sabato 31 ottobre 2015

Morgan Lost Nr.1, L'uomo dell'ultima notte - #Fumetti #Recensione

Glauco Silvestri
Maledetta Bonelli! Ero riuscito a disintossicarmi. Acquistavo solo Lilith, una volta ogni 6 mesi, e non sentivo più il bisogno ossessivo di leggere fumetti. Le nuove uscite non mi entusiasmavano, solo con Julia ebbi un debole tentennamento, e la saga di Orfani l'ho presa nell'edizione della BAO, solo la prima serie, e non mensilmente, con i singoli albi.

Poi è arrivato Morgan Lost. Ne avevo sentito parlare, e quando ci son capitato davanti l'ho sfogliato. Disegni ben fatti, davvero. Ottima la scelta del bianco e nero con sprazzi di rosso cupo... Che poi ho scoperto essere il modo in cui Morgan vede a causa di un trauma avvenuto nel suo passato. Bella l'idea del personaggio, e dell'ambientazione. Mi è piaciuta anche la veste grafica, rinnovata, e molto distante dagli altri personaggi bonelliani. La chiave noir, thriller, con un pizzico di surreale, se non di paranormale, è affascinante. Il mondo parallelo in cui tutto avviene è affascinante anch'esso.

L'ho comprato, e mi son trovato di fronte a un delitto ben coperto dalle alte sfere. Morgan però non si lascia ingannare dagli indizi lasciati in modo strategico, scava, scopre, risolve...  No, non risolve, ma ha delle tracce da seguire, tracce inquietanti che si incrociano col suo passato, e così la vicenda rimane aperta, come le serie tv odierne, senza inizio né fine, ma con un percorso oscuro da dipanare.

Mi ha conquistato questo maledetto Morgan Lost. E' figlio della stessa mano di Brandon, quest'ultimo, però, non era riuscito nel tentativo di acchiapparmi. Morgan ha fatto centro. Gli darò una possibilità. Prenderò il secondo numero, andrò dritto fino al decimo, e tempo che sarà un altro Dylan...  Un altro Nathan... Devo fare spazio, perché quelle saghe le ho lette fino al raggiungimento del numero 100.

Dateci un'occhiata e sappiatemi dire. Nel frattempo... Mi sapete dire se la tecnica dei Dodici Passi funziona anche per chi è ricaduto nella dipendenza da fumetti?


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venerdì 30 ottobre 2015

007 Skyfall - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ultimo film della 'trilogia' ideale che vede il reboot della saga. E' il numero 23, uscito per il cinquantenario di 007 al cinema, mica male per un agente segreto dell'MI6, no? 

In Skyfall parliamo di M. Tutto comincia con un hard disk contenente tutti i nomi degli agenti infiltrati viene trafugato. 007 cerca di fermare il ladro fuggitivo, ma nella concitazione degli eventi, un cecchino sbaglia mira e lo colpisce, su ordine di M. Cade in un fiume e le sue tracce si perdono. Viene dato per morto anche se in realtà si salva, e scompare per andare a vivere in un luogo appartato della Turchia, ferito nell'orgoglio, ferito fisicamente, e deluso dal comportamento di M, che non ha creduto in lui.
Torna a Londra solo quando accade qualcosa di incredibile. Un attentato all'interno della sede dell'MI6. M è il bersaglio. Nessuno sa chi sia stato, ma le competenze informatiche dell'attentatore sono davvero di un'altra categoria, tanto che quando l'acciaccato 007 viene ripreso 'di ruolo', la sua dotazione si limita a una pistola e a una radio. Niente diavolerie elettroniche, si torna alla vecchia scuola. 
Nel frattempo l'autorità di M viene messa in discussione, e il suo pensionamento è prossimo. Anche e soprattutto perché si scopre che l'attentatore non è altro che un ex agente MI6 che fu tradito da M, in un modo non molto differente da Bond...

Non vi dirò come va a finire, ma ci sono molti richiami ai primi film degli anni settanta. Graig si conferma ancora una volta il volto ideale per un 007 tutt'altro che 'inglese'. E' imbolsito, invecchiato, con problemi fisici e un po' di pancetta. La mancanza di fiducia di M lo ha distrutto, specie dopo ciò che era accaduto in Casino Royale e in Quantum of Solace. E' per questo che scompare e molla tutto. Il volto di 007 diventa umano. E' sempre una macchina di morte, ma come Rambo, ha pure lui dei sentimenti, ed è stato ferito troppe volte per poter continuare a fare il suo lavoro. E' solo il senso del dovere a spingerlo a mettersi in gioco nuovamente.
E' comunque un punto cruciale della sua vita, quello in cui la fiducia nel prossimo crolla, e l'unica ancora di salvezza diventa sé stesso. Ed è proprio grazie alle proprie esperienze personali, alla sua vita da orfano, all'ambiente in cui è diventato un uomo, che questa avventura, il cui finale sembra destinato a portare l'MI6 alla sconfitta, può trovare la giusta conclusione.
Qui troveremo una destituzione... Ma ci sono anche dei grandi rientri. Miss Moneypenny. Ottima la regia, bravissima Naomie Harris nei panni di Eve Moneypenny, interessante la figura - molto british - di Ralph Fiennes, che andrà a impersonare il nuovo M quando la Dench verrà destituita. Interessante anche la figura del cattivo, molto ben costruito e davvero un ottimo personaggio. Javier Bardem è davvero perfetto nei panni di Silva.

Che altro dire? Forse è il miglior Bond degli ultimi tempi. Questa trilogia migliora di pellicola in pellicola, è qualcosa di davvero raro a vedersi nel cinema. Del resto questo film ha vinto due Premi Oscar, un Golden Globe e due Premi BAFTA.


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giovedì 29 ottobre 2015

007 Quantum of Solace - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Eccoci al secondo 007 del trittico che vuole risvegliare dalle polveri le vicende del noto agente segreto inglese. Il reboot continua, e mentre Bond cerca di vendicare la morte della sua amata Vesper, i primi indizi dell'esistenza della Spectre si fanno vivi. 

Quantum of Solace è però incentrato su un gruppo di cospiratori che finanziano rivolte negli stati desertici del sud america. Bogotà è al centro della vicenda... Dominic Greene appare a capo di questo gruppo senza scrupoli, che tra le altre cose gode dell'appoggio della CIA, nella speranza che gli States possano godere del petrolio che si trova nei paesi in cui la rivolta è finanziata.
Ciò che le agenzie non sanno, ma che Bond scopre con l'aiuto di Camille, anche lei parte dello spionaggio, e anche lei mossa dalla vendetta nei confronti di un dittatore che stuprò e uccise la sua famiglia, è che Greene vuole speculare con l'acqua di quei paesi. Divenuto possessore di terre senza valore, ma attraversate da sorgenti sotterranee che vanno ad alimentare gli impianti idrici delle città, questi blocca le sorgenti, crea delle dighe, e comincia a speculare sul costo dell'acqua, stringendo un cappio a doppio nodo sul collo dei dittatori, che appena saliti al trono, rischiano la ribellione della popolazione per via della carenza d'acqua.

