sabato 29 giugno 2019

Scampoli di Sigurtà - #Fotografia

Glauco Silvestri
Eccomi alla seconda fuga stagionale dalla mia città e... Visto che lo scorso anno avevo saltato l'appuntamento con il bellissimo Parco Giardino Sigurtà, il weekend scorso io e la mia compagna siamo tornati a visitarlo.

Rosso

L'idea era quella di una giornata di relax nel verde, a goderci la natura, senza perdersi a fare foto di continuo. E quasi ci siamo riusciti. Sfortunatamente il parco offre sempre nuovi spunti per delle belle immagini e... I colori... I colori sono ammalianti.

Pink Kiss

Colori nella Natura

Beauty

E anche le creature che ci vivono, specie le farfalle, hanno un qualcosa di magico.

Farfalla

Di fiore in fiore

In capo al mondo

Scorpacciata di polline

I daini sono creature davvero dolcissime. Basta offrire loro qualche foglia che subito si avvicinano e accettano persino di farsi accarezzare. E' evidente che sono abituati al contatto con l'uomo, ma come si fa a non godere della loro compagnia?

Che Fame!

Puro Relax

L'acqua ha un ruolo importante per l'intero equilibrio del parco. Ma qui è anche decorazione. I laghetti sono invasi da ninfee, molte fiorite, altre pronte a sbocciare, e i riflessi si sprecano in una giornata perfetta come quella in cui abbiamo visitato questo luogo magico.

Verso il cielo

Fiori sull'acqua

Placidi momenti

Piscina?

Non si può dimenticare, ovviamente, il Castello Scaligero che rimane sempre sullo sfondo di questo luogo, e il grande manto erboso in cui si è invitati a camminare scalzi, da quanto è ben curato e attraente.

Torre Scaligera

A piedi nudi...

Tutte le foto scattate in questa meravigliosa occasione, e anche quelle ottenute nelle mie visite precedenti, sono raccolte qui, nell'album flickr dedicato al Parco Sigurtà. Se vi sono piaciute le immagini che avete visto in questo breve post, vi invito ad andare a vedere l'intero album... Non mancherà di affascinarvi ancora di più.



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venerdì 28 giugno 2019

Marilyn - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Quando vidi Marilyn al cinema fu... Fu quasi un colpo di fulmine. Il ritratto della mitica star che la pellicola mostrava agli spettatori non era quello della solita diva inarrivabile, bensì quello della ragazza vulnerabile e in balia di ciò che le capitava attorno e la coinvolgeva.

Non viene raccontata tutta la vita di questa incredibile ragazza, bensì solo una settimana, una breve permanenza in Gran Bretagna, per il film Il Principe e la Ballerina. Il racconto nasce da un libro autobiografico di Colin Clark in cui viene raccontata l'esperienza dell'autore - all'epoca venticinquenne - e assistente sul set del film.
In quel periodo la bella Marilyn era sposa novella, e il marito - Arthur Miller, commediografo - fu presente alle riprese solo per breve tempo, visto che dovette ritornare in fretta e furia negli States. Destabilizzata dalla 'fuga' del marito, l'attrice comincia a non offrire più il meglio di sé davanti alle cineprese, specie di fronte al perfezionista Lawrence Olivier, che coglie ogni occasione per brontolare e criticare l'artista americana. Per questo il giovane Colin viene incaricato di riempire i 'vuoti' causati dalla partenza del marito di lei.
Il ragazzo prende a cuore il compito. Le fa da cicerone, la intrattiene, eccetera eccetera, diventa l'amico fidato di lei... e ovviamente finisce per innamorarsi della ragazza.

Il film è una sorta di favola moderna, un po' come erano i film della Monroe, ma in questo caso è una storia vera. Le interpretazioni sono magistrali, arriveranno molte nomination e premiazioni per la meravigliosa interpretazione di Michelle Williams. E il film cattura molti consensi. La regia è magistrale, classica, perfetta per la vicenda che vuole raccontare. Il ritmo è delicato come una carezza. E lei, Marilyn, è ritratta con gli occhi del giovane Colin, innamorato, abbacinato, affascinato... Scegliete voi l'aggettivo giusto... Da Marilyn Monroe. E chi potrebbe resistere al fascino di questa bellissima, fragilissima, ragazza?



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giovedì 27 giugno 2019

La trilogia di Nikopol - #Fumetti #Recensione

Glauco Silvestri
Parecchio tempo fa, non ricordo se su questo blog o sul mio precedente (n.d.r. 31 Ottobre) scrissi una recensione su Immortal ad Vitam, una vicenda surreale che amai nonostante ebbi grosse difficoltà a coglierne ogni sfumatura. Parecchi anni più tardi, in un mercatino dell'usato, mi imbatto nella Trilogia di Nikopol, e sul momento non ho collegato le cose... Anzi, il collegamento è nato dopo aver finito la lettura di questo fumetto, leggendo le note sugli autori e... Ecco che si è accesa la lampadina!

Al centro della vicenda c'è un esame approfondito e critico sulla incredibile ossessione di potere che anima gli uomini, forse l'unica creatura che vuole dominare e desidera essere dominata allo stesso tempo, vista la sua capacità di creare delle divinità ad hoc per giustificare le sue pulsioni.
Bilal, l'autore, ci proietta in un futuro non molto lontano, è il 2023, ma molto differente da quello che conosciamo. Siamo a Parigi. La città è molto cambiata a causa delle due guerre mondiali che hanno devastato il pianeta. Ora il mondo è guidato per lo più da grossi conglomerati comunisti, e a Parigi sopravvive una nicchia di potere fascista consumista ove tutto è concesso entro i limiti di razza e capacità. Parigi è prossima alle elezioni, e il suo problema più grosso è quella enorme piramide comparsa in cielo. Nessuno sa cosa sia e cosa voglia, a parte ovviamente il governatore. Questi sta contrattando con le divinità egizie, in viaggio nello spazio siderale, per un rifornimento di carburante. Ovviamente il governatore vuole in cambio l'immortalità, così che possa governare a vita sul popolo grazie a elezioni sempre pilotate, e a un popolo non troppo attento a queste faccende.
Il problema sorge quando la difesa aerea di Parigi abbatte una piccola capsula proveniente dallo spazio. E' di fattura terrestre, e arriva dal lontano 1993. Se all'inizio tutti pensano sia una sorta di rottame vagante catturato dall'atmosfera terrestre, in breve tempo si scopre che la capsula contiene un uomo ibernato e un robot che deve badare alle sue esigenze.
Horus, in disaccordo con i suoi compagni di viaggio sulla piramide, decide di smuovere le acque per accelerare i tempi e ottenere il carburante di cui hanno bisogno. Entra nel corpo del povero Nikopol, ovvero l'uomo ibernato, e lo guida verso il potere, e il governo della città. Grazie ai poteri del dio, e a un popolo - come già detto - poco attento, vi riesce in brevissimo tempo. Nikopol va al governo, gli dèi ottengono il carburante, e improvvisamente la politica di Parigi vira verso una più aperta forma di libertà, dove addirittura le donne vengono liberate dal loro compito di incubatrici viventi, e possono finalmente vivere come gli uomini, libere e indipendenti.
Sfortunatamente il potere di Horus destabilizza la mente di Nikopol, il quale comincia a recitare poesie di Bodelaire e a non ragionare con coerenza. Tutto ha inizio quando l'uomo incontra il figlio che non sapeva di avere. I due si somigliano moltissimo, e destino vuole che abbiano la medesima età. Ovviamente, essendo due estranei, il rapporto tra i due è piuttosto strano, ma alla fine, vista l'instabilità del padre, sarà il figlio a tenere le redini del nuovo governo.
Nel frattempo l'attenzione si concentra su una particolare giornalista, bellissima, con i capelli blu naturali, la quale scrive articoli che vengono pubblicati nel passato, nel 1993 per la precisione, grazie a una macchina che è in grado di trasmettere le informazioni nel passato. E' lei che funge da legante tra presente, futuro, e passato, e che forse - pur essendo solo una testimone degli eventi - influenza scelte capaci di condizionare gli eventi di tutta la vicenda.

