lunedì 31 dicembre 2018

Ed eccoci alla fine del 2018

Glauco Silvestri
E' stato un anno lungo, questo 2018. Un anno travagliato. Un anno complicato. Non sono mancate gioie, pensieri, momenti di difficoltà, ma credo che tutti questi ingredienti non possano mancare mai nelle vita, perché dolori e gioie vanno di pari passo, e senza gli uni non potrebbero esistere gli altri.

Lasciando però alle nostre spalle le frasi fatte, non posso che ripensare a quanto accaduto in questi trecentosessantacinque giorni che sono trascorsi. E non è che oggi chiudo i conti per partire con un nuovo diario fresco di stampa, no... Non funziona così.

Al momento in cui scrivo queste riflessioni mi domando se certe scelte che ho fatto siano corrette. Mi domando cosa avrebbe potuto accadere se avessi dato ascolto a 'certi momenti', se avessi seguito l'emotività di certi momenti, piuttosto che la razionalità di quelli successivi. Mi domando se sia giusto aver abbandonato certi percorsi, certi legami, o se invece mi sia infilato in un sentiero sbagliato.
Non esistono scelte sbagliate, esistono solamente scelte differenti.
Già! Non c'è un giusto e un sbagliato nella quotidianità, sono solo percorsi differenti che si aprono sotto ai nostri piedi ogni volta che facciamo una scelta. E a priori nulla è giusto e nulla è sbagliato. Sono solo percorsi che nascono in quel momento, che si diramano ulteriormente, e poi ancora, e ancora, senza mai avere una fine... visto poi che neppure hanno un capo.

Quindi? Quindi festeggiamo la fine di questo 2018, guardiamo al 2019, e non pensiamoci troppo. Cerchiamo di fare ciò che crediamo sia meglio e...






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domenica 30 dicembre 2018

Salyut 7 - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ormai, quando cerco un bel film di fantascienza, guardo più verso est che verso ovest. Sono un po' stanco di effetti speciali gratuiti, di trame piatte, di storie che si barcamenano per portare lo spettatore dall'inizio alla fine del film.
Per cui, eccomi a parlarvi di Salyut 7, che non è un film di fantascienza, è un film ispirato a eventi accaduti realmente - io ero un ragazzino - e che, se proprio vogliamo fare paragoni con l'occidente, può contrapporsi a testa alta con gli eventi dell'Apollo 13.

E' il 1985, se non ricordo male. La Salyut 7 è in orbita già da qualche anno. Si tratta di una stazione orbitante sovietica, un mezzo totalmente automatizzato ove di tanto in tanto dei cosmonauti salivano per condurre esperimenti scientifici. La storia ci dice che questa stazione orbitante sta per andare in pensione, visto che l'anno seguente verrà lanciato il primo modulo della futura Mir, ma per il momento, la Salyut è il meglio della tecnologia sovietica posta in orbita attorno alla Terra. Durante una pioggia di micro-meteoriti la stazione viene danneggiata. Il sensore che permette il corretto orientamento dei pannelli solari viene colpito, e quando le batterie si esauriscono, ecco che la Salyut si spegne improvvisamente e comincia a discendere lentamente, orbita dopo orbita, verso la Terra.
In Russia sono tutti nel panico. Si organizza in fretta e furia una missione di salvataggio. L'idea è di andare lassù, risolvere il problema, o distruggere la stazione stessa, perché gli Americani hanno in programma un lancio Shuttle di lì a poco, e con la scusa del guasto e della sua pericolosità, prelevare la stazione e portarla a Terra sana e salva (n.d.r. Mettendo mano a segreti tecnologici che la Russia non vuole cedere all'occidente).
La missione di salvataggio è però un'impresa epica. La piccola Sojuz che conduce gli cosmonauti in orbita deve essere pilotata manualmente per riuscire ad agganciarsi alla stazione orbitante impazzita. Ci vogliono un asso del volante per riuscire. Senza contare, poi, che una volta agganciati, il recupero della stazione è tutt'altro che facile...