In questo episodio, che attraversa mezzo mondo, dall'Austria, all'Italia, fino al Sud America, si può osservare un Bond sempre più freddo e impermeabili alle emozioni, se non per l'odio e il desiderio di vendetta, che però mai lo spingono a perdere lucidità nel suo lavoro. Ottima la costruzione del personaggio da parte di Craig, che in questo caso è affiancato da spalle che difficilmente ne offuscano la personalità. Ci sono dei lieti ritorni, da Giannini a Jeffrey Wright, quest'ultimo impersonante un agente CIA con una coscienza. C'è ovviamente la perfetta Dench, che interpreta M. 
La bellezza algida di Olga Kurylenko, nei panni di Camille, non funziona granché. A momenti pare una bambolotta che tutti gestiscono come gli pare, in altri momenti sembra una donna consapevole di sé, in altri una bambina indifesa, in altri una scaltra agente dei servizi segreti... Ma il suo personaggio non acquisisce mai uno spessore convincente.

In generale, il film mantiene il livello delle aspettative, ed eguaglia Casino Royale in quasi tutto. Davvero un ottimo prosieguo, non posso che consigliarlo vivamente.




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mercoledì 28 ottobre 2015

La messa a Fuoco (parte 2) - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
La messa a fuoco automatica ha evidentemente dei limiti, se usata nelle modalità di scatto base della fotocamera. Questo perché l'automatismo è programmato per mettere a fuoco il soggetto più vicino, e non quello desiderato.

Per ovviare a questo problema è necessario abbandonare le modalità di scatto base, e passare a quelle creative. Dovremo quindi impegnarci maggiormente nella preparazione della fotografia, e probabilmente otterremo anche maggiori soddisfazioni dagli scatti che otterremo.

Perché dobbiamo passare alla modalità creativa?
La modalità creativa ci permette di avere un maggiore controllo sull'autofocus. In questa modalità, la macchina non si limita a mettere a fuoco l'elemento più vicino, bensì mette a fuoco quello che gli diciamo noi.

Come funziona?
Rimaniamo nell'ambito della messa a fuoco automatica, per cui limitiamo la nostra scelta a tre delle quattro possibili opzioni, scartando lo scatto in manuale. 
La macchina fotografica esegue le letture attraverso una griglia predeterminata di punti. Di default tutti i punti sono attivi, ma volendo è possibile scegliere quello che più ci aggrada così da ottimizzare messa a fuoco e inquadratura.

Per visualizzare la griglia è sufficiente premere il tastino apposito sul retro della fotocamera.

Sulla Canon EOS700D verranno mostrati 9 punti sensibili. Alcune reflex ne hanno a disposizione molti di più, altre meno, dipende dall'età della macchina, e dal suo livello prestazionale.

Inizialmente i 9 punti risultano tutti luminosi; come da default, ciò indica che essi sono tutti attivi. Quando inquadriamo un soggetto, il punto sensibile che più si avvicina a esso si illuminerà di conseguenza, indicando che la messa a fuoco avverrà in quella zona dell'area inquadrata.
E' possibile anche selezionare un solo punto attivo. 
Ciò permette al sistema autofocus di non distrarsi nel caso siano presenti più soggetti a distanze paragonabili. Nel caso si voglia mantenere ferma l'inquadratura, magari perché la macchina è fissata su un supporto stabile, come un treppiede, questo stratagemma ci permetterà di andare a scegliere il punto di messa a fuoco più vicino al soggetto che vogliamo inquadrare senza dover spostare la macchina fotografica dalla sua posizione ideale.

Per eseguire la scelta è sufficiente cliccare il pulsante che richiama la griglia, e ruotare la ghiera vicino al pulsante di scatto per selezionare il punto che più ci aggrada. A ogni stop della ghiera vedrete illuminarsi un solo punto della griglia, quando vi troverete su quello che vi interessa, è sufficiente premere nuovamente il pulsante che richiama la griglia per confermare e procedere nella preparazione della foto. 
Alcune reflex permettono la selezione del punto di fuoco semplicemente avvicinando l'occhio al mirino, e spostando lo sguardo sul soggetto. La macchina rileva lo spostamento della pupilla e va ad attivare il punto di fuoco corrispondente a dove la pupilla è puntata.

E' importante sottolineare che il punto centrale di messa a fuoco è molto più sensibile rispetto agli altri otto.
Nel caso si abbia difficoltà nella messa a fuoco di un soggetto usando i punti periferici, è consigliabile utilizzare quello centrale, e una volta messo a fuoco il soggetto tenendo premuto a metà il tasto di scatto, ricostruire l'inquadratura come la si era pensata in origine.

Il punto di messa a fuoco centrale può essere scelto velocemente senza seguire le procedure sopra indicate, semplicemente premendo il tasto Set. Una pressione del tasto Set fa passare l'autofocus dalle condizioni di default (n.d.r. tutti i punti attivi) al solo punto centrale attivo. Una seconda pressione del tasto Set ripristina le condizioni di default.

Note Pratiche: Se si desidera scattare un primo piano ravvicinato, utilizzare il punto centrale e mettere a fuoco gli occhi del soggetto, per poi ripristinare l'inquadratura tenendo premuto il pulsante di scatto a metà corsa.



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martedì 27 ottobre 2015

RC si sentí un fuorilegge.

Glauco Silvestri
RC si sentí un fuorilegge. Aveva il sole negli occhi, e per l’effetto della birra si sentiva le braccia lunghe circa due metri e mezzo.

La ventisettesima città (Einaudi tascabili, Jonathan Franzen)
Evidenziazione Pos. 1181-82 | Aggiunta il domenica 24 marzo 13 11:48:01 GMT+01:00

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lunedì 26 ottobre 2015

Innocenti Bugie - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Oggi avrei dovuto parlare di Quantum of Solace, il 'seguito' di Casino Royale, che ho affrontato qualche giorno fa, ma c'è stato un inconveniente, o meglio, mi son ricordato di questo film di spionaggio/action/commedia, e alla fine mi son detto: guardiamo Innocenti Bugie?

No, non è perfetto come True Lies. Ma ci va davvero vicino. La coppia Cruise Diaz è pressoché perfetta, anche se per girare certe scene si son dovuti escogitare dei trucchetti affinché non si notasse che Tom è clamorosamente più basso della statuaria Cameron. La vicenda è semplice e al contempo complessa. 

Miller è una spia. Sta tornando negli States dopo aver recuperato Zefiro, un misterioso meccanismo - nascosto in una batteria - che tutti vogliono. All'aeroporto va a sbattere due o tre volte contro la distratta June. I servizi segreti di mezzo mondo pensano che sia avvenuto uno scambio, ma non ne sono sicuri, per ciò fanno in modo che sia June, sia Miller, siano sul medesimo aereo... Che poi è il primo tentativo di recuperare Zefiro. Mentre June è in bagno, infatti, tutti i membri dell'equipaggio, e i passeggeri, si rivelano agenti avversari. Tom li elimina, e con loro il pilota. Ciò finisce per coinvolgere la bella June, suo malgrado, facendola cadere in un turbine di situazioni avventurose, folli, in ogni angolo del pianeta.