Bellissima narrazione, complessa, e affascinante, con disegni che conquistano vignetta dopo vignetta, e ambientazioni che si radicano nella fantasia del lettore lentamente, prima sconfortandolo, poi emozionandolo, e infine proiettandolo nella vicenda come se tutto quanto potesse essere reale. Nella storia si percepiscono le origini dell'autore, Slavo, nato nel 1951 a Belgrado, sotto il dominio di Tito. La dittatura comunista in cui visse si può toccare con mano in questa vicenda, dove spesso viene citato il Duce, e le pose dei personaggi ricordano le gesta narrateci dai cinegiornali dell'epoca. Ovviamente lui le visse realmente, e in un qualche modo, le sue esperienze sono trasmesse nella narrazione distopica di questa trilogia, che finisce come Tomasi di Lampedusa ci racconta, in un anello di cambiamenti che non portano mai al vero cambiamento.

Bellissimo!




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mercoledì 26 giugno 2019

Installiamo #Domoticz sul nostro #Raspberry Pi (Lesson 03) - #Domotica #Corso

Glauco Silvestri
Eccoci nuovamente al lavoro. Con l'altra lezione avevamo predisposto il Raspberry al 'grande passo'. Oggi installeremo Domoticz e lo vedremo funzionare sin dal primo minuto.

L'ultima informazione che avevamo recuperato nella scorsa lezione era l'indirizzo ip del nostro dispositivo. Ora proveremo a connetterci ad esso da remoto, in modo da poter lavorare più comodamente attraverso il nostro desktop pc, e non tramite un mondo testuale a cui, magari, non siamo poi così abituati a vedere.

Se abbiamo un Mac, o un computer con sistema operativo Linux, dovremo semplicemente aprire una finestra del Terminale e digitare la seguente stringa:
ssh pi@'indirizzo ip del Raspberry'
Se abbiamo fatto le cose per bene, il nostro computer si collegerà al Raspberry, e a terminale vedremo la richiesta di inserimento della password.

Se abbiamo un computer con Windows a bordo dovremo installare una applicazione che ci permetta di accedere in ssh al nostro Raspberry. Io consiglio Putty, sia perché è gratuita, sia perché è l'unica che conosco.

All'avvio, Putty avrà bisogno di alcune informazioni per potersi connettere al Raspberry.


E' sufficiente inserire l'indirizzo IP nell'apposita finestra, selezionare SSH, e cliccare su Open.
La prima volta in cui accederete al Raspberry, Putty vi segnalerà che vi state collegando a un Host sconosciuto, e vi chiederà conferma. Premete Yes per validare la connessione. Putty si ricorderà di questa scelta e non vi farà più domande... O meglio... Vi chiederà a quale utenza volete collegarvi. Scegliete pi e inserite la password che il Raspberry vi ha chiesto di creare al primo avvio.

A questo punto, sia col Mac, con Linux, e persino con Windows, dovremmo essere 'dentro'.

Ma... E se invece viene segnalato un errore? Probabilmente l'indirizzo IP che abbiamo rilevato la volta scorsa non è più valido. Capita quando le connessioni WIFI sono impostate con indirizzo IP dinamico. Nessun panico. In seguito vi spiegherò come far sì che il vostro Raspberry abbia un IP statico, così da non avere mai più problemi, nel frattempo è sufficiente tornare a quanto descritto alla lezione 2, ricolleghiamo monitor, tastiera, e mouse al Raspberry, troviamo il nuovo IP, quindi ripetiamo tutta la procedura sopra descritta.

A questo punto tutto funzionerà a dovere, e a schermo dovremmo vedere una schermata completamente testuale come quella qui sotto.


la scritta pi@raspberrypi ~ $ testimonia che siamo connessi al Raspberry. Sappiate che per uscire da questa finestra bisogna digitare
exit
Ma per il momento rimaniamo dentro... Che c'è parecchio da fare!

Partiamo con un veloce aggiornamento del sistema, giusto per essere sicuri che l'immagine disco installata non sia un po' datata.

Digitiamo le seguenti due stringe, prima una, poi l'altra, premiamo enter e attendiamo che il Raspberry faccia ciò che deve.
sudo apt-get update
sudo apt-get upgrade
Nel caso il Raspberry ponga qualche domanda, rispondiamo Si, o Yes, a seconda del caso, e lasciamo che la procedura arrivi fino in fondo.

Fatto ciò, proseguiamo con l'installazione di Domoticz, usando la via facile, che non ha molto senso arrovellarsi nel scaricare i sorgenti, compilarli, eccetera eccetera.
Digitiamo:
curl -L https://install.domoticz.com | bash
Il Raspberry installerà tutto quanto, e giunto alla fine, avremo Domoticz funzionante. Non ci credete? 

Aprite una finestra del vostro browser e digitate il seguente indirizzo:
http://indirizzo ip del Raspberry:8080
(ad esempio: http://192.168.0.10:8080)
Domoticz vi apparirà subito dopo il caricamento della sua interfaccia.


Ovviamente lo vedrete vuoto. Dobbiamo ancora impostarlo in modo tale che riesca a vedere i nostri dispositivi... Ma vederlo in funzione è una gran bella cosa, vero?

Prima di lasciarvi, visto che la lezione di oggi è conclusa, vi segnalo che Domoticz è accessibile anche attraverso il protocollo sicuro attraverso la porta 443. Sul browser è sufficiente digitare ciò che segue:
https://indirizzo ip del Raspberry:443(ad esempio: https://192.168.0.10:443)
Per arrivare a Domoticz in https.