Salyut 7 è una storia avvincente e drammatica, che mescola bene l'epopea della corsa allo spazio alla intimità degli uomini che la compirono. La regia ci porta quindi nelle case degli astronauti cosmonauti, ci mostra la preoccupazione di mogli e figli, e allo stesso tempo, ci tiene incollati alla sedia mentre osserviamo i tecnici di controllo missione che cercano di risolvere la situazione. Ma tutto avviene così in fretta che i due cosmonauti sono praticamente soli, con pochi mezzi, e solo il loro ingegno che li separa da successo e fallimento, da vita e morte.
Buone le interpretazioni, buoni gli effetti speciali, pacata la narrazione (n.d.r. Come solitamente avviene nei film provenienti dalla Russia), e affascinante è l'intera avventura narrata. Se poi si pensa che sono fatti accaduti realmente... E non pensiate che le misteriose luci viste dai cosmonauti siano state messe per aggiungere un che di mistico alla vicenda... Accadde veramente qualcosa di strano a quei cosmonauti.

E' davvero un bel film, e ve lo consiglio.





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sabato 29 dicembre 2018

A.D. After Death - #Fumetti #Recensione

Glauco Silvestri
Immaginate un mondo in cui sia stata sconfitta la morte. Immaginate che il prezzo da pagare per l'immortalità sia la sterilità, e l'incapacità di avere ricordi per più di un secolo di vita... Immaginate...

After Death ci racconta le vicende di Jonah Cooke. Lui è un uomo fatto, e vive in una sorta di paradiso in cui non si muore più. Il paradiso è in realtà una clinica, un luogo in cui fu scoperta la Cura per non morire, e che a lungo andare divenne una sorta di rifugio dalla distruzione. Già, perché questo paradiso è in cima a una montagna, e là sotto non c'è più vita, per lo meno come la intendiamo noi, e la razza umana è estinta.
Tutto ha inizio quando Cooke era un bambino. Durante una vacanza in Florida sua madre si sente male, crolla a terra come se il suo cervello si fosse spento all'improvviso. E' solo un malore poco importante, ma ciò scuote Cooke fino al midollo, e quando qualche anno più tardi, durante una gravidanza, la madre muore veramente, il ragazzo muta profondamente. Comincia a rubare, piccoli furtarelli, più per mettersi alla prova che per compiere dei reati. Ruba per riempire i vuoti che sente allargarsi nella sua anima. E negl'anni affina la sua tecnica, tanto che da adulto, comincia a progettare furti per altri, attraverso una chat room del dark web. E' qui che Cooke conosce il Viandante. Questi gli commissiona un furto speciale, e allo stesso tempo instaura con Cooke una sorta di legame che va oltre alla collaborazione. Diventano amici, quasi fratelli. E' per questo che Cooke decide di commettere il furto richiesto... Che non è un furto, è un rapimento.
Questo rapimento porterà alla grande scoperta, alla cura per la morte, e Cooke - ovviamente - sarà invitato alla clinica per ricevere la cura.
Il mondo muore lentamente, i secoli passano, e sulla Terra, una Terra molto cambiata rispetto a quella che conosciamo, continuano a vivere solo poche migliaia di esseri umani immortali. Immortali e smemorati, perché ogni ottanta, novant'anni la loro memoria comincia a sbiadire, e poco rimane dal ciclo di vita appena concluso, e molto spazio vuoto c'è da riempire per il prossimo ciclo di vita.
Cooke è diverso. Lui prende appunti, scrive un diario, e ha ancora memoria del passato, suo e del mondo. Ed è l'unico ormai a voler tornare giù nella speranza di trovare ancora qualcuno. E' durante il suo lavoro alla stazione di rilevazione che il suoi istinto a tornare si riaccende. Un messaggio proveniente dall'ultima spedizione giunge - disturbato - ai ricevitori della stazione.
Lui si eccita, decide che deve partire, e parte. La sua è una sorta di odissea, ma è determinato a scoprire la verità, a scoprire se qualche superstite è rimasto... Ma non è pronto a ricevere la verità... Non è ancora pronto...