E' il film dei colpi di scena, delle scene divertenti, e di brevi momenti di flirt e passione. Cameron è davvero all'apice della sua bellezza in questo film, non è troppo giovane, non è troppo adulta, è seducente, matura, con ancora un briciolo di ingenuità nel cuore. Bravissima a interpretare un ruolo tutt'altro che semplice, ove deve apparire allo stesso tempo in gamba e innocente. Cruise è perfetto nel ruolo della spia gentile. E' incredibilmente perfetto nei combattimenti dove riesce sempre a trovare il tempo per chiedere gentilmente a qualcuno di spostarsi prima di essere scaraventato contro la parete alle spalle di quelle persone. L'azione non manca, così come le situazioni rocambolesche. La trama è semplice, ma il suo dipanarsi avviene attraverso mille difficoltà e ambientazioni differenti.

E' divertente e coinvolgente. Mi piace davvero molto, così come la coppia Cruise Cameron, che funziona a meraviglia.

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sabato 24 ottobre 2015

007 Casino Royale - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Con Casino Royale c'è un vero e proprio reboot della saga di Ian Fleming. 007 si svecchia, perde la sua freddezza totale, diventa passionale, intraprendente, irriverente, e soprattutto, diventa una mina vagante. Non è più il pacato Sean Connery, il fascinoso Roger Moore, e tutti i meno efficaci volti degli anni che seguirono. Ora c'è Daniel Craig, con un fisico tonico ma non palestrato, con le orecchie a sventola, pochi capelli, non proprio bellissimo, ma con due occhi che ipnotizzano, e un modo di fare, di essere, molto più odierno, vero, reale. E' un 007 che urla quando prova dolore, che perde sangue, che si fa male. Non è infallibile, ma va sempre fino in fondo... Insomma, un agente più umano, ma comunque spietato, e freddo come i suoi predecessori.

Qui ripartiamo dall'inizio. Cos'era? Il 1953 quando uscì Casino Royale? Siamo nel 2006 ed eccoci di nuovo al Casino Royale. 007 è impegnato in una missione che pare semplice. Deve impedire a un noto banchiere delle organizzazioni criminali, di riguadagnare 110 milioni di dollari al tavolo verde, soldi che questo individuo ha perso, e che deve restituire agli spazientiti signorotti della guerra che si erano fidati della sua 'gestione'. Ebbene, sul tavolo verde capita di tutto, Bond riesce a impedire allo spietato Le Chiffre (questo è il nome del banchiere) di rientrare del capitale, ma i tradimenti, i doppiogiochisti, e i complotti finiscono per mandare in fumo l'intera missione... E quasi Bond ci lascia le penne. All'ospedale scopre che il suo capezzale non è mai stato abbandonato dalla bella Vesper Lynd, ufficiale di collegamento, e responsabile dei soldi spesi e/o guadagnati da Bond al Casino Royale. Scocca l'amore, la passione, ed entrambi decidono di cambiare vita, mollare i servizi, e vivere di rendita, restituendo all'MI6 solo i 15 milioni di dollari iniziali che erano stati necessari per salire al tavolo da gioco. Solo che anche la Lynd nasconde qualcosa... Il suo amore è vero, ma è costretta a tradire James, il quale subito si mette sulle sue tracce, col cuore spezzato.

La scena più bella è l'inseguimento iniziale. Dura parecchio. Bond insegue un mercante di armi legato a Le Chiffre. Quest'ultimo è di una agilità sconvolgente, e si rimane letteralmente inchiodati allo schermo nel vedere le evoluzioni che questo uomo compie. E' davvero una danza nel vento. E Bond appare più goffo, ma furbo. Cervello contro abilità. Certo, non che Craig abbia un fisico sedentario da 'divano+birretta', ma per lo meno qui si fa a meno di robe che solo in Matrix sarebbero giustificabili.
La scena più truce è la tortura di Bond. Non la auguro neppure al mio peggior nemico (ne ho?).
Il film è davvero bello, complesso, con colpi di scena crescenti, e un'aura di sospetto che aleggia sopra ogni elemento che compare sullo schermo. Non ci si può fidare di nessuno, neppure di M, o forse si? 

Davvero, è un ottimo film!

Craig è perfetto nei panni di Bond. Brava Eva Green nel ruolo della Lynd. E Judi Dench non ha bisogno di elogi per quanto sia perfetta. Interessante la presenza di Giannini, il cui volto è sempre efficace.

Nel complesso è quasi imperdibile. Ne rimarrete soddisfatti.


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venerdì 23 ottobre 2015

The Bourne Legacy - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ci hanno provato, eh? Hanno sfruttato un filone che vendeva, e anche senza Matt Damon, ecco il quarto film della saga

The Bourne Legacy è... Un tentativo fallito. Il cast è ottimo, lo ammetto, Edward Norton è sicuramente il miglior antagonista che la saga ha avuto. E' convincente, spietato, asettico, freddo, quasi perfetto. Jeremy Renner è un buon sostituto di Jason Bourne - che poi non veste i panni di Bourne, bensì di un altro agente che ha subito lo stesso, se non più evoluto, trattamento di Bourne - ma a mio parere non riesce a far dimenticare Matt Damon. E' meno efficace, e la trama stessa del film, ove si rovesciano i ruoli, e invece che cacciatore diventa un braccato, perde di interesse. Rachel Weisz veste perfettamente i panni della scienziata, è un'ottima spalla, ed è come sempre affascinante... Ma può, da sola, sollevare le sorti della pellicola?

Ricapitoliamo la vicenda. Siamo contemporanei al terzo film. Il giornalista viene ucciso, e mentre Bourne vuole chiudere la faccenda con i suoi aguzzini, all'interno dell'agenzia si sta pensando di fare pulizia. Eliminare tutti gli agenti come Bourne... Già! Perché Bourne è solo il primo di una serie. E visto che quelli successivi vengono addirittura controllati dando loro dei farmaci a ciclo continuo, è facile eliminarli, basta sostituire le pillole, ed ecco che tutto finisce. E poi bisogna far sparire le tracce, giusto? Un agente dormiente tra gli scienziati che preparano e somministrano le pillole viene risvegliato e compie una strage. Game Over... Forse! Visto che uno degli scienziati si salva, e uno degli agenti si salva. I due si incontrano, e si mettono in fuga...

Il film non regge perché Bourne era inarrestabile... Perché allora l'agenzia non ha messo sulle sue tracce degli agenti con lo stesso addestramento, o addirittura, quelli trattati con i medicinali che in questa pellicola vengono soppressi tanto spietatamente? Già, perché se questo film si fosse sviluppato anni avanti rispetto alle vicende di Bourne tutto avrebbe quadrato, ma volendolo ambientare nello stesso periodo dell'ultimo film della saga con Matt Damon, il castello di carte non regge. Del resto nei primi tre film, mai si citano i programmi evoluti nati da quello che aveva creato Bourne, e all'improvviso ecco che saltano fuori questi super uomini. Non mi ha convinto!
Per di più, qui, l'azione è davvero sotto tono. Ci sono inseguimenti, zuffe, ma niente che tenga incollati allo schermo. E' tutto prevedibile. La sequenza è sempre la solita: fugarocambolesca-momentoromantico-scontro finale-tuttivisserofeliciecontenti. Che noia.

