giovedì 29 settembre 2016

Come evitare le foto mosse - #Tips #Fotografia

Glauco Silvestri
Una foto mossa trovata googlando su internet
Com'è possibile evitare una foto mossa? Qui di seguito troverete alcuni suggerimenti utili.

Ci sono molti motivi per cui una foto può risultare mossa, a partire da una mano non proprio ferma a tenere la fotocamera, passando per le vibrazioni dovute alla pressione del pulsante di scatto, per poi andare a parare sui tempi troppo lunghi, la poca luce, eccetera eccetera.
Di principio, per avere una certa garanzia che la foto risulti nitida, si dovrebbe tenere un tempo di scatto minore o (al massimo) uguale alla lunghezza focale dell'obiettivo montato.
In pratica, se a bordo avete un 60mm, allora il tempo di scatto massimo che dovremmo usare - a mano libera - per essere certi di ottenere un'immagine a fuoco è di 1/60 di secondo.

L'uso di un obiettivo con stabilizzatore di immagine aiuta, ma non fa miracoli. Di solito (n.d.r. Le caratteristiche esatte cambiano da marca a marca, e da modello a modello), lo stabilizzatore di immagini riesce a intervenire fino a 4 stop superiori al tempo di scatto indicato poco fa.
Nella pratica, sempre con il 60mm, lo stabilizzatore di immagine ci permette di scattare a mano libera con un tempo massimo di 1/4 di secondo.
Un ulteriore miglioramento si ottiene utilizzando il timer al posto dello scatto con la pressione diretta del tasto. 
Questo piccolo accorgimento consente di evitare l'eventuale mosso dovuto allo spostamento verticale della fotocamera al momento della pressione del tasto.

Nel caso di un soggetto in movimento la questione si complica. Una tecnica come il Panning può aiutare a seguire ciò che ci interessa per fotografarlo perfettamente a fuoco, ma anche la fotocamera va impostata con maggiore attenzione. 
Per immortalare una persona che cammina è sufficiente un tempo di scatto pari a 1/60 di secondo. Per fotografare un'automobile in corsa bisogna scendere per lo meno a 1/500 di secondo. 
Un bean bag con fotocamera già installata
E' quindi necessario impostare la fotocamera su Tv (n.d.r. Priorità di Tempi) e selezionare un tempo adeguato alla velocità del nostro soggetto. In questo caso è sconsigliabile tenere l'impostazione degli ISO (n.d.r. La sensibilità alla luce) su AUTO in quanto gli automatismi potrebbero optare - in caso di un errato setup dei tempi di scatto - per valori troppo alti, e di conseguenza portare a una foto priva di dettaglio. Meglio tenere un valore ISO adeguato alle caratteristiche della fotocamera a vostra disposizione, e regolare il tempo di scatto (n.d.r. Ed eventualmente il diaframma, se ve la sentite di mettere la fotocamera in Manuale) di conseguenza.

Se tutto ciò non basta, è necessario appoggiare la fotocamera su un supporto che sia perfettamente immobile. Si può optare per qualcosa che sta attorno a voi, o per un accessorio studiato ad hoc, come un monopiede, un treppiedi, o eventualmente una bean bag, quest'ultimo molto utile se si deve scattare rasoterra e/o appoggiarsi a una superficie irregolare.



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mercoledì 28 settembre 2016

Tecniche storytelling (parte 9): Usare elementi umani - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
Asimo, il robot prodotto dalla Honda
Come catturare l'empatia del lettore? E' un argomento complesso che spesso viene sottovalutato da ci si approccia alla scrittura per la prima volta. La convinzione di molti è che una bella storia basti a creare un legame tra lettore e vicenda che sta leggendo. Postulato che può essere vero, per certi versi, ma che in realtà mostra diverse lacune, e soprattutto pone una domanda di difficile risposta: Che cosa fa, di una storia, una bella storia?

Per cui proviamo a tornare sui nostri passi e vediamo di capire come fare a catturare il lettore, e a fargli piacere la storia che stiamo scrivendo.