Hey! Aspettate un'attimo prima di andarvene. Avete voglia di un piccolo extra? Visto che a inizio lezione avevamo parlato di impostare un ip statico sul vostro Raspberry, perché non farlo subito? E' semplice, ci vuole un attimo...

Torniamo al nostro terminale. Digitiamo quanto segue:
sudo nano /etc/dhcpcd.conf
Si apre una sorta di editor di testo, e il file che andiamo ad aprire è quello di configurazione della connessione di rete del Raspberry. Scorriamo fino in fondo al file e digitiamo le seguenti stringhe:
 interface eth0 
static ip_address=192.168.1.4/24 
static routers=192.168.1.1
static domain_name_servers=192.168.1.1
Quanto indicato sopra è la configurazione nel caso il Rasberry venga collegato alla rete di casa attraverso il cavo Ethernet (n.d.r. eth0). Alla voce static ip_address va messo l'indirizzo ip che desideriamo (n.d.r. Mettiamo quello che stiamo usando ora, così è più facile). Il /24 va messo! Alla voce static routers va messo l'indirizzo ip del router. E il medesimo indirizzo va messo anche su static domain_name_servers

Aggiungiamo uno spazio e ripetiamo tutto quanto
interface wlan0 
static ip_address=192.168.1.4/24 
static routers=192.168.1.1
static domain_name_servers=192.168.1.1
Queste stringhe serviranno per la connessione wifi (n.d.r. wlan0).

Salviamo tutto premendo contemporaneamente CTRL e O e confermando con Enter. E usciamo con CTRL e X, sempre premuti contemporaneamente.

Riavviamo tutto quanto:
sudo reboot
E al riavvio il nostro Raspberry avrà per sempre l'indirizzo ip che abbiamo deciso di affidargli.


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martedì 25 giugno 2019

“Da quale parte lo vuole?” Abbassai gli occhi.

Glauco Silvestri
“Da quale parte lo vuole?” Abbassai gli occhi. Teneva fra pollice e indice il mio pene flaccido, in attesa di sistemarmelo, a mio piacimento, a destra o a sinistra della fasciatura centrale. Mentre riflettevo alla singolare decisione, il tessuto cavernoso del pene s’accese d’una breve scintilla della prima erezione dal giorno dell’incidente – e la scintilla si riflesse in una leggera scarica di tensione fra le dita eleganti di lei.

Crash (Italian Edition) (Ballard, James Graham)



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domenica 23 giugno 2019

I Romanoff - #SerieTV #Recensione

Glauco Silvestri
Ho letto recensioni contrastanti su I Romanoff. Il Foglio, per esempio, ne parla davvero male, ritiene questa serie noiosa, specie se paragonata a Mad Men. Però c'era qualcosa che mi incuriosiva in questa serie prodotta da Amazon, forse l'aura di mistero che ha sempre orbitato attorno alla famiglia reale russa, forse invece la prospettiva di vedere qualcosa di davvero differente rispetto alle altre serie.

E' per questo motivo che io e la mia compagna abbiamo deciso di guardare la prima stagione de I Romanoff. Sono otto episodi, tutti lunghi quanto un film, un'ora e mezza abbondante, e ognuno a sé stante se non per quel debole filo conduttore che lega la serie, ovvero, i protagonisti sono tutti discendenti della famiglia reale russa, quella che fu trucidata quando ci fu il cambio di regime e il comunismo ebbe inizio.

Film a sé stanti che ci fanno viaggiare per il mondo. Il primo episodio è ambientato in Francia, dove una donna anziana viene assistita da una badante araba, e nonostante i pregiudizi, finisce per preferirla la nipote, sempre assente a causa di una fidanzata un po' opprimente. Poi voliamo in America, e poi ancora in Messico (n.d.r. bellissima storia, bellissimi luoghi), e poi in Austria per girare una serie sui Romanoff (n.d.r. Una storia dentro la storia, affascinante). E ancora ci spostiamo da un luogo all'altro, fino a finire su un treno ad alta velocità, in cui due personaggi apparentemente sconosciuti, condurranno l'epilogo della serie verso un qualcosa di inaspettato.
La narrazione è delicata, a volte con un pizzico di mistero, a volte con un pizzico di brio. C'è tantissima attenzione alla fotografia, alle ambientazioni, ai dialoghi. Sembrano film di Woody Allen, delicati ma con quel fine sottinteso noir che incolla. E forse è vero che gli episodi di questa serie non hanno il ritmo a cui solitamente siamo abituati, ma a me è piaciuto così, perché - lo ammetto - sono un po' stanco di guardare serie dove non c'è mai un attimo di tregua, dove i personaggi sembrano non avere neppure il tempo per andare in bagno, o di fare un riposino. Qui è rappresentata la vita reale, anche se i personaggi sono tutt'altro che banali, lo scorrere del tempo è più vicino ai bisogni umani, e meno ai bisogni dei produttori cinematografici.

Mi è piaciuta molto, ma mi rendo conto che non è adatta a tutti i palati.



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sabato 22 giugno 2019

Sette Sconosciuti a el Royale - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Quando è uscito nei cinema me lo sono perso... Ma la curiosità era tanta, per cui, non appena possibile, ho trovato il modo di potermelo vedere comodamente sul divano di casa e... Ed eccoci qui a parlare di Sette Sconosciuti a El Royale.

Devo ammettere che i trailer mi avevano ingannato. Immaginavo un film molto differente da quanto poi ho visto. Anche il titolo mi ha tradito... Molto meglio quello originale Bad Times a El Royale, spiega meglio la vicenda e proietta in modo più coerente lo spettatore verso ciò che vedrà. Ma che ci possiamo fare? In Italia sono famosi per storpiare i titoli dei film. Fortuna che siamo bravi nel doppiaggio (n.d.r. Ehm, ma che voce ha Hellboy nel nuovo reboot? Orribile!).