La cosa buffa? E' che Brenner mi pareva più adatto a vestire i panni di Jason Bourne... Ma alla fine Matt Damon è stato di sicuro più convincente.


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giovedì 22 ottobre 2015

Le Fan Fiction - #ebook #Letture

Glauco Silvestri
C'è chi disdegna le Fan Fiction. C'è invece chi le ama. I motivi per cui questo genere di letteratura è nato, immagino io, è dovuto all'amore verso determinati personaggi, verso certe storie, che nella vita di una persona hanno lasciato una sorta di segno indelebile per chissà quali motivi. 
L'autore di una Fan Novel può essere chiunque, dal semplice appassionato, fino allo scrittore professionista. Le vicende ispiratrici possono venire sia dalla narrativa ufficiale, sia dalle fiction televisive, sia dal cinema, e persino dai cartoni animati, o addirittura dal mondo della musica. 
Le Fan Fiction esistono da molto, moltissimo tempo; nacquero ben prima dell'avvento di internet. 
Ne sono d'esempio gli apocrifi di Sherlock Holmes scritti da degli appassionati dell'investigatore, e i numerosi racconti basati su Star Trek che vennero pubblicati sulle fanzine degl'anni sessanta e settanta, ovviamente dedicate alla nota serie televisiva di fantascienza.
Oggi, grazie a internet, il fenomeno delle Fan Fiction è esploso oltre ogni immaginazione. La rete abbonda di ebook di questo genere, spesso diffusi dai forum tematici, ma anche da blog, e ovviamente dai social network più generalisti.

L'autore di una Fan Fiction non si limita a riscrivere le vicende che ha amato. Spesso questo tipo di racconti si ispirano alle storie originali, ma poi prendono percorsi differenti, visto che spesso gli autori vogliono dare una loro personale visione alla trama originale. 
Sulla base di questo concetto, le Fan Fiction possono tramutarsi in parodie, se l'autore vuole criticare il plot originale, oppure inserirsi nel continuità della vicenda, raccontando eventi accaduti prima, o eventi successi in seguito, oppure ancora concentrandosi su piccole situazioni, magari appena accennate nella storia originale, che però possono essere significative per l'autore della Fan Fiction in questione. Non bisogna poi dimenticare i crossover, ove si vanno a mescolare serie differenti, o le what if... dove invece si va a ipotizzare sviluppi differenti rispetto al flusso di eventi originale, trasformando la Fan Fiction in una sorta di vicenda ucronica.

Le categorie in cui si suddividono le Fan Fiction sono davvero numerose, Wikipedia le elenca in modo esaustivo per cui non ha senso che ci si dilunghi su questo argomento. E' sufficiente comprendere che in questo mondo parallelo esiste una complessità, e una ampiezza di orizzonti, che non dovrebbe essere sottovalutata.
E non viene sottovalutata, visto che Editori, ma anche gli autori, tengono d'occhio con attenzione questo tipo di attività, spesso, ma non solo, per tutelare i diritti di copyright sui marchi sfruttati ingenuamente dagli appassionati.
La questione è tutt'altro che semplice perché le Fan Fiction sono a tutti gli effetti delle opere derivate. Le controversie legali sono dietro l'angolo, perché in un modo o nell'altro, per quanto queste opere siano spesso di tipo amatoriale, realizzate per devozione nei confronti di un determinato 'prodotto', dovrebbero comunque rispettare le regole dettate dai copyright. Il diritto internazionale, da questo punto di vista, tutela solamente il diritto alla critica o alla satira, e ciò tutela le parodie dal rischio di denunce, o richiesta di compensi, per lo sfruttamento delle proprietà intellettuali.

Ma le altre tipologie di Fan Fiction navigano in acque molto pericolose. 

Esiste, è vero, una sorta di tacito accordo - non scritto - tra detentori dei diritti e autori di Fan Fiction, ove si consente la pubblicazione senza scopo di lucro. Alcuni autori incoraggiano addirittura  questo tipo di attività, ed esistono persino dei concorsi in cui si vanno a premiare i migliori esempi di Fan Fiction (n.d.r. Specie nel mondo del cinema), ma ci sono anche degli autori che scoraggiano questo tipo di attività, magari non tanto per la questione dei diritti di sfruttamento, piuttosto per il timore di perdere l'esclusiva su eventuali sviluppi narrativi al momento non contemplati.

E' quindi un mondo molto difficile, ma allo stesso tempo esaltante, tanto che giovani, giovanissimi, e non più giovani si cimentano in questa forma di espressione. E tra essi devo inserire anche la mia persona, visto che sin da piccino avevo desiderato scrivere, o meglio riscrivere, o forse reinterpretare, alcune storie provenienti dai cartoni animati degli anni settanta. Da grande l'opportunità mi si è presentata senza preavviso, prima con il trittico dedicato a Go Nagai, con U.F.O., Inferno, e Hiroshi; e in seguito a Leiji Matsumoto, con Guerriero delle Stelle.

E' inutile che mi dilunghi sulle produzioni dei due autori, piuttosto, magari, questo articolo può essere l'occasione di spiegare il perché delle mie quattro Fan Novel, così che anche un estraneo a questo tipo di narrativa possa comprenderne i meccanismi.

U.F.O. nasce dal desiderio di credere che Goldrake fosse esistito realmente. Per questa vicenda mi sono immaginato un giornalista d'inchiesta italiano, attratto da strane vicende nipponiche nascoste ai media, e inviato a Tokyo per investigare. E' evidente che in questo racconto il giornalista entra in contatto diretto con alcuni personaggi della serie, tenta di intervistarli, e finisce coinvolto in uno degli scontri tra il robot e le truppe di Vega. Non manca un momento nostalgia, sul finale, che preferisco non accennare ma che è legato a un brano musicale reinterpretato da Alessio Caraturo.

Inferno è invece una riscrittura attualizzata di un episodio di Mazinga Z. Racconta l'incontro tra Koji Kabuto, pilota del Mazinga Z, e Tetzuya, pilota del Grande Mazinga, che nella vicenda rimane nell'ombra finché non è necessario un suo intervento diretto.

Hiroshi è legato a Jeeg Robot, ed è proiettato molto avanti rispetto al cartone animato. Tutto ha inizio nel deserto, dove Hiroshi si risveglia privo di memoria. Viene raccolto da un elicottero militare e condotto in salvo dalle sabbie, solo che nessuno conosce il segreto del ragazzo, e soprattutto, nessuno sa che il suo risveglio ha scatenato anche il risveglio della sua acerrima nemica, la regina Himika.

Guerriero delle Stelle racconta invece le vicende della prima serie di Starblazer, viste con gli occhi di un membro dell'equipaggio.L'idea è quella di provare a immaginare l'odissea della Yamato senza però prendere in causa i personaggi principali, raccontando l'avventura con gli occhi di un soldato qualunque, che assiste, combatte, e vive a bordo della nave, nell'ombra del capitano Avatar, e di Derek Wildstar.