Nei precedenti capitoli del corso abbiamo approfondito molti argomenti importanti, tra cui, giusto per fare un esempio, proprio la scorsa settimana, è stato affrontato il tema legato al linguaggio. 
Da quanto abbiamo visto fin'ora risulta evidente che qualunque cosa ci si prefigga di scrivere, è scritta da uomini, ed è rivolta a uomini (n.d.r. Nel senso di specie, e non di genere), per cui dovrebbe sorgere spontanea questa rivelazione: 
Una presenza umana è utile a far legare il lettore alla vicenda narrata.
La saga completa di RAMA
Perché? Per via dei processi cognitivi, delle affinità emotive, dei meccanismi sociali a cui siamo abituati, e di cui siamo parte integrante. Forse vi parrà una banalità, ma la presenza di elementi umani è funzionale all'efficacia della vicenda che volete narrare. Questo non toglie che voi non possiate raccontare la storia di un gatto, di due passerotti innamorati, di una gabbianella orfana, di un globulo rosso, o di un'alieno che si ferma a 'fare il pieno' sul nostro Sole, oppure ancora una vicenda dove sono degli elementi 'impazziti' di software a fungere da personaggi principali. Magari potete persino tentare di scrivere queste vicende estraniandovi dalla vostra stessa natura. Però... Il lettore capirà il vostro esperimento?

Se andiamo a guardare nel dettaglio gli esempi che vi ho segnalato scopriremo che gli animali sono stati umanizzati, gli elementi artificiali hanno una sorta di coscienza umana, e che comunque - sempre - è presente qualcosa che si riconduce a noi. Clarke è probabilmente l'autore che va più vicino all'estraniazione totale tra gli elementi umani e quanto narrato. Nel primo libro della saga di RAMA un corpo celeste non identificato si avvicina al nostro pianeta, e per quanto gli umani tentino di contattarlo, questo pare completamente indifferente a noi, persino quando una missione spaziale porta alcuni astronauti esploratori sulla sua superficie. Eppure, anche in queste storie l'elemento umano esiste, ed affascina perché, per una volta, non è al centro della vicenda, anzi... è totalmente ignorato da un 'personaggio' principale completamente impermeabile alla nostra comprensione. 
Però l'elemento umano è presente, e funge da anello di congiunzione.
In RAMA il lettore non può immedesimarsi nel protagonista, ma può comunque fungere da spettatore attivo, e può affascinarsi, incuriosirsi, vivere la vicenda come se potesse assistere all'evento direttamente. Ed è questo il legame che si deve tentare di stabilire, sfruttando ciò che è insito in noi stessi, fosse anche con sotterfugi astuti, ma comunque non dimenticando mai la nostra natura.

Da qui sorge il suggerimento di mantenere sempre un legame 'umano' all'interno della vicenda. Inserire personaggi, o umanizzarne i comportamenti, le emozioni, il modo di agire, sono una strategia efficace, capace di far compiere un passo in avanti nella conquista del lettore, e della sua fedeltà.



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giovedì 22 settembre 2016

Fotografare attraverso una rete - #Fotografia #Tips

Glauco Silvestri
Come fotografare un soggetto che si trova al di là di una rete? Ecco la risposta.

Nel caso non sia possibile avvicinarsi a sufficienza alla rete in modo tale che l'obiettivo riesca a scattare attraverso le sue maglie senza che queste compaiano nell'immagine...

Scegliete un teleobiettivo dal vostro corredo. Assicuratevi che la vostra distanza dalla recinzione corrisponda più o meno a quella che intercorre tra il vostro soggetto e la succitata rete. Uno zoom, o un super-tele possono venire utili se le distanze diventano grandi.

Impostate la fotocamera su Av (Priorità di Diaframma) e regolatela in modo che si abbia la maggiore apertura possibile (Valore di Fuoco basso). Mettete a fuoco.
Scattate.
Attenzione alla luce! Non usate il flash. La rete potrebbe riflettere la luce del flash e produrre effetti indesiderati sull'immagine finale. Fate anche attenzione che la rete non rifletta la luce solare. In questo caso, per essere sicuri che il sole non vi possa dare noia, osservate le ombre al suolo e fate attenzione al fatto che esse non siano di fronte al soggetto (n.d.r. in quel caso il soggetto potrebbe risultare in ombra rispetto a ciò che lo circonda, e la rete potrebbe tornare in evidenza). Nel caso il sistema Auto Focus venga ingannato dalla luminosità della rete e non permetta la messa a fuoco del soggetto, passare in manuale.



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mercoledì 21 settembre 2016

Tecniche Storytelling (parte 8): Linguaggio Naturale - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
E' giunto il momento di affrontare un tema scottante, ovvero il linguaggio usato nella narrazione. Con questo non ho intenzione di dirvi come va scritto un romanzo, bensì porre l'attenzione sul fatto che certe scelte debbano essere ponderate con attenzione.