Tornando a El Royale, siamo ai giorni nostri. El Royale è una sorta di motel costruito proprio sulla linea di confine tra Nevada e California. Alcune sue stanze sono in Nevada, altre in California, e la Reception sta nel mezzo, con tanto di linea rossa a delimitare il confine tra i due stati. In passato El Royale era un luogo dove si radunavano divi di ogni tipo, era un luogo alla moda... Ma poi il tempo passa e ora è quasi un motel come tutti gli altri. E in un giorno qualunque, eccovi arrivare un commesso viaggiatore, una donna di colore, un prete, e una ragazza maleducata.
Il motel appare vuoto, ma insistendo, ecco che arriva il ragazzo della reception. Vengono assegnate le stanze, pagati i pernottamenti, e ognuno va per i fatti suoi... Se non fosse che questi quattro personaggi sono tutt'altro che banali.
Il commesso viaggiatore è in realtà un agente segreto mandato nel motel per rimuovere le microspie dell'agenzia. Solo che nel farlo scopre altre microspie, e persino una sorta di tunnel che si affaccia su tutte le stanze, e attraverso uno specchio permette di vedere, e registrare, tutto ciò che avviene al loro interno.
E' facendo il suo lavoro che l'agente scopre quanto avviene nelle altre stanze.
Il prete non è un prete, bensì un delinquente appena uscito di prigione che cerca di recuperare il malloppo nascosto nel motel ben 15 anni prima. La donna di colore... be', lei è davvero una cliente di passaggio. E' una cantante. Deve esibirsi a Reno, ma non ha abbastanza soldi per soggiornare in città, per cui eccola nella sua stanza a El Royale, a provare i brani che dovrà cantare la sera successiva.
Nella stanza successiva c'è la ragazza maleducata. Solo che non è sola, ha con sè un'altra ragazza, legata e imbavagliata, seduta proprio davanti a uno specchio. 
L'uomo fa rapporto alla propria agenzia, la quale gli consiglia di attenersi al piano e non interferire, né col rapimento, né con il delinquente che cerca il malloppo. Lui però non riesce a non fare la cosa giusta. Interviene nella stanza della ragazza e... Da qui si scatena il putiferio.

Non vado oltre col raccontare la trama, visto che il film è recente e magari non l'avete ancora visto. Di sicuro, ciò che avviene dopo l'istante in cui l'agente interviene nel rapimento, è pieno di colpi di scena, di spari, di botte da orbi, e anche qualche flashback per fare un briciolo di chiarezza su quanto ci viene mostrato dal grande schermo.
Di azione ce n'è a go-go. Jeff Bridge è sicuramente la star della pellicola, e gestisce bene il suo personaggio, mentre gli altri interpreti sono forse meno 'di spessore' ma comunque efficaci. Bravo anche Tobey Macguir... No, non è lui il ragazzo alla reception, ma gli somiglia davvero tanto!
Il film, all'inizio intriga parecchio, poi degenera, e sul finale annoia un pochino. Il finale non è scontato ma poco ci manca. Forse è una occasione mancata, poteva mantenere il mistero, e non scadere in un roboante putiferio tra i personaggi più improbabili. Per certi versi somiglia a Dal Tramonto all'Alba, ma Tarantino sa quello che fa, mentre qui pare che si perdano un po' le redini della narrazione.

Peccato!

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venerdì 21 giugno 2019

Jumanji, Benvenuti nella Jungla - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ok, è vero! Questo Jumanji non è la stessa cosa (n.d.r. Qui). Eppure è un film che ha il suo perché! La pellicola ricalca l'idea originale, ma la proietta ai giorni nostri trasformando il temibile gioco da tavolo in un videogame scovato per caso da quattro ragazzi in un magazzino del loro liceo.
La curiosità è la loro condanna. Accendono la console giochi, scelgono i personaggi, e... All'improvviso si trovano all'interno del videogame, con tanto di scheda personaggio, una trama da svolgere, e un nemico da sconfiggere.
In questo caso i nostri quattro ragazzi si trovano a dover placare una maledizione. Un archeologo ha sottratto una pietra dai poteri misteriosi dal luogo dove era stata custodita per secoli e secoli. Il potere della pietra lo ha soggiogato, poi, il destino ha fatto sì che la pietra andasse perduta, e così lo spirito dell'archeologo, divenutone succube, che ha tramutato l'uomo in una sorta di demone assetato di potere, sangue, e smanioso di riavere la pietra tutta per sé.
I ragazzi sono gli eroi che devono trovare la pietra e riportarla al tempio. Ma non è facile. Ognuno di loro ha delle capacità, ma ognuno di loro è dentro a corpi che non rispecchiano il loro spirito. E così il Nerd diventa l'eroe forzuto; il campione di football diventa il pavido amico dell'eroe; la cheerleader diventa lo scienziato obeso di mezza età; e la secchiona diventa l'eroina tutto fascino e arti marziali. E come vuole la tradizione, durante la loro missione incontreranno il 'pilota di idrovolanti', altro personaggio del videogame rimasto bloccato al suo interno da oltre vent'anni.
Il film è divertente, pieno di gag che attirano risate spontanee, e grazie a Jack Black non ci si annoia mai. 
Anche Dwayne Johnson è abilissimo a rappresentare il suo personaggio, fuori tutto muscoli e carisma, dentro pauroso, nerd, senza spina dorsale. E se il film intrattiene con avventura, divertimento, azione, ed effetti speciali - sorpresa delle sorprese - c'è anche il messaggio da cogliere. Già! Perché nel film è chiaro che si vuol mostrare agli adolescenti che possono diventare tutto ciò che vogliono, l'importante è che abbiano il coraggio di fare le scelte giuste, e che vadano incontro alle loro paure, piuttosto che evitarle, evitando così di fare esperienze e di riuscire a crescere interiormente.

E... be', no... Non ce la facciamo proprio a raggiungere i livelli del Jumanji originale, ma ciò non significa che questo film non possa essere altrettanto piacevole da vedere. Ve lo consiglio.



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giovedì 20 giugno 2019

Chanbara, Il Lampo e il Tuono - #Fumetti #Recensione

Glauco Silvestri
Dopo aver letto La via del Samurai, attendevo con trepidazione una nuova pubblicazione di Chanbara, specie dopo aver letto che Roberto Recchioni aveva in programma di lavorare a una serie dedicata a questo tema. Potrete quindi capire il mio desiderio di leggere Il Lampo e il Tuono non appena questo ha fatto capolino nelle fumetterie e negli store online.
In verità non l'ho letto subitissimo. Una volta comprato, è finito nella cesta dei libri ancora da leggere e... Ha dovuto attendere un pochetto prima di essere in cima alla 'pila' per il suo turno di lettura. A ogni modo, eccomi qua, a metà tra il deluso e il disilluso... E non me l'aspettavo proprio!

Il fumetto ci proietta subito al centro dell'azione. Il maestro Ichi sta per affrontare Ryu Murasaki, il Diavolo Bianco, un Ronin che ha deciso di praticare l'arte del sangue, mietendo vittime ogni dove senza motivazioni se non il proprio piacere personale. Ichi, per la prima volta nella sua vita di Giustiziere Vagabondo, ha la peggio nello scontro, e viene salvato da morte certa da un ragazzino che lo trova morente sulla spiaggia. Una volta ripresosi, Ichi non desidera altro che portare a compimento il suo destino, anche se questa volta comprende di non poterlo fare da solo. Per questo motivo contatta Tetsuo - che abbiamo conosciuto nel primo Chanbara - il quale subito sposa la sua causa, e assieme a lui, recluta anche Jun e Daisuke Nagata, noto come la Bestia Tonante.

