretesa a ogni generazione (o ogni tre-quattro, poco cambia) di fare una rivoluzione contro la società, contro il sistema, contro i “vecchi” non sia altro che uno dei più tipici sintomi di una gioventù sana che cresce in una società sana (e quindi in società che non hanno nessun bisogno di vere rivoluzioni, ché purtroppo sono quelle malate), ebbene, nonostante detta pretesa, le rivoluzioni promesse non si realizzano mai. 

Evidenziazione Pos. 29-32


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lunedì 17 agosto 2015

Miele - #Libro #Recensione

Glauco Silvestri
Miele è una spy story. Miele è la storia di una ragazza. Miele è una storia d'amore. Non aspettatevi intrighi internazionali, neppure sparatorie, o bombe atomiche trafugate. E' la guerra fredda, la guerra delle idee, quella che ci viene raccontata in questo romanzo di McEwan.

Serena, figlia di un vescovo anglicano, trova lavoro presso l'MI5. E' stato il suo attempato amante a prepararla per questo incarico, è stato Tony che le ha insegnato tutto, e gli ha aperto le porte verso i servizi segreti britannici. Trova lavoro all'MI5 poco dopo essere stata lasciata, per un attimo aveva addirittura pensato di non presentarsi al colloquio, ma aveva bisogno di soldi per vivere a Londra, per non dover tornare dalla sua famiglia con la coda tra le gambe.
Lavorare all'MI5, per una donna, in quegl'anni, aveva un solo orizzonte: la segreteria, e gli archivi. Se non fosse per la sua amica Shirley, il lavoro sarebbe noioso e ripetitivo. Però i servizi hanno qualcosa in serbo per lei. Lei è appassionata di letteratura, e l'MI5 sta mettendo in moto l'operazione Miele, una sorta di copertura per finanziamenti culturali, per dare fondi e spingere autori favorevoli alla cultura occidentale. Lei, in quanto forse la più preparata negli uffici dell'MI5, viene coinvolta, e gli viene affidato un autore: Tom Haley. Giovane, promettente, perfetto per lo scopo dei servizi segreti.
Il fatto è che tra lei e Tom nasce anche una relazione personale. Un fatto imprevisto, visto che fino a poco prima Serena era invaghita, non corrisposta, da un agente di nome Max. Questa storia d'amore scatenerà diversi sospetti, diverse gelosie, e alla fine...

La storia è narrata con estrema delicatezza. Parrebbe la mano di una donna, e non quella di un uomo, a tracciare i fili di questa vicenda. Molto bravo, McEwan, nel tessere la tela di ragno, nel costruire l'intreccio, nel presentarlo un poco alla volta, e soprattutto, nel preparare un finale tutt'altro che prevedibile, anche se auspicabile.
I personaggi son ben dipinti, per lo meno quelli principali. I personaggi secondari sono pressoché delle ombre, e non solo perché per lo più si tratta di spie e/o gente impegnata nei servizi segreti. E' la narrazione in prima persona, con gli occhi di Serena, a rendere tutto accettabile. Ciò fa sì che il piccolo mondo della ragazza diventi l'intero universo per il lettore. Ciò che è periferico, rimane periferico. Niente informazioni extra, niente che possa distrarre. E' il mondo di Serena, come lo vive Serena, e il lettore è costretto a vederlo con gli occhi di lei.
Ben costruito e narrato, una bella storia da leggere, specie in estate.


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sabato 15 agosto 2015

Gli Incredibili - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Film di ferragosto? Ci vuole qualcosa che rilassi, diverta, distenda... E cosa c'è di meglio de Gli Incredibili.

Suppongo non ci sia bisogno di ricordarne la trama, ma un ripassino non fa mai male. Il crimine, si sa, è sempre stato perseguitato dai super eroi. Solo che questi, per lottare con il crimine, fanno anche molti danni in città, e questi danni chi li paga se non la comunità? E' per questo motivo che vengono messi al bando, gli viene cambiata identità, e gli vien detto di non intervenire più.
Rob, però, non ci sta! Per quanto sia sposato, abbia figli, e un lavoro di assicuratore, si vede la sera con alcuni suoi ex commilitoni per fare qualcosa di utile per la comunità. Sempre roba di basso profilo, però...
Però c'è un fan dei super eroi che è rimasto deluso da loro, e crescendo ha nutrito un rancore incredibile nei loro confronti... Tanto da volerli eliminare tutti quanti, uno dopo l'altro. E il fatto che questi siano in pensione gli gioca a favore...