Il linguaggio comune è mutato parecchio nei secoli, lo sappiamo tutti quanti, e anche in letteratura, il linguaggio ha subito metamorfosi che sono andate di pari passo con quanto avveniva nella vita reale... Ma la metamorfosi è avvenuta in modo differente in quanto la letteratura ha una variabile in più di cui tenere conto... O meglio, molte variabili in più da tenere conto.
In primo luogo bisogna considerare il linguaggio che l'autore predilige per scrivere. 
Può essere pomposo, snello, moderno, classico, attuale, stringato, o ricco di aggettivi (n.d.r. Da sconsigliare...). Dipende dalla cultura dell'autore, dalle sue predilezioni, dal suo modo di raffrontarsi con gli estranei, dal tipo di impatto che si vuole avere sul pubblico, dal tipo di pubblico a cui è diretta l'opera. Meglio evitare di scrivere un racconto per bambini con un linguaggio forbito, così come è meglio evitare l'uso di un linguaggio troppo semplice in un'opera rivolta ad adulti. Va raggiunto il giusto equilibrio tra predisposizione-genere-target.
Da un certo punto di vista lo scrittore tende a creare un proprio stile. E' giusto così perché il proprio stile permette ai lettori di riconoscerlo, di distinguerlo dagli altri scrittori, di preferirlo, o eventualmente di 'non preferirlo' in base ai gusti. Lo stile può essere definito da molti fattori, alcuni personali, altri più oggettivi. Alcuni parametri classici che definiscono lo stile di uno scrittore sono:

  • Lunghezza dei periodi;
  • Interpunzione;
  • Complessità lessicale;
  • Capacità di Sintesi;
  • Capacità descrittiva.
La narrativa moderna, in base alle statistiche (n.d.r. Sempre che siano affidabili...), predilige l'uso di periodi brevi, e di conseguenza con pochi segni di interpunzione, e una sintesi evidente nella narrazione. Si ama ancora molto la capacità descrittiva, ma si pretende che essa non sia troppo estesa, così da dare maggiore respiro all'azione e alla narrazione vera e propria. La complessità lessicale è sempre meno amata, forse per via del sempre minor tempo da dedicare alla lettura, e alla concorrenza dei dispositivi digitali, che abituano le persone all'immediatezza, alla semplicità, a un linguaggio per icone, simboli, e che vada dritto al dunque. 


Non basta però tenere conto del proprio 'stile narrativo', del proprio linguaggio. Bisogna anche inoltrare il proprio studio ai personaggi dell'opera che si sta scrivendo. 
E la seconda cosa di cui tenere in conto, ma che spesso viene sottovalutata, è il linguaggio del corpo dei personaggi
Già! Perché, a meno che non stiate scrivendo una sceneggiatura, va ricordato che i personaggi di un romanzo devono agire proprio come se fossero persone vere. Per questo consiglio di leggere qualche testo al riguardo (n.d.r. Potete partire da qui), per questo consiglio di studiare anche il periodo storico in cui la vostra vicenda è ambientata, perché gli usi e i costumi possono andare a interferire sulla gestualità, l'emotività, e la comunicazione 'fisica' tra le persone.
La regola aurea della narrativa moderna è per l'appunto: Scrivere di ciò che si conosce.
E se si vuole scrivere di qualcosa che non si conosce, è necessario documentarsi il più possibile, ed evitare di inventare o andare a intuito, perché se ai tempi di Salgari questo metodo non veniva colto in fallo grazie alla poca cultura, o alla poca informazione generale, oggi verreste subito sbeffeggiati. 

Tornando quindi al linguaggio, è evidente che l'autore sappia come i personaggi debbano muoversi all'interno del 'suo mondo', come debbano esprimere le proprie emozioni e... 
Questo è il terzo punto da tenere in conto: il linguaggio verbale dei personaggi.
Anche se la vostra storia è ambientata ai giorni nostri, non potete dare per scontato che i personaggi parlino esattamente come voi. Nelle aree rurali spesso si ricorre ancora al dialetto, e nelle zone urbane molto spesso si incontrano forme gergali molto localizzate, spesso tra i giovani, che possono mutare notevolmente anche da quartiere e quartiere. Bisogna quindi conoscere perfettamente i propri personaggi, l'area in cui vivono, e il modo di parlare che è tipico di quella zona, in base anche all'età del personaggio stesso - non dimenticatelo - perché una persona adulta difficilmente parlerà come un teenager, e probabilmente avrà anche qualche difficoltà a comprendere i teenager stessi quando parlano tra loro. Va inoltre tenuto conto che ogni personaggio deve avere il proprio linguaggio, che ne sarà la sua nota distintiva quando i dialoghi diventeranno più fitti, e dove non sarà possibile sottolineare troppo spesso chi sta parlando per evitare un appesantimento della narrazione.
Non va sottovalutata neppure la provenienza, o le origini, dei personaggi. Bisogna saper identificare le persone anche attraverso il loro modo di parlare, il loro lessico, il loro linguaggio. Ogni persona è unica, che sia essa reale, che sia essa inventata.