Sembra il prologo di una bella avventura, e invece è l'intero primo capitolo della saga, dove c'è davvero poco spazio per la definizione dei personaggi, e molto spazio per il disegno, i corpi sventrati, e... Basta così!
E' evidente che la saga proseguirà sviluppando i protagonisti e raccontandoceli nei dettagli, ma questo avvio di storia non mi ha conquistato se non per la qualità dei disegni. La narrazione è troppo frettolosa, poco consistente, e sembra più un primo episodio da cartone animato dei miei tempi che una graphic novel che voglia raccontare le gesta dei samurai.
Davvero peccato perché, si arriva talmente in fretta alla fine del racconto, che neppure nasce il desiderio di scoprire come continua. Però i disegni sono davvero eccezionali!





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mercoledì 19 giugno 2019

Installiamo #Domoticz sul nostro #Raspberry Pi (Lesson 02) - #Domotica #Corso

Glauco Silvestri
In questo secondo capitolo del nostro corso ci prepariamo a installare Domoticz sul nostro Raspberry. Partirò da zero, come se avessimo un Raspberry Pi nuovo di zecca, e non uno già funzionante con Homebridge a bordo.

Il mio consiglio, per chi avesse seguito il mio corso su come installare Homebridge, è quello di acquistare una nuova micro-sd, e di partire da zero senza dare danni al 'sistema' già funzionante visto in precedenza. Tutto ciò perché per una buona riuscita dell'installazione è meglio partire da un sistema pulito, neutro, e non già impegnato da altre routine funzionanti.

La prima cosa da fare è scaricare una copia di Raspbian Stretch Lite. Questa versione di Raspbian non ha interfaccia grafica. Non ci servirà! Domoticz ha tutto ciò che è necessario, e una volta installato, non dovremo più preoccuparci di accedere al Raspberry e al suo sistema operativo.

Il file scaricato è una immagine disco. Tenetela così com'è. Dobbiamo scrivere questa immagine sulla micro SD che abbiamo appena acquistato. La procedura è semplice. E' necessario scaricare Etcher e installarlo sul nostro computer. E' disponibile sia per Windows, sia per Mac, sia per Linux.


In pochi click, attraverso l'interfaccia di questo semplice programma, potremo scrivere l'immagine sulla SD. Sarà sufficiente selezionare l'immagine disco, la SD di destinazione, e cliccare su Flash! per far eseguire la scrittura.
Una volta terminato questo processo, possiamo inserire la micro-SD sul nostro Raspberry e accenderlo.
Ricordiamoci di collegare mouse, tastiera e monitor al Raspberry. 

Quando la procedura di boot sarà completata, il dispositivo ci chiederà username e password. Quelle di default sono:
Username: pi
Password: raspberry
Questi parametri andranno modificati, per la vostra sicurezza, ce ne occuperemo tra poco.

La prima cosa da fare è ovviamente abilitare il servizio SSH, il quale ci permetterà di accedere al nostro Raspberry da remoto, attraverso il nostro computer, così che saremo più comodi durante tutte le procedure di installazione, e di manutenzione, del sistema.

Digitiamo la seguente stringa:
sudo raspi-config
Apparirà una schermata da cui potremo modificare la configurazione del nostro raspberry.


In questo menù ci possiamo muovere con i tasti freccia, visto che non è disponibile un puntatore mouse. Muoversi in questo menù è abbastanza intuitivo, per cui non mi dilungherò troppo su di esso.

  • La prima cosa da fare è - ovviamente - cambiare la password (menù 1).
  • Seconda cosa fondamentale è connettere il Raspberry sulla nostra rete wifi (menù 2).
  • Terza cosa importante è l'impostazione di lingua e localizzazione (menù 4).
  • Ultima cosa da fare è attivare l'interfaccia SSH (menù 7).
Salviamo tutto quanto, usciamo dal menù di configurazione, e riavviamo con la stringa che segue.
sudo reboot
Quando il sistema è tornato a regime dovremo di nuovo inserire utente e password. Ricordiamoci di inserire quella nuova, e non quella di default.

Per poterci connettere da remoto al nostro Raspberry, oltre ad aver abilitato il protocollo SSH, abbiamo bisogno di conoscere l'indirizzo IP con cui il raspberry si è connesso al nostro wifi. Digitiamo:
sudo if config
A schermo dovrebbe comparire una serie di informazioni di cui a noi interessa solamente l'indirizzo che è indicato alla voce inet addr (n.d.r. Dovrebbe corrispondere a un qualcosa di simile a 192.168.1.xx dove xx è un numero da 1 a 24).


Ora possiamo ricollegare mouse, tastiera e monitor al nostro computer e predisporci per la connessione remota. Se abbiamo un Mac o un computer con sistema operativo linux, è tutto molto semplice. Se invece abbiamo un computer con Windows, dovremo installare un programma ad hoc. Ma è tutto molto semplice, non c'è da preoccuparsi.  

Per oggi ci fermiamo qui. La prossima lezione affronterà la prima connessione remota al nostro Raspberry e l'installazione vera e propria di Domotiz.





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martedì 18 giugno 2019

Nella sua mente

Glauco Silvestri
Nella sua mente, vedeva così il mondo intero morire in un disastro automobilistico simultaneo: milioni di veicoli lanciati l’uno contro l’altro in un congresso finale tutto schizzi di lombi e liquido refrigerante.

Crash (Italian Edition) (Ballard, James Graham)



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domenica 16 giugno 2019

Macchine Mortali - #film #Recensione

Glauco Silvestri
Tratto dall'omonimo romanzo, Macchine Mortali è uno di quei film che mi ha sempre incuriosito, e allo stesso tempo, che non sono andato mai a vedere a causa delle pessime recensioni lette ovunque.

Eppure la curiosità rimaneva, così, qualche giorno fa, ho deciso di guardarmelo comodamente nel salotto di casa e... Be', devo dire che il film altalena vistosamente tra pregi e difetti, soprattutto soffre di quel 'già visto' che ovviamente non permette di apprezzare a pieno la pellicola.

La storia è semplice, per quanto surreale, siamo in un futuro prossimo. Il mondo è stato annientato dalla famigerata 'Guerra dei sessanta minuti'. Il cataclisma ha distrutto tutto, modificato i continenti, e costretto l'uomo a ripartire da capo. Ora le città si muovono e si divorano l'un l'altra per sopravvivere. Ogni tipo di merce si paga col sangue, è come se ogni comunità sia una comunità corsara, ove chi è più forte prende tutto. E la città più forte è Londra. 
Nonostante ciò, Londra è alla fame. Ha ormai divorato ogni altro centro abitato semovente, e le sue mire - per lo meno quelle di uno spietato scienziato-archeologo - sono rivolte all'ultimo baluardo delle città stanziali. Per fare ciò bisogna abbattere un muro impenetrabile, ed è per questo che l'archeologo è in cerca di ogni tipo di reperto del passato per poter rimettere in piedi una delle armi più potenti dell'epoca... Ovviamente per tentare di abbattere quel muro che separa Londra da un lauto pranzetto.
Gli eroi sono ovviamente due ragazzi. Lei è Hester Shaw, una ragazza che da sempre odia lo scienziato pazzo per il fatto che ha ucciso sua madre. Lui è Tom Natsworthy, finito in mezzo a questa storia quasi per caso, con ambizione di diventare pilota, ma a lato pratico è un aspirante archeologo. I due, attraverso un rapporto che oscilla tra amore e odio, riusciranno ad organizzare una piccola combriccola per opporsi alle mire di Londra e...