Non sono Fan Fiction, ma poco ci manca, La Confederazione di Elite e La guerra di Linda. Il primo racconto è ispirato molto liberamente alla trama di Elite, un videogame degli anni 80 che mi appassionò molto. A parte una ambientazione simile a quella del gioco, e il fatto che il protagonista sia un contrabbandiere, la storia è invece molto differente. Il secondo titolo è invece ispirato a Gundam. In questo caso siamo sul fronte della terza guerra mondiale, e Linda - ragazza del protagonista - decide di arruolarsi per non rimanere a casa ad aspettare la notizia che il suo uomo sia morto in battaglia. Anche in questo caso la trama si discosta totalmente dalla fonte di ispirazione.

In conclusione, il mondo delle Fan Fiction è vastissimo, e allo stesso tempo molto variegato. Se molte opere sono ovviamente realizzate in lingua inglese, anche in Italia è possibile trovare una vasta scelta di titoli interessanti. Entrare in questo mondo può essere un percorso di lettura interessante, diverso dai soliti, e con risvolti che potrebbero davvero diventare imprevedibili.

Buona Lettura.

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mercoledì 21 ottobre 2015

La Messa a Fuoco (parte 1) - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
In questi mesi abbiamo parlato spesso di esposizione, del triangolo che vincola i tre parametri fondamentali per l'ottenimento di una buona foto (n.d.r. tempo, apertura, sensibilità), di come giostrarsi tra essi per ricavare effetti particolari, o semplicemente una immagine che ci soddisfacesse.
E' sempre stata data per scontata la messa a fuoco, una componente fondamentale della fotografia, che però spesso si trascura perché viene compiuta in automatico dalla macchina (n.d.r. quando non si lavora in manuale), e di solito ci si fida di quello che viene deciso dalla macchina.

Ma come ragiona la macchina quando mette a fuoco l'immagine?
Non tutte le reflex sono uguali, ma in linea di principio seguono delle linee guida generali che permettono al fotografo di non trovarsi spaesato nel caso passi da una reflex a un'altra. Per questo articolo farò fede alla EOS700D, ovvero la mia macchina fotografica. Ci potranno essere delle differenze con quella in vostro possesso, ma in sostanza dovreste comunque comprendere i concetti basilari, e riuscire a sfruttare meglio il vostro mezzo.

Per prima cosa accertiamoci che la macchina fotografica sia settata per la messa a fuoco automatica. Controlliamo che il selettore sull'obiettivo sia su AF, e premiamo il tasto AF sul retro del corpo macchina.
La modalità autofocus di una fotocamera reflex ricerca solitamente l'elemento più vicino a noi, e lo mette a fuoco. 
Per mettere a fuoco è sufficiente puntare la macchina verso il soggetto, e premere fino a metà corsa il pulsante di scatto.
Quando la macchina determina un elemento a fuoco lo evidenzia sul mirino circondandolo con un riquadro. Se si presentano più riquadri significa che esistono più elementi alla stessa distanza di fuoco, e che di conseguenza tutti questi elementi saranno a fuoco al momento dello scatto. 

Questo tipo di comportamento avviene quando si è scelto una delle scene base della ghiera di selezione. 

Alcune macchine permettono di affinare il comportamento dell'autofocus in base al tipo di soggetto che si vuole immortalare, o alle condizioni in cui ci si trova al momento di eseguire lo scatto.
Sono tre possibili scelte tra cui giostrarsi:
  • One Shot: Questa opzione è pensata per i soggetti immobili. Quando si preme il pulsante di scatto a metà, la macchina esegue la messa a fuoco una sola volta. Tenendo premuto a metà il pulsante è possibile bloccare la messa a fuoco, e di seguito correggere l'inquadratura, se lo si desidera. Quando si preme il tasto a fondo viene eseguito lo scatto.
  • AI Servo: Questa opzione è ideale per i soggetti in movimento, specie se la distanza di messa a fuoco cambia in continuazione. In questo caso, quando si preme il pulsante di scatto a metà, la macchina esegue la messa a fuoco del soggetto, va però tenuto premuto a metà per consentire alla reflex di mantenere il fuoco sul soggetto mentre questo si muove. L'esposizione viene regolata solo al momento dello scatto, visto che, a causa del suo continuo movimento, i dati rilevati cambiano in continuazione.
  • AI Focus: E' perfetta per le situazioni in cui un soggetto fermo, all'improvviso, comincia a muoversi. In pratica si mette a fuoco un soggetto fermo premendo il tasto di scatto a metà, esattamente come avviene in One Shot. Se però questo comincia a muoversi, la fotocamera rileva il movimento e passa alla modalità AI Servo, continuando a mettere a fuoco il soggetto durante i suoi spostamenti.

La selezione di uno di questi tre metodi di messa a fuoco avviene grazie al tasto AF posto sul retro della vostra reflex. Una volta premuto il tasto, è possibile selezionare la modalità più corretta sia attraverso la ghiera vicino al pulsante di scatto, sia con i cursori sinistra e destra, disposti anch'essi sul retro della reflex.




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martedì 20 ottobre 2015

I rumori del Traffico

Glauco Silvestri
I rumori del traffico riempivano l’auto insieme ai baci continui tra gomme e asfalto.

La ventisettesima città (Einaudi tascabili, Jonathan Franzen)
Evidenziazione Pos. 1001-2 | Aggiunta il sabato 23 marzo 13 16:52:59 GMT+01:00



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lunedì 19 ottobre 2015

Tomorrowland, Il mondo di Domani - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ero davvero curioso di vedere Tomorrowland. Me l'ero perso al cinema, e attendevo con trepidazione il momento di... Essere parzialmente deluso. In effetti gli indizi c'erano tutti. Il film è durato davvero poco nelle sale cinematografiche, e ciò è accaduto nonostante ci fossero Clooney e Hugh Laurie a tenere alto il livello del cast. L'idea era curiosa, la promozione Disney, però... L'ha resa molto, forse troppo, all'acqua di rose.

Ma passiamo alla trama: Nel lontano 1964 il giovanissimo Frank Walker tenta di vincere un concorso per giovani inventori all'Expo newyorkese dedicato al mondo di Domani. Sfortunatamente il suo progetto, un jet pack, non funziona come dovrebbe, per cui viene scartato. Ma la sua creatività viene notata da una bambina, che gli regala una spilletta, che poi è una sorta di lasciapassare per un mondo parallelo dove i più grandi creativi della Terra si son dedicati alle loro invenzioni, e dove la tecnologia è eoni avanti rispetto a quella conosciuta sul nostro bel pianeta.
Anni e anni più tardi, ai giorni nostri, la figlia di un ingegnere della NASA  Casey Newton, riceve la stessa spilletta. La riceve dopo essere stata arrestata per aver tentato, più volte, di impedire lo smantellamento della piattaforma 39 in Florida (n.d.r. Quella dello Shuttle). Questa volta la ragazzina non viene proiettata nel mondo di Domani, bensì finisce in guai seri, inseguita da robot killer, e aiutata da una ragazzina, che però la conduce dall'unica persona che non vorrebbe essere coinvolta, ovvero uno stanco e ingrigito Frank Walker, nascosto in una catapecchia fuori dallo stato di New York, e cacciato dal mondo di Domani per... Aver osato troppo.