Questo discorso diventa ancora più importante se si va indietro nel tempo. Non solo il linguaggio usato dai personaggi muta rispetto a quello dei giorni nostri, ma anche il lessico cambia. Spariscono parole di uso comune oggi, e compaiono parole oggi divenute desuete.
Non bisogna lasciare nulla al caso, altrimenti si cadrà nell'errore, e quell'errore sarà notato.
Potrà essere un errore piccolo e perdonabile, oppure qualcosa di più grosso che potrebbe segnare il successo o il fallimento del vostro lavoro.

Vi ho spaventato? Spero di no, perché a parole è più complesso che nei fatti. E' sufficiente documentarsi, leggere, fare ciò che probabilmente siete già abituati a fare. Certe cose verranno automatiche, altre vi chiederanno un briciolo di impegno in più, ma vi aiuteranno a crescere in esperienza e bravura.



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giovedì 15 settembre 2016

Il Ritratto in fotografia - #Fotografia #Tips

Glauco Silvestri
Un ritratto di Natalie Imbruglia
Come ottenere un buon ritratto con la vostra fotocamera? Ecco in breve cosa fare.

Scegliete un obiettivo con focale intermedia. Sulle Full Frame il 50mm è perfetto, sulle APS-C, a causa del fattore di crop, conviene optare per un 35mm o un 24mm. Se possibile scegliete l'obiettivo più luminoso del vostro corredo.

Impostate la fotocamera su Av (priorità di Diaframma) e scegliete l'apertura massima possibile (valore di Fuoco più basso). Ciò vi permetterà di ottenere un bell'effetto Bokeh (n.d.r. Lo sfuocato alle spalle del soggetto).

Impostate la messa a fuoco su Spot, nel punto centrale e mettete a fuoco gli occhi del vostro soggetto.

Scattate!

Occhio alla luce! Evitate di essere contro-sole, altrimenti il volto del soggetto verrà in ombra. Evitate luci laterali sul soggetto, queste potrebbero creare ombre sgradevoli sul viso del soggetto, magari rendendone una parte buia e una luminosa. L'ideale è che la sorgente luminosa sia alle vostre spalle. Se ciò non è possibile, usate il flash per ridurre le ombre indesiderate. Applicate eventualmente un vetro setinato, o un filtro blur, sulla lampada del flash così che la luce sia morbida e non vada ad appiattire troppo il profilo del soggetto. Se il vostro flash è orientabile, e avete superfici attorno a voi che possano riflettere la luce, orientate il flash in modo che il soggetto sia colpito solo da luce riflessa.

Note: Nel caso il vostro soggetto si senta in imbarazzo perché non abituato alla vicinanza del fotografo, prendete in considerazione la possibilità di scattare la foto da lontano con un teleobiettivo, magari cogliendolo all'improvviso, quando non se lo aspetta. In questocaso un 85mm  va già bene per le Full Frame, e di conseguenza il 50mm diventa perfetto per le APS-C. Evitate focali molto lunghe perché questo tipo di ottiche tende ad appiattire tutto ciò che è tridimensionale e ad avvicinare soggetti che si trovano distanti tra loro.