Devo dire che le critiche che avevo letto del film sono tutte vere. A parte una sorta di deja-vu con Wild Wild West, a parte una sceneggiatura espressamente young adult, a parte i personaggi davvero poco profondi, alla fine questo film si traduce in una apoteosi di effetti speciali.
E alla fine solo questi sono veramente meritevoli...


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sabato 15 giugno 2019

Almost Blue - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Di nuovo scavo tra i reperti della mia collezione privata per scovare un film che non vedevo da decenni, ma di cui ho ancora un ottimo ricordo. Almost Blue è tratto dall'omonimo (n.d.r. E bellissimo) romanzo di Lucarelli. 

Il protagonista è Simone, un ragazzo cieco che vive nella propria mansarda, dove, con l'aiuto dell'elettronica, scandaglia l'etere alla ricerca di suoni, conversazioni, musica, tutto ciò che possa appagare la sua voglia di conoscere e di andare oltre alle proprie capacità fisiche. Lui è abituato ad abbinare ogni rumore a un colore: blu è la musica, rosso è la febbre, eccetera eccetera. Simone è di Bologna, e in questa città vive anche un altro ragazzo, Alessio, che invece è dedito ad osservare attentamente le persone, per poi eliminarle, e mettersi al loro posto diventandone la copia perfetta.
Gli omicidi commessi da Alessio non passano inosservati, e l'indagine viene affidata a Grazia Negro, un giovane ispettore proveniente da Roma, il quale scopre la presenza di un giovane ragazzo sul luogo di ogni delitto... Ma questo è davvero sfuggente, cambia sempre aspetto, ed è davvero difficile da rintracciare. L'unica traccia invariabile è la voce di questo ragazzo... Ed è per questo motivo che Simone viene coinvolto nelle indagini.

Il film piacque molto all'epoca. Raccolse diversi premi, tra cui il David di Donatello per la migliore regia come esordiente ad Alex Infascelli. Il cast è all'altezza della situazione e non appare mai impacciato o troppo teatrale, come invece accade spesso in questo genere di pellicole prodotte in Italia. Bravissimo Claudio Santamaria nei panni di Simone, e altrettanto notevole Rolando Ravello nei panni di Alessio. Buona anche l'interpretazione di Lorenza Indovina nel ruolo dell'ispettore Grazia Negro. E ovviamente la colonna sonora ha il merito di portare un brano di Chet Baker sul grande schermo, in questo caso interpretato da Elvis Costello (n.d.r. Che trovate qui).



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venerdì 14 giugno 2019

La Profezia dell'Armadillo - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Adoro le graphic novel di Zerocalcare. E devo dire che attendevo con ansia l'arrivo del film ispirato al suo primo lavoro, ovvero La Profezia dell'Armadillo. Ansia... Perché più passava il tempo, e più leggevo notizie su cambi di casacca, attori che si defilavano, registi alla prima esperienza... Temevo accadesse quel che poi è accaduto, ahimè!

Un film piatto, piatto nei dialoghi, piatto nella preparazione dei personaggi, piatto nelle interpretazioni, piatto nella regia. Se la graphic novel sa far ridere, commuovere, riflettere, e raccontare, nel film tutto ciò non accade.

Ma cosa racconta questa pellicola? Zero riceve una brutta notizia. Una sua amica d'infanzia, Camille, quella per cui aveva una cotta, è morta. Non si vedevano da tanto tempo, lei era andata a vivere in Svizzera, lui non aveva mai lasciato Rebibbia. La notizia scuote il ragazzo dal suo torpore, dalla sua friend-zone dove nulla cambia mai veramente, e decide di andare al funerale della ragazza. Ma non ci vuole andare solo. Da piccoli, lui, Secco, e Marta (n.d.r. Oddio ho un vuoto... Si chiama Marta, vero?) erano un gruppo unitissimo, per cui Zero si sente in dovere di convincere gli altri due amici ad andare con lui. Ovviamente Secco accetta subito. Ma quando rintracciano Marta, be', lei non è più la ragazza che conoscevano. Ha sposato un avvocato, fa la bella vita, non ricorda neppure più gli ideali che avevano cresciuto loro quattro, e a cui Secco e Zero sono ancora fedelissimi.
E alla fine partono solo lui e Secco...
La narrazione è un mix tra flashback ben riusciti, situazioni di quotidianità mal narrate, personaggi solamente citati (n.d.r. Cinghiale), e figure chiave - vedi la mamma chioccia e l'Armadillo - che non riescono mai a entrare nel personaggio disegnato da Calcare nel suo fumetto. 
L'Armadillo... Oddio, non voglio discutere sul fatto che proporlo come una sorta di pupazzone desti parecchie perplessità, forse è l'unico gesto di coraggio di una regia che di rado riesce a cogliere nel segno, ma sul fatto che parli rapido, sempre sommesso, e che non sia in grado di rappresentare neppure per un breve istante il vero Armadillo che ho conosciuto nei fumetti di Zerocalcare.

Diciamocelo: l'ho guardato dall'inizio alla fine, zitto, senza un sorriso, e senza neppure un briciolo di coinvolgimento per il dramma vissuto da Zero. Tutte le emozioni che avevo provato leggendo la graphic novel, qui, non ci sono proprio.

Peccato! 


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giovedì 13 giugno 2019

Scampoli di #Sirmione

Glauco Silvestri
Era tanto tempo che non andavo sul lago di Garda, e devo ammettere che ne sentivo la mancanza. Per ognuno di noi, credo, esistono luoghi a cui si è affezionati, luoghi che ci fanno sentire bene. Io ho due o tre posti, in Italia, che sanno darmi questo tipo di sensazioni. Il Lago di Garda è uno di questi.

Il Castello

Su questo lago ho avuto ricordi meravigliosi, ma non è questo che lo rende così speciale. Il fatto è che quando sono lì, sto automaticamente bene. Tutte le preoccupazioni, i malesseri, i problemi interiori, tutto svanisce come per magia. Andare sul Lago di Garda è una sorta di luogoterapia, per me, e - lo ribadisco - era già trascorso troppo tempo dall'ultima volta in cui ci ero stato.

Pensavo Peggio

E' per questo motivo che, in occasione del mio compleanno, ho voluto regalarmi una giornata fuori porta... Ed è per questo motivo che quel giorno sono stato a Sirmione.