L'idea è davvero buona. Scusate lo Spoiler ma... Pensare che il Mondo di Domani, formato dalle menti più creative tra quelle della Terra, possa divenire la peggior minaccia per la Terra stessa, e lo possa divenire inconsapevolmente, a causa di alcuni esperimenti realizzati sull'altro mondo, be', è geniale.
Peccato che in questo film, pieno di effetti speciali, fughe rocambolesche, situazioni cariche di pericolo e violenza, e altre ricche di meraviglia, tutto accada come fosse una sorta di cartone animato. No, non è un cartone animato, ma potrebbe esserlo. Perché a farsi male, in questa pellicola, nonostante le sparatorie, nonostante gli inseguimenti, nonostante le lotte all'ultimo sangue, sono solo dei robot. Molte scene sono state costruite appositamente per incuriosire i giovanissimi, per stupirli, per divertirli. Usare Hugh Laurie come antagonista è geniale, perché ha dimostrato ampiamente come sia bravo a fare il cattivo simpatico. E anche in questo caso non c'è un cattivo veramente cattivo. Tutt'altro. Per cui è perfetto per il ruolo che impersona, così come bravissimo è Clooney nel panni del vecchio Frank Walker oramai arresosi ai fatti. Meno efficace Brit Robertson nei panni di Casey... No, non convince, anche se non sembra mai sbagliare, il personaggio non le calza addosso. Bravissima invece è la giovane Raffey Cassidy, nei panni del robot Athena; molto molto brava.

Sfortuna vuole che il film sia un po' troppo buonista. Va bene il messaggio utopico che vuole lanciare, ma manca l'equilibrio. Il film è realizzato con convinzione, si vede che è ben fatto, ben costruito, e si comprende anche quali messaggi voglia mandare, ma manca di qualcosa. Passata la meraviglia iniziale, si comprende dove vuole andare a parare, al che diventa qualcosa di già visto e sentito, e delude. Per lo meno delude gli spettatori più scafati, mentre per un pubblico più giovane e meno smaliziato può davvero piacere.

Nel complesso rimane comunque un film ben realizzato, con un buon avvio, ottime interpretazioni, e davvero piacevole da guardare, senza però mai e davvero scatenare l'effetto wow che invece, immagino, si voleva ottenere.




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The Bourne Ultimatum - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
La saga di Jason Bourne è come una miniserie da quattro puntate. Se il primo film sembrava autoconcludersi, dal secondo in avanti si comprende bene che il finale non c'è, per lo meno finché Bourne esce dalle situazioni ammaccato, zoppicante, sanguinante... E magari convinto che ora potrà starsene sereno e tranquillo.
No, The Bourne Ultimatum smette persino di illuderci che alle spalle di questo agente ci siano altre vicende di spionaggio da risolvere. No, è lui l'obiettivo, e va eliminato perché è il primo, e forse l'unico rimasto, degli agenti addestrati in un modo particolare... Violento, capace di annullare la personalità di chi vi è sottoposto, atto a creare macchine di morte, e il buffo è che Bourne si è offerto volontario.
Ma ora non ci sta più, vuole risolvere, e la sua emicrania peggiora, gli incubi peggiorano, la memoria riaffiora violentemente. I personaggi ora sono tutti con lui, o contro di lui. E' l'agenzia contro un singolo uomo. E' la dirigenza dell'agenzia contro un singolo uomo... Che però è uno speciale, addestrato ad agire, non pensare, e che ora - però - pensa pure. Insomma una macchina da guerra intelligente quando invece in agenzia volevano una macchina da guerra obbediente. Un bel problema...

Tutto inizia con un giornalista del Guardian che scopre l'esistenza di Bourne e comincia a scrivere degli articoli su di lui. Il Guardian deve essere un giornale con pochi lettori, perché l'agenzia scopre questo giornalista solo quando, distrattamente, parla al telefono col proprio informatore, e gli scappa una di quelle parole chiave che Echelon cerca costantemente nel traffico dati mondiale. Prima non ne sapevano nulla... Ovviamente tranne Bourne, che non si lasciava scappare un articolo di questo giornalista, forse è persino abbonato al Guardian, e gli articoli lo aiutano persino a scoprire qualcosa di più di sé stesso.

Mettiamola così: guardando questo episodio della saga si comprende bene che la coperta è corta, e che ormai c'è poca trippa per gatti. Il film è godibile, avvincente, ben costruito, e soprattutto ha gli stessi parametri che a mio parere hanno reso belli i due titoli precedenti. Non è fracassone... per lo meno, fino a che non ci sono degli scontri a corpo libero, ove le riprese vengono fatte appendendo la telecamera a un elastico e farla rimbalzare ogni istante come un canguro mentre inquadra i due che lottano... Roba da mal di testa, lo giuro. Per il resto c'è intrigo, corse contro il tempo, inseguimenti, spietatezza a non finire. Gli attori, come al solito, son quasi tutti bravi, e al contempo tutti comparse perché questa pellicola è Bourne centrica. Mai che i cattivi abbiano il loro momento di protagonismo... Sono prede da stanare. Mai che i comprimari abbiano il loro momento di approfondimento, è Bourne che le rende interessanti. Questa è forse la pecca maggiore delle pellicole di Bourne, ma vi assicuro che se si segue il film per rilassarsi e divertirsi, non ci si accorge di nulla. Poi, il vantaggio di creare una sorta di miniserie, fa sì che alcuni comprimari acquisiscano spessore con il tempo, perché piano piano la trama lascia loro quegli scampoli necessari ad esprimere emozioni, a far trasparire un briciolo di profondità. Bravi gli interpreti, che non cito per pigrizia, a sfruttare questi momenti a vantaggio del loro personaggio.

In generale, è ben fatto e avvincente. Rimane sul livello dei suoi predecessori, e basta con le storie parallele, niente leader di colore da uccidere, niente mafioso/magnate russo che vuole vendicarsi, qui è Bourne contro tutti, capito?



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sabato 17 ottobre 2015

The Bourne Supremacy - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Secondo capitolo della saga cinematografica recepita dai romanzi di Ludlum. The Bourne Supremacy riparte da dove eravamo rimasti. 

L'amnesia non è passata. Di notte Jason ha incubi terribili, flashback di un passato che stenta a ricostruire. E' sua volontà lasciarsi alle spalle il proprio passato, e sta tentando di condurre una vita normale insieme alla sua ragazza, Marie. Ma i suoi progetti di vita serena si infrangono quando un killer spietato si mette sulle sue tracce, lo bracca, e uccide la sua amata. 
Ricordate la promessa fatta a quelli dell'agenzia? Se non mi lasciate in pace diverrete il mio bersaglio. Così è... Solo che non è l'agenzia ad averlo perseguito. C'è molto di più. Un russo morto, degli agenti uccisi, impronte di Bourne a Berlino quando lui si trova a più di 4000 km di distanza... L'intrigo è fitto e difficile da sbrogliare. Braccato da un nemico sconosciuto, Bourne dimostra comunque di essere tutt'altro che un facile obiettivo. 