Divertente, ben costruito, epico. L'idea di cominciare con le interviste, l'idea della famiglia che vive una vita normale, con il bimbo piccolo che ha bisogno della baby sitter, quello medio che vuole fare sport, e la ragazzina teenager che si vergogna di sé stessa e non riesce a giostrare i propri sentimenti, col padre di famiglia che si sente inutile, e la moglie che bada più ai lavori di casa che a tutto il resto... be', è geniale. A ciò si aggiungono delle chicche imprescindibili, e l'idea del ragazzino che si vuole vendicare, che vuole sconfiggere gli eroi che lo hanno deluso, e che vuole fare in modo che di eroi non ce ne sia mai più bisogno, è allettante.
Il difetto principe di questo film, invece, è la sua sceneggiatura. Molte scene sono evidentemente orientate al videogame che fu lanciato quasi in parallelo all'uscita del film. Le fughe di Flash inseguito dai soldati su quegli strane lame volanti è evidentemente il plot di un arcade vecchio stampo.
Eppure a tenere in piedi tutta la baracca è l'incredibile umanità dei personaggi, la incredibile espressività dei volti, i problemi comuni di ogni famiglia, proiettati in un mondo di super eroi. 

Tanti pregi, qualche difettuccio, però è davvero bello guardare questo film.

Buon Ferragosto!


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venerdì 14 agosto 2015

Up e Planet 51 - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Due filmetti in previsione di Ferragosto. Due cartoon un po' diversi tra loro, ma molto carini entrambi.

Up, della Pixar, lo conoscete tutti. Io mi commuovo sempre quando lo vedo. Lo ammetto, mi scappa persino la lacrimuccia. Lo adoro. La storia di Carl, vecchietto, che sfrattato dalla sua casa decide di non arrendersi e realizzare il sogno della sua amata Ellie... E così con i palloncini fa volare casa sua, e si dirige verso le cascate dove, sin da piccoli, entrambi volevano andare a vivere.

Oddio... Mi fermo qui, che comincio di nuovo a commuovermi... Ma ho davvero il cuore così tenero? 
Qui sotto trovate la parte iniziale del film, quella che più mi stringe il cuore... Quelli della Pixar ci sanno davvero fare, mannaggia! Il libro delle avventure è un vero colpo basso al cuore.




Il secondo è più allegro e 'classico'. Planet 51 ci riporta alle missioni spaziali, al primo passo per un uomo, al primo passo per l'umanità. 

Chuck Baker è appena atterrato su un pianeta alieno... Dovrebbe essere disabitato e invece, è abitatissimo. La popolazione di questo pianeta è strana, verde, con dei tentacoli sulla testa, ma parla inglese, e vive come se fosse nei nostri anni 50. Hanno film di alieni che vogliono distruggere il loro pianeta, amano i fumetti, vanno al drive in, ascoltano anche musica simile alla nostra. Certo, ci sono differenze evidenti, le loro auto non hanno ruote, i loro cani assomigliano ad Alien, piovono rocce dal cielo, per il resto, però, tutto pare simili all'epoca d'oro americana.
Chuck, all'inizio, si spaventa, si allontana dall'astronave, in fuga, pensando di essere in pericolo. Ciò lo mette nei guai perché nel frattempo l'esercito arriva, mette in quarantena la sua nave, e la fa sparire in una base super segreta (l'area 9). Ad aiutarlo sarà il giovane Lem, appena assunto al planetario della cittadina in cui è atterrato Chuck, alcuni suoi amici combineranno più confusione che altro, mentre Rover - la sonda mandata in avanscoperta - diventerà una sorta di cagnolino in cerca continua di sassi, e di nuovi giochi da fare.

Le citazioni in questo film si sprecano, a non tocca a me svelarveli. Dovete guardare il film per scoprirli uno dopo l'altro. Alcuni sono davvero difficili da scoprire, perché citano parti di colonne sonore di famosi film di fantascienza. Bisogna amare il genere per scoprire proprio tutto quanto. A ogni modo il film è sempre godibile, divertente, funziona molto bene. Si vede il tocco dei creatori di Shrek, del resto gli alieni, seppur diversi, son comunque simili, specie nelle espressioni facciali. C'è anche un bel messaggio, quello dell'accettazione del diverso, che in tanti auspicano, ma nessuno mette mai in pratica. 

Da vedere!


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giovedì 13 agosto 2015

Sky Captain and the world of Tomorrow - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Guardo sempre volentieri Sky Captain. E' un film di fantascienza realizzato in stile retrò, eppure ricco di contenuti, e con personaggi di spessore, per quanto sembrino usciti da un fumetto.