Cercando l'ombra

Certo, Sirmione non è la mia località preferita, specie in piena stagione, quando offre il peggio di sé diventando una meta turistica all'ennesima potenza, con tutti i negozietti gremiti, le vie strette dove non si circola, il caos, e dove - per trovare un briciolo di silenzio è necessario fuggire tra gli scavi di Catullo, o nei luoghi più remoti, come la piccola chiesetta di San Pietro in Mavino, che è molto fuori dai canonici percorsi di chi frequenta quella località.

Saluto al Sole

Ma il giorno del compleanno, complice il fatto che fosse un normale lunedì, Sirmione era tutt'altra cosa. Un luogo tranquillo, con un paio di scolaresche in visita, poco turismo, e la gente del luogo aperta e disposta a fare due chiacchiere, perché non presa dal caos e dal pressing dei turisti.

Turisti sul Pontile

Certo! Pure io visito Sirmione come turista. Ma ormai la conosco come le mie tasche, e ci vado per rilassarmi, per godermi il lago, per fare una passeggiata lungo il percorso che costeggia il lago, leggendo un bel libro all'ombra degli ulivi, mangiando in quel chioschetto che guarda verso l'orizzonte... Insomma, ho i miei giri, il mio modo di assaporare il luogo, e ho bisogno dei miei tempi per potermelo godere in santa pace.

Cip Cip

A pesca in compagnia

E' anche l'occasione per scattare qualche foto diversa dal solito, senza essere ossessionato dalla novità, o dalla voglia di portare a casa più immagini possibili. Qualche foto pensata, qualche scatto fortuito, qualcosa ci cade sempre, ovvio, se si è appassionati. E ciò accade anche se a Sirmione ci sono stato ormai tantissime volte. I luoghi sono vivi più di quanto ci si immagini, e mutano, e raccontano storie sempre differenti.

Vuoi stare con me?

E poi, lo sapete, io sono attratto dalla natura, ma anche dall'uomo, per cui animali e persone diventano in automatico i miei soggetti favoriti. E non ci si può dimenticare delle nature morte... Qui regnano i limoni!

Big! Really Big!

Le mie foto dedicate al Lago di Garda sono tutte qui. Sono in ordine cronologico dalle più recenti, ovvero quelle che ho scattato solo pochi giorni fa, a quelle più 'antiche'. Dateci un'occhiata e... Fatemi sapere quali sono i vostri luoghi magici.





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mercoledì 12 giugno 2019

Oltre #Homebridge: Vi presento #Domoticz (Lesson 01) - #Domotica #Corso

Glauco Silvestri
Nei mesi scorsi ho introdotto un nuovo argomento su questo blog, ovvero la domotica. Tutto ciò è nato dalla mia necessità/desiderio di accorpare vari dispositivi sotto un unico dominio, così da poterli comandare comodamente sfruttando l'ecosistema a cui già sono legato da anni, ovvero Apple e il suo assistente vocale Siri.
Con Homebridge avevo fatto il primo passo. Grazie ad esso ho avuto la possibilità di vedere tutti i dispositivi sulla schermata di Apple Home, e comandarli comodamente da lì senza dover aprire diverse applicazioni eccetera eccetera.

Ora, sappiamo bene che la fame vien mangiando, per cui è possibile che ad alcuni di voi, provando Homebridge, abbia cominciato a desiderare un qualcosa di più 'sofisticato' e completo, magari con una interfaccia user-friendly, e magari che costi poco.

Ci sono vari ambienti che permettono di ottenere tutto ciò, alcuni sono open-source, altri sono a pagamento. Io mi sono rivolto ai primi, e dopo alcune valutazioni del tutto personali, ho scelto Domoticz per via della sua curva di apprendimento piuttosto breve.
Per di più avevo già in casa tutto il necessario per provare questa esperienza...
Detto ciò, basta preamboli ed ecco la lista della spesa:
  • Un Raspberry P3 B+ (n.d.r. L'avevamo già acquistato, ricordate?).
  • Uno Switch USB - comodo ma opzionale - per condividere il mouse e la tastiera del nostro computer con il Raspberry (n.d.r. L'altra volta avevamo acquistato questo).
  • Uno Switch HDMI - comodo ma opzionale - per condividere il Monitor (n.d.r. L'altra volta avevamo acquistato questo).
Il Raspberry è dotato di connessione wifi e bluetooth, per cui è ben fornito dal punto di vista 'radio', ma se avessimo in casa dei sensori che comunicano con altri protocolli, allora ci tocca aggiungere alla lista un Dongle USB.
  • Avendo dei dispositivi Z-Wave, io ho optato per questa chiavetta della Aeotec.
In rete potete trovare facilmente il dongle che fa al caso vostro, sia che i vostri apparecchi lavorino sulla 433Mhz, con il protocollo Zigbee, eccetera eccetera.

Un assaggio di quanto ci offre Domoticz
Come sempre, questo corso seguirà passo passo tutto ciò che ho fatto per allestire il mio impianto, per cui non sarà esaustivo al 100%, a meno che non vi troviate nella mia medesima situazione, nel qual caso vi condurrò per mano fino a regime.

Con la prossima lezione entreremo nel cuore della faccenda installando Domoticz sul nostro dispositivo, per oggi... Direi che è sufficiente.



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martedì 11 giugno 2019

Ecco perché amo la musica

Glauco Silvestri
«Ecco perché amo la musica. Suoni un do ed è un do e niente altro. È come parlare chiaramente per la prima volta. Essere intelligenti. Comprendere. Un Mozart o un Art Tatum si siede al piano e ne trae la verità innegabile.»


Los Alamos (Martin Cruz Smith)


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sabato 8 giugno 2019

Karate Kid, la legenda continua - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Siete pronti per un bel Reboot? Sì! Perché Karate Kid La legenda continua è proprio questo. Un bel reboot con il figlio di Will Smith come protagonista, e Jackie Chan nel ruolo del maestro, nonché mentore, nonché responsabile della manutenzione nel condominio dove vive il ragazzo.

La Trama è la stessa, identica, se non per il fatto che tutta la vicenda è ambientata in Cina. Lui è orfano di padre, si trasferisce in Cina assieme alla madre per motivi dovuti al lavoro di lei. Fa amicizia con una ragazza sua compagna di scuola, viene preso in strino dal bullo di quartiere, le busca dopo una sfida impari in arti marziali, viene addestrato dall'uomo che fa manutenzione nel proprio condominio, sfida il bullo a un importante torneo locale, qui viene ferito, ma alla fine vince.

Il problema più grosso è che qui, in occidente, il film ha circolato col nome Karate Kid, mentre in Cina ha circolato con Kung Fu Kid... Ed è corretto il secondo titolo, perché qui di Karate non si vede nulla. L'arte insegnata è quella del Kung Fu, così come la sua filosofia. Il film è comunque ben fatto, e meglio recitato rispetto alle ingenuità che la saga classica di Karate Kid ci aveva costretto ad assorbire. Però manca di creatività, e soprattutto di novità. E' lo stesso film degli anni ottanta, rifatto, recitato meglio, con un titolo che fa l'occhiolino alla saga di successo anche se poi, col Karate, non ha nulla a che vedere.