Cosa mi è piaciuto di questo film? Che mantiene l'aura di film pensato. Non si lascia sedurre da effetti speciali e scene pirotecniche. La narrazione rimane terra-terra. Non mancano gli inseguimenti spettacolari, non mancano scene mozzafiato, non manca la tensione, così come non mancano i momenti di riflessione, ma tutto ha un suo ritmo equilibrato e piacevole, mai chiassoso, o fracassone che dir si voglia. Bourne non è un smargiasso dei servizi segreti, ha sempre il profilo basso, e tutto scorre come se fosse preda degli eventi, incapace di uscirne se non facendo affidamento solo a sé stesso.

Bravo Damon, qui entra meglio nel personaggio e mostra un volto di sé meno rassicurante. Bravi tutti gli attori che fungono da spalla, nessuno di loro spicca, e neppure ha sufficiente spazio per creare una propria aura nella pellicola. No, tutto ruota attorno a Matt Damon. E' giusto che sia così, ma ci vorrebbe un po' più di spessore anche per gli altri.
Pazienza. Il film è comunque godibile, e si guarda ancora volentieri.


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venerdì 16 ottobre 2015

The Bourne Identity - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Tratto dalla mente creativa di Robert Ludlum, Jason Bourne è un personaggio che stacca un pochino, per lo meno nel primo film di questa serie, dai soliti action hero. La faccia da bravo ragazzo di Matt Damon, alcuni dialoghi che rasentano l'ingenuità, e altri piccoli particolari della pellicola, fanno sì che subito si prenda in simpatia questa spia, che di sicuro non ha la faccia tosta di un Ethan Hunt, o di un James Bond.

The Bourne Identity è il primo film della saga. Un uomo viene ripescato da un peschereccio italiano in mare aperto. Ha perso la memoria, è ferito alla schiena, e con se ha solo un numero di conto inserito in una pallottola nascosta sotto pelle. I pescatori lo aiutano a tornare sulla terra ferma, gli danno qualche spicciolo per arrivare in Svizzera, dove si trova la banca misteriosa. In una cassetta di sicurezza a Zurigo l'uomo trova diversi passaporti, molto denaro, una pistola automatica e un nome, Jason Bourne. Da quel momento, però, si sente braccato... Cerca di raggiungere l'ambasciata americana, ma all'interno delle mura scopre di non essere al sicuro; fugge, fugge insieme a una ragazza che si offre di condurlo fino a Parigi. Bourne segue le briciole lasciate dalla sua vita passata, e un po' alla volta scopre di essere stato una persona molto diversa da ciò che crede di essere.

Storia interessante, molto europea, per quanto presenti alcune ingenuità che ne forzano un po' la vicenda. Trovo davvero strano che, per quanto privo di memoria, Jason Bourne non capisca di essere un agente dei servizi segreti, specie quando trova la cassetta piena di denaro, con passaporti validi tutti con la sua foto ma con nomi differenti, e soprattutto, un'arma. O è un agente segreto, o è un malvivente molto ben organizzato. Ma queste due opzioni non gli passano mai per l'anticamera del cervello, e non capita neppure alla ragazza che lo accompagna e lo aiuta. Certo... Sentirsi braccati non aiuta a ritrovare la memoria, e la lucidità, ma un lieve sospetto gli doveva pur venire, visti i suoi riflessi perfettamente addestrati e la sua preparazione atletica. Eppure è il buio più totale, per lo meno finché non si stringe la tela attorno a lui, e finalmente - forse - più o meno, capisce. Ci vogliono però i flash back finali... Un grande classico del film d'azione, ove il buono fa parlare il cattivo prima di finirlo... O era il contrario? A ogni modo qui poco si comprende chi sia il buono e chi sia il cattivo. Damon convince a metà, è bravo, ma per il ruolo di Bourne ci voleva una faccia da schiaffi, un volto più spavaldo, e non quello da ragazzo della porta accanto che Matt Damon offre alle telecamere.

A ogni modo è bello da vedere. Niente effetti speciali o mosse ninja acrobatiche. E' un sano film di spionaggio come quelli dei bei tempi andati. Si... Ma rimarrà così? Ci sono altri tre film da recensire nei prossimi giorni. Lo scopriremo assieme.


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giovedì 15 ottobre 2015

Arma Infero - #Libri #Recensione

Glauco Silvestri
E' passato parecchio tempo dall'ultima volta in cui ho avuto l'occasione di poter leggere il libro di un esordiente. Arma Infero mi è capitato tra le mani per caso; non conoscevo Fabio Carta, l'autore, e neppure stavo cercando un romanzo di questo tipo, visto che ho una lista di titoli - in casa - che attendono ancora di essere letti. E' giusto anticipare che è stato proprio l'autore a contattarmi, per avere un parere, anche in forma privata.

Come ben sapete, in questo mio angolo di web ho smesso di pubblicare recensioni a titoli che non mi sono piaciuti, perché mi pare tempo sprecato, perché come diceva un noto statista, 'parlate pure male di me, ma continuate a parlare di me', e anche una rece negativa è pubblicità, perché alla lunga, chi legge, ricorda di aver letto qualcosa su un determinato titolo, ma magari non ricorda che cosa ha letto, ricorda solo di aver letto, e il titolo del libro, così alla fine magari lo compra, e rimane deluso. Per cui se son qui a parlare di Arma Infero è perché... Mi è piaciuto. Mi è piaciuto parecchio. Per cui... Eccovi la recensione.

Trama: Muareb è un remoto pianeta anticamente colonizzato dall'uomo. Su di esso langue una civiltà che piange i fasti del suo passato, e vive tra le ceneri di un conflitto che ha devastato il pianeta, e lo ha reso quasi inabitabile. Tra questi c'è Karan, vecchio, malato, ma protagonista nella guerra che distrusse tutto quanto. Visto che questi è uno degli ultimi ad avere memoria del passato, viene condotto su un palco, per raccontare la sua storia, che fu quella di uno scienziato, ma anche di un cavaliere, protagonista in quella guerra, e amico fedele di colui che volle la guerra, Lakon, il Martire Tiranno. 
Karan racconta, in questo libro, come Lakon è giunto alla Falange. Il suo arrivo è da schiavo liberato. E' Karan stesso gli salva la vita, è Karan che lo inserisce nel mondo della scienza, e che lo porta di fronte al principe Silen, il quale lo innalzerà al titolo di 'mastro di forgia', e poi a cavaliere, aprendo così l'ascesa di Lakon verso ciò per cui era predestinato.

Il libro è solo il primo capitolo di una saga che pare davvero allettante. C'è davvero tantissima carne al fuoco e i personaggi sono molto ben caratterizzati. Il primo libro si chiude in modo brutale per il lettore, perché quando si arriva alle ultime pagine si è avidi, e si vorrebbe che non terminasse, perché la vicenda è a dir poco entusiasmante, intricata, violenta, con qualche parentesi emotiva, ma tanto coinvolgente da... Come dire, era parecchio tempo che non mi lasciavo prendere in questo modo da una lettura.
L'ambientazione è un mix di futuro e passato. Se la Falange è gestita da una politica a dir poco medievale e cavalleresca, i mezzi sono però estremamente tecnologici, per quanto appaiano solo come una glabra testimonianza di ciò che poteva essere stato nel passato remoto di Muareb. Il pianeta ha una geografia interessante, non tutti vivono nella arretratezza come i cavalieri della Falange; esistono luoghi ove la tecnologia è molto più avanti, dove si ha ancora il controllo di vecchie stazioni orbitali, dove l'acqua è abbondante, così come la ricchezza, e soprattutto la corruzione.