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mercoledì 14 settembre 2016

Tecniche storytelling (parte 7): Effetto sorpresa - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
Oggi parliamo di una tecnica che va dosata bene, ovvero l'effetto sorpresa. Un certo tipo di letteratura, e la cultura in cui siamo immersi, chi ha abituato ad aspettarci questo colpo di scena durante una lettura, per quanto esso non sia obbligatorio, e a volte finisce che se non 'capita nulla' si abbia un senso di delusione generale, e il libro, o la lettura, ne risentono.
E' come con l'uso di antibiotici: l'abuso di oggi ha fatto sì che gli stessi siano meno efficaci di un tempo perché i batteri sono diventati più resistenti.  
Il lettore si aspetta di essere sorpreso, se non accade ne rimane deluso, e critica il libro come 'prevedibile' o peggio (n.d.r. Anche se poi, fino alla fine della lettura, non ha previsto nulla di quanto ha letto).
L'effetto sorpresa è quindi diventato un elemento quasi imprescindibile in un certo tipo di narrativa.
Ma che cos'è esattamente? Ci viene in soccorso Wikitionary.
Evento improvviso che di solito ribalta la situazione in modo inaspettato, spesso usato nei film o nei libri thriller, horror e maggiormente nei gialli
Si tratta quindi di trovare un modo per ribaltare la situazione. L'autore deve essere in grado di scrivere una vicenda dove gli eventi sembrino percorrere certi binari, per poi azionare uno scambio in un momento strategico, e far virare l'intera narrazione verso un'altra destinazione.
Facile a dirsi, meno a farsi, perché i lettori di oggi sono molto, molto, molto attenti. E' difficile fregarli, ed è difficile sorprenderli. Oramai - credono loro - hanno già visto tutto. Cercano qualcosa di 'nuovo', e se siete esordienti, in voi avranno la massima aspettativa (sangue fresco, mente fresca, profumo di novità...), e di conseguenza saranno più critici rispetto a quanto lo sarebbero con un big della narrativa. 
Siete voi che dovete innovare, non i mostri sacri. 
E questo è un bel peso da portare sulle spalle. Specie se già vi dovete confrontare con un altro elemento che spesso va a braccetto con l'effetto sorpresa, ovvero... La Suspense.

Suspense è un termine inglese - derivante dal francese - che indica un particolare sentimento di incertezza e ansietà verso i risultati di determinate azioni (Fonte: Wikipedia). 
E' un sentimento d'attesa che deve essere percepito durante l'intero racconto, e che deve 'sciogliersi lentamente.

In pratica: l'effetto sorpresa è un evento improvviso che ribalta la situazione in modo inaspettato. La suspense crea uno stato d'attesa crescente. I due elementi vanno giostrati in modo tale che il lettore venga imbrigliato dalla vicenda in un modo tale da provare un vero e proprio stato d'ansia per via della vicenda.
Con questi due strumenti lo scrittore può portare il lettore dove desidera, e poi sconvolgere le sue aspettative in modo prorompente.
L'unico limite di questi potenti strumenti è dovuto all'abuso. Esagerare porta a una situazione di incredulità, o di distacco, e la perdita di attenzione da parte di chi legge. Per questo è conveniente saper dosare ogni elemento con maestria.

Approfondimenti: Qui e qui, ma anche qui.

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mercoledì 7 settembre 2016

Tecniche storytelling (parte 6): Archetipi - #Corso #Scrittura

Glauco Silvestri
La parola archetipo deriva dal greco antico ὰρχέτυπος, la cui etimologia nasce da arché ("originale"), típos ("modello", "marchio", "esemplare").

Questo termine viene attualmente usato in filosofia per identificare la forma preesistente e primitiva di un pensiero; in psicologia (Jung) invece descrive le idee innate e predeterminate dell'inconscio umano; per derivazione in mitologia identifica le forme primitive alla base delle espressioni mitico-religiose dell'uomo e, in narratologia rappresenta i meta-concetti di un'opera letteraria espressi nei suoi personaggi e nella struttura della narrazione. 
In linguistica (Jacques Derrida) va a delineare il concetto di «archiscrittura»: la forma ideale della scrittura preesistente nell'uomo prima della creazione del linguaggio e da cui ebbe origine quest'ultimo. L'archetipo è inoltre utilizzato anche in filologia per indicare la copia non conservata di un manoscritto (l'originale) alla quale risale tutta la tradizione (le copie del manoscritto originale).

Note: fonte wikipedia.

L'uso degli archetipi in narrativa è estremamente efficace, per quanto esso non sia semplice da utilizzare senza cadere nel 'gia letto' e/o 'già visto', in quanto si lega a concetti primordiali insiti in tutti noi, e di conseguenza affascina a prescindere, incuriosisce, e soprattutto lega il lettore alla storia che sta leggendo.