Boh! Io l'ho visto. Però son troppo affezionato a Ralph Macchio e a Pat Morita. Per cui non lo consiglio. Piuttosto vi propongo Cobra Kai, la serie Google di cui ho già parlato qualche mese fa.



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venerdì 7 giugno 2019

Karate Kid 4 - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Quarto episodio della saga di Karate Kid. Neppure mi ricordavo l'avessero fatto, e per di più, neppure mi ricordavo di averlo nella mia collezione. 

C'è Hilary Swank, giovanissima, che si dedica al Karate molti anni prima di voler diventare un pugile di professione. Interpreta la giovane Julia. Orfana di padre e madre a causa di un incidente stradale (n.d.r. Mi ricorda qualcosa), vive con la nonna, a Boston, e frequenta una scuola paramilitare 'governata' da un istruttore e dal gruppo di studenti che sta addestrando e preparando per la carriera nell'esercito.
Miyagi capita a Boston per una commemorazione dedicata ai soldati asiatici che hanno preso parte alla Seconda Guerra Mondiale con l'esercito degli Stati Uniti. Conosce la nonna di Julia perché è vedova di un suo commilitone, e visto che la ragazza è problematica, piena di rabbia, e incapace di superare il trauma della perdita dei genitori, si offre per risolvere la questione spedendo la nonna in California a mandare avanti il suo negozio di Bonsai.
Miyagi ci prova con il 'Dai la cera, togli la cera', ma la ragazza non è certo il mite Daniel Larusso. Per cui - dopo che Julia finisce nei guai con la polizia - decide di portarla fuori città, in un monastero buddista di sua conoscenza, per aiutarla a trovare la pace anche grazie all'insegnamento del Karate.
Ovviamente non è tutto qui. Julia ha dei problemi con uno dei ragazzi addestrati dall'istruttore militare, e altrettanto ovviamente, il suo moroso finisce nei guai, e preso di mira dal gruppo di questo ragazzo, perché quest'ultimo è geloso e vorrebbe avere una 'relazione' con Julia.
Finale solito: Al ritorno dal monastero Julia dovrà affrontare i suoi avversari eccetera eccetera. Niente torneo, ma comunque niente di nuovo rispetto ai film precedenti.

Che dire? Il film gioca un po' di più sull'ironia, e per questo si fa apprezzare. Il rapporto tra Miyagi e Julia è divertente, così come i monaci buddisti sembrano quasi usciti da un film dei Monty Python (n.d.r. Forse esagero...). Micheal Ironside è una certezza nel suo ruolo di cattivo, anche se come personaggio funziona meglio nelle serie televisive, mentre qui appare come il classico cliché del nemico da sconfiggere. La trama sta in piedi per puro miracolo, il comportamento dei personaggi è guidato da binari piuttosto rigidi, ed è difficile provare empatia per qualcuno se non per il povero Miyagi, personaggio che abbiamo imparato a conoscere negl'anni, mentre cerca di confrontarsi con una ragazza adolescente. La Swank fa il suo compitino. E' molto giovane e non ci si aspetta molto di più da lei.

Anche se non offre molto di nuovo, lo ammetto, questa pellicola è lievemente migliore degli episodi due e tre della saga. Però non chiedetemi se vale la pena vederlo.



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giovedì 6 giugno 2019

Homecoming - #SerieTV #Recensione

Glauco Silvestri
Son rimasto sorpreso da Homecoming. Serie televisiva prodotta da Julia Roberts, basata su un omonimo podcast di successo (n.d.r. Leggo su wikipedia) realizzato dai medesimi autori della serie televisiva, ovvero Eli Horowitz e Micah Bloomberg.

Tutto ruota attorno a Heidi, una donna che, laureatasi in psicologia, viene assunta come assistente sociale in una struttura privata chiamata Homecoming, un luogo dove i veterani sofferenti da sindrome post traumatica vengono curati per poi essere reinseriti in società.
La narrazione si divide in due fasce temporali, quella durante la quale Heidi lavora alla Homecoming, e una successiva ambientata quattro anni più tardi, in cui Heidi fa la cameriera in un ristorante, non ricorda nulla della sua esperienza pregressa come psicologa. Nella prima fascia ci viene raccontato il lavoro della donna, il suo rapporto con un marine in particolare, un ragazzo brillante, con un cuore grande così, che ha tanti sensi di colpa per la morte di un suo compagno. Nella seconda fascia Heidi incontra un investigatore del dipartimento della difesa che sta indagando sulla Homecoming, e che cerca testimonianze per avvalorare una denuncia anonima nei confronti della struttura e della società, la Geist, che la gestisce.

La vicenda è narrata con un ritmo cadenzato, con colonne sonore inquiete, e una regia davvero sapiente. Se il mondo attuale è mostrato ristretto, in un formato quattro-terzi, forse a simboleggiare la perdita di memoria di Heidi, il passato è invece più colorato, definito, a sedici-noni, ed è evidente che ciò rappresenta la freschezza della psicologa e la sua convinzione di stare facendo la cosa giusta.
Eppure si percepisce del marcio. 

E' forse solo paranoia, o complottismo? Oppure davvero c'è qualcosa sotto che non viene raccontato? 

Lo spettatore si incolla velocemente alla vicenda perché è narrata senza troppi fronzoli, senza sottotrame, svelando lentamente ogni tassello del puzzle, ma senza mai far calare tensione e mistero. Il personaggio di Colin, capo di Heidi, e capo del progetto Homecoming, è probabilmente il legante tra le due realtà narrative. Colin è energico, arrogante, brillante, accattivante, il classico manager che non guarda in faccia nessuno e che vuole solamente arrivare al traguardo e raggiungere i propri obiettivi.
La struttura sembra un bel posto, in Florida, isolata dal 'mondo reale' quanto basta, immersa nella natura, con tutti i comfort, ma... Il sospetto esiste, e si amplifica mano a mano che le scelte di Heidi vengono criticate sia dai colleghi, sia da Colin.
E il mistero salta fuori un poco alla volta - non ve lo rivelo - ma ciò andrà a sconvolgere la donna, e a farle compiere un gesto eclatante, un gesto tale da scoprire il Vaso di Pandora, ma solo a tempo debito, quando lei stessa avrà dimenticato tutto quanto.

La regia è fantastica, la colonna sonora è incalzante e ben calibrata, gli interpreti sono davvero notevoli... E' piaciuta a tutti questa serie, Rotten Tomatoes indica un indice di gradimento del 98%, mentre Metacritic si attesta al 83%.

Ve la consiglio!


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