E' davvero interessante l'ambientazione, così come sono convincenti i personaggi che compaiono in questo primo capitolo. Solidi, di spessore, profondi, e con caratteri molto sfaccettati, mai banali. La narrazione è pulita, elegante, con un tono quasi altisonante in alcuni punti. Ha un richiamo a una narrativa del passato, meno diretta ed essenziale. Aggettivi ed espressioni non sono quasi mai banali. Si vede chiaramente che c'è stato uno studio molto attento e particolareggiato, sia nella narrazione, sia nella costruzione generale del romanzo.

Difetti? Sì... Relativamente. Il finale ricorda molto quello de La Compagnia dell'Anello. Il gruppo di cavalieri si separa, ognuno ha la sua missione, storie che ci verranno raccontate nei prossimi volumi. Non c'è una chiusura vera e propria di questo primo volume, per quanto esso si chiuda coerentemente con quanto ci viene narrato, si rimane un po' a bocca asciutta. 
Ammettiamolo: il finale delude perché si vorrebbe che il libro non finisse proprio. 

Lo consiglio, assolutamente!


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mercoledì 14 ottobre 2015

L'iperfocale - #Corso #Fotografia

Glauco Silvestri
L'iperfocale è stata citata poco tempo fa, parlando di Profondità di Campo, senza però aggiungere molto al riguardo. Si applica quando si scattano foto in manuale, ovvero quando si può agire sia sui tempi, sia sulle aperture del diaframma.
L'iperfocale è una condizione per cui la Profondità di Campo stessa si estende dall’infinito a una zona posta circa a metà della distanza di messa a fuoco.
Questa condizione esiste per ogni focale, a ogni apertura di diaframma. Per di più, a focali più corte corrisponde una maggiore profondità di campo nitido ottenibile, e più vicina sarà la distanza iperfocale stessa.

Detta in soldoni, per ogni ottica che possediamo, all'apertura di diaframma che preferiamo, c'è un punto di messa a fuoco per cui, da quel punto fino all'infinito, tutto appare perfettamente a fuoco. Prendiamo un 50mm, settiamo l'apertura a F/11, la distanza iperfocale corrisponde a 7,63 metri. Tenendo il nostro soggetto a quella distanza, e mettendolo a fuoco, la fascia di campo nitido si estenderà da circa 3,65 metri all'infinito.

E' evidente che se si desidera fotografare un paesaggio, utilizzando questo sistema possiamo ottenere immagini a fuoco veramente spettacolari. In pratica, piuttosto che mettere il fuoco a infinito e poi chiudere il diaframma per ottenere la corretta esposizione, è conveniente mettere a fuoco un dettaglio alla distanza iperfocale, così da immortalare una fascia di campo nitido molto più estesa.

E' evidente che per calcolare la distanza iperfocale sia necessaria un po' di matematica; è però vero che esistono delle tabelle che vengono in aiuto (n.d.r. vedi qui sotto), e delle applicazioni per smartphone - anche gratuite - che possono calcolare questo valore in tempo reale (come quella già suggerita in occasione dell'articolo sulla profondità di campo).

Clicca per ingrandire
Vediamo ora di mettere in pratica quanto detto fino ad adesso.
Qui di seguito potete notare la differenza tra un paesaggio fotografato in modo classico e uno utilizzando l'iperfocale. Entrambe le foto sono state scattate in manuale, e salvate in formato Jpeg ad alta risoluzione.
La prima immagine è stata scattata con l'apertura di diaframma massima del 22-55mm in mio possesso, ovvero F/4. La seconda è stata scattata con una apertura F/5.6, ovvero quella consigliatami dalla App per ottenere una iperfocale con un soggetto posto a 4,5m di distanza. In questo caso il soggetto messo a fuoco in entrambe le foto è il telaio della portafinestra.

Indicazioni fornite dalla App
per ottenere la distanza iperfocale
con il 22-55mm
F/4 ISO400 1/50" 22mm
apertura massima
F/5.6 ISO400 1/25" 22mm
iperfocale










Se si ingrandiscono le due foto (n.d.r. click per ingrandire) e si guarda fuori dalla porta finestra, risulterà evidente che quella scattata utilizzando l'iperfocale avrà lo sfondo a fuoco, mentre l'altra no.

Per notare nel dettaglio questo effetto ci si può concentrare sul lampione (n.d.r. scelti per gli ingrandimenti che seguono), sulle foglie degli alberi circostanti, e persino sull'antenna tv che compare davanti a un albero, più o meno sempre in corrispondenza del lampione, ma più in alto.

Il livello di dettagli si nota già dalla miniatura riportata qui di seguito, ma si rivela con precisione osservando le immagini alla loro dimensione originale (n.d.r. click per ingrandire).
F/4 ISO400 1/50" 22mm
apertura massima
F/5.6 ISO400 1/25" 22mm
iperfocale












E se non si ha a disposizione la tabella, o uno smartphone con l'apposita App?

Sugli obiettivi di fascia alta è possibile ricavare la distanza iperfocale in modo abbastanza semplice, grazie alle informazioni che l'obiettivo stesso ci fornisce.

obiettivo prosumer

E' sufficiente impostare sulla reflex una delle aperture indicate sull'obiettivo, ad esempio F/22, e di seguito regolare l'obiettivo in modo che la distanza infinita corrisponda con quella focale. 
Fatto ciò, l'obiettivo vi indicherà la corretta distanza per la messa a fuoco del soggetto,  attorno ai 2,5 metri o poco meno.
Questa sarà la distanza iperfocale, e di conseguenza, la fascia di campo nitido sarà compresa tra gli 1,25 metri circa e infinito (ovvero la metà della distanza iperfocale, circa). 
obiettivo consumer

Sfortunatamente gli obiettivi di fascia intermedia e bassa non offrono questo tipo di informazioni, per cui si è costretti ad andare a spanne, a consultare la tabella, o usare una App come quella citata poco fa, e mettere a fuoco un soggetto che appaia alla distanza corretta, e scattare la foto.

E' importante ricordare che, nel dubbio, è meglio mettete a fuoco un po’ oltre, ma mai 'davanti' alla distanza iperfocale. Se si imposta l’obiettivo per mettere a fuoco a una distanza minore dell’iperfocale, gli oggetti più distanti non saranno nitidi.
In conclusione, il concetto di iperfocale - onestamente - non è così versatile come si può credere, specie oggigiorno ove l'elettronica riesce a offrire prestazioni davvero notevoli. E’ utile comunque conoscerlo, per sapere come agire in quelle situazioni in cui autofocus e fuoco manuale non sono adatti al nostro scopo.




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