Nel mondo dei personaggi ci sono archetipi noti un po' a tutti quanti, e che sappiamo non annoiano mai. 
Ci sono ovviamente i vampiri, i licantropi, ma anche i demoni e gli angeli. 
La narrativa fantasy si dedica - di recente - molto e forse troppo a questi quattro archetipi. In un passato recente invece si concentrava su elfi, nani, maghi, streghe, ed elementi magici della natura animando ciò che normalmente non è animato.
Per un certo periodo si era dedicata persino ai miti, alle divinità greche e romane, senza dimenticare anche quelle provenienti da altre culture, in particolar modo asiatiche. Non possono mancare i personaggi storici, strizzando sempre l'occhio alla storia antica, e qualche volta anche a quella più recente.
Tutto ciò che fa parte della nostra storia, della nostra cultura, attecchisce facilmente nella fantasia del lettore.
I meccanismi che portano a questo attaccamento da parte del lettore sono vari: il primo è forse quello di approfondire concetti già noti divertendosi, per quanto esso sia spesso erroneo; quello però più efficace - e ne abbiamo già parlato - è la curiosità di cosa potrebbe produrre un rimescolo delle carte, ovvero il famigerato 'what if'.

Superman
Se torniamo ad analizzare Jung, semplificando in modo estremo, potremmo dire che l'archetipo base a cui andiamo incontro nella narrativa è quello schematizzato qui di seguito:

L'eroe è il simbolo del sé (o meglio, dell'immagine migliore che vediamo in noi).
La persona è la maschera che mostriamo al mondo (l'immagine reale di noi).
L'ombra è l'elemento opposto alla persona (l'ostacolo).

Ecco che in queste tre righe già è possibile evidenziare il plot standard di quasi tutte le vicende super-eroiche: Una persona normale - con poteri speciali - che vive in totale anonimato, e sfoggia solamente per combattere il male. 
Plot che porta in evidenza il desiderio da parte di ognuno di noi mostrare quanto di buono abbiamo, e che solitamente teniamo nascosto per via della vita che facciamo, dell'ambiente in cui viviamo, del contesto culturale in cui siamo immersi, e soprattutto, delle nostre paure.

Da ciò si evince che gli archetipi esistono anche nella struttura narrativa.

Parlo de Il viaggio dell'eroe. Un archetipo che sicuramente tutti quanti conoscete. Il Signore Degli Anelli ne è un esempio perfettamente calzante. 
Esso, per certi versi, rappresenta il percorso che noi tutti affrontiamo durante la nostra vita. 
Nasciamo senza scopo, crescendo ci diamo degli obiettivi, e vivendo cerchiamo di raggiungerli. Così avviene anche in narrativa, ovviamente in modo più 'avventuroso'.
Il viaggio dell'eroe è - come già visto prima parlando di Jung - il viaggio del sé, il viaggio dell'io.
Esso conduce all'auto-realizzazione attraverso l'individuazione e l'illuminazione. Per questo funziona sempre in narrativa. Il viaggio dell'eroe simboleggia il nostro cammino, la nostra crescita individuale, sia fisica, sia psicologica. Il tesoro, il traguardo da raggiungere, altro non è che un simbolo della nostra realizzazione, e della nostra auto-determinazione.

Se riflettete su questo concetto, e prendete in esame uno qualunque dei libri che collezionate nella vostra libreria, scoprirete quanto evidente sia il concetto sopra indicato. Nei romanzi di avventura, in particolare, avremo sempre un eroe, o un gruppo di eroi; avremo sempre degli ostacoli da superare; e avremo sempre un risultato da raggiungere. Ma ciò si proietta anche in altri tipi di narrativa, e persino nei romanzi rosa questo tipo di schema è facilmente identificabile.

Erich Fromm, basandosi sugli studi di Jung, utilizzò questo strumento (ovvero gli archetipi) per dimostrare l'esistenza di bisogni umani fondamentali che è possibile definire positivamente, e che tramite essi dimostrano di travalicare ogni differenza culturale.
Parrà banale, ma è proprio grazie a questi 'assoluti' che un testo narrativo basato sugli archetipi attira molta più attenzione di un altro che invece segue altri percorsi.

Si potrebbe proseguire a lungo parlando degli archetipi, ma credo che già a questo punto vi siate fatti un'idea di quanto potente possa essere il loro utilizzo. Sappiate, che volenti o meno, già vi siete affidati ad essi in modo istintivo, per cui farlo con coscienza non sarà una impresa insormontabile.
Il mio consiglio è ovviamente quello di approfondire l'argomento. Di studiarlo in ogni sua sfumatura. Ciò che ne trarrete vi sarà di aiuto per divenire il narratore che desiderate diventare.

Maggiori info: qui.



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