Siamo a New York. E' il 1939, e la giornalista Polly Perkins si accorge dell'improvvisa e misteriosa sparizione di alcuni famosi scienziati. Quando la città viene invasa da giganti robot, la reporter decide di chiedere aiuto al suo ex fidanzato, Joseph "Sky Captain" Sullivan, per cercare di risolvere il mistero. Tutto sembra ruotare attorno a un misterioso Dottor Totenkopf, un genio militare che improvvisamente si isolò dal resto della comunità scientifica, assieme ad altri undici scienziati, per progettare qualcosa di veramente avveniristico, nella speranza di salvare il mondo dal suo destino, che Totenkopf pensava fosse funesto. Polly Perkins e Sky Captain si troveranno ad attraversare l'intero pianeta, passando per il Nepal, fino a giungere su un'isola misteriosa, e non presente sulle mappe. Il destino dell'intero pianeta è nelle loro mani, ma ancora loro non lo sanno.

Interpretazioni magistrali da parte di Jude Law e Gwyneth Paltrow. Ottima la comparsata della bella Angelina Jolie. Brave anche le figure minori, ma soprattutto bravi i tecnici degli effetti speciali. Questo film, per quanto moderno, ci proietta nell'immaginario degli anni sessanta, che vista l'ambientazione, è un immaginario già di per sé fantascientifico. Robot senzienti, missili interplanetari, veicoli che non vengono condizionati dalla forza di gravità, aerei anfibi, animali giganti simili a dinosauri, che cosa si può desiderare di più?

Molto bello, e non dura neppure tantissimo. Da vedere assolutamente.


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mercoledì 12 agosto 2015

Giocare con lo Zoom - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
La fotografia è una forma di espressione visiva, lo sappiamo bene, ed è anche una forma d'arte. Il noto pittore William Turner si fece ritrarre assieme alla moglie da un fotografo, era curioso, visto che il suo lavoro era sempre stato dominato dalla luce, e dal modo migliore di rappresentarla. Turner affermava che la fotografia avrebbe tolto il lavoro ai pittori... Se questi ultimi non si fossero inventati qualcosa di differente. Lui stesso era precursore di quelle forme d'arte che aiutarono la pittura a sopravvivere, l'impressionismo, l'espressionismo, l'astratto... La luce, e il colore, erano la chiave.

Ebbene, anche con la fotografia, e senza il foto-ritocco, è possibile giocare con la luce e il colore, creare immagini che vanno al di là del ritratto, del paesaggio, delle immagini nella loro forma più canonica. E' sufficiente avere un obiettivo zoom e...

F/9 ISO100 4"
Come ho ottenuto questa foto? 
  • Cavalletto! E' necessario. Come avrete letto nella foto, il tempo di esposizione è di quattro secondi, per cui la macchina fotografica deve stare ferma.
  • Zoom grand'angolo. Io ho usato il mio 22-55mm. Evitate escursioni troppo lunghe, l'effetto potrebbe rendere l'immagine poco comprensibile.
  • Un soggetto luminoso. A questo scopo ho usato la televisione accesa. Non è necessario essere al buio per fare questa foto, però il nostro soggetto deve essere una fonte di luce.
Impostare la macchina fotografica su Priorità di Tempo. Regolate lo scatto a 4 secondi. Scegliete un ISO basso, o lasciate che sia l'automatismo a sceglierlo per voi. Selezionate una esposizione a Spot, con punto di misura al centro del quadrante. Posizionate lo sul massimo valore di apertura del vostro grand'angolo, nel mio caso è 22mm.
Mettete a fuoco. Tenete una mano sulla ghiera dello zoom, e scattate! Ora, piano piano, aumentate l'ingrandimento fino al suo massimo (n.d.r. Nel mio caso è 55mm), e attendete che l'otturatore si chiuda. Tutto qui! Semplice, no?

Potete provare anche a invertire il processo, ovvero a effettuare lo scatto partendo col massimo valore di zoom, e poi lentamente allargare fino al grand'angolo. Qui sotto potete vedere il risultato.

F/9 ISO100 4"
A mio personale parere è meglio partire dal grand'angolo per poi ridurre l'apertura fino al massimo tele che avete a disposizione. A ogni modo è un'effetto divertente. Applicato su un soggetto più interessante rispetto al mio televisore (n.d.r. Per esempio la Tour Eiffel), si possono ottenere delle foto molto belle.

Note: Questa tecnica si chiama Zoom Burst


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