Che storia emozionante! Questa graphic novel è molto diversa da quelle che ho letto in passato. E' riflessiva, psicologica, articolata, e sofisticata. E più che un fumetto, è un romanzo illustrato. I disegni sono davvero eccezionali, la vicenda tiene incollati alle pagine, disorienta il lettore, è una continua sorpresa, nonché un continuo viaggio nella psicologia di un uomo che ha già vissuto per diversi secoli, ma che è ancora incollato alle sue origini mortali. Il lavoro si Scott Snyder è davvero eccezionale. E le illustrazioni di Jeff Lemire completano l'alchimia tra parola e immagine.

Meraviglioso, complesso, e affascinante. 



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venerdì 28 dicembre 2018

La forma dell'Acqua - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
La forma dell'Acqua è un'altro di quei film che vorrei suggerirvi per le feste di Natale. 

Si tratta di una bella fiaba, una storia a metà tra il fantasy e la fantascienza, ambientata in America, nel bel mezzo della guerra fredda (n.d.r. Siamo nel 1962).
Elisa lavora in un laboratorio segreto dell'esercito. E' una inserviente, ed è muta. Elisa è anche una donna molto sola, vive in un appartamento piccolo, e passa gran parte del suo tempo con un uomo, un gay, il suo dirimpettaio, Giles, che dipinge e ama i gatti. L'altra e unica sua amica è la sua collega di lavoro, Zelda, una donna afroamericana dalla chiacchiera continua, quasi a compensare il silenzio forzato di Elisa.
Un giorno, durante il solito turno di pulizia, Elisa e Zelda scoprono che uno strano essere acquatico è tenuto prigioniero in un laboratorio. L'esercito sta facendo esperimenti su di lui, ma non ottiene grandi risultati perché questo essere è parecchio violento con chi tenta di torturarlo.
Per qualche strano motivo Elisa è incuriosita da questo essere, e in un certo qual modo riesce persino a comunicare con lui, a stabilire un rapporto, una amicizia.
Elisa scopre per caso che all'interno della struttura è presente uno scienziato che collabora con il KGB. E dal KGB riceve ordine di uccidere l'anfibio ma si rifiuta di farlo. Nasce quindi il folle piano di liberare l'essere dalla prigionia, ed Elisa - assieme ai suoi due amici - ne verrà coinvolta.

Storia toccante e affascinante. Una favola che di sicuro non profuma di novità, ma che comunque sa conquistare lo spettatore. Gli effetti speciali sono perfetti. L'anfibio ricorda molto - forse è lo stesso - quello già visto nelle due pellicole dedicate a Hellboy, sempre di Guillermo del Toro. E' tutto perfetto, se me lo consentite, in questa pellicola. Dall'aria fiabesca, alle ricostruzioni che strizzano l'occhio al movimento Steam Punk, alle interpretazioni. Difetti io non ne ho trovati, e bisogna dire che i premi ricevuti dal film, e i giudizi di critica e pubblico, vanno probabilmente a confermare la mia opinione.

Davvero un gioiellino da tenere nella propria collezione.  




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giovedì 27 dicembre 2018

La Truffa dei Logan - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Devo dire che La Truffa dei Logan mi ha lasciato piacevolmente stupito. Il film funziona solamente perché i personaggi sono molto diversi da quanto solitamente viene proposto in film di questo genere. Non sono dei geniacci. Non sono dei criminali incalliti. Diciamocelo... Sono dei mezzi sbandati.

I Logan sono due fratelli e una sorella. Clyde ha perso un braccio in Iraq e ora fa il barman. Jimmy era una stella del football che ha sfiorato il successo prima di farsi male - molto male - al ginocchio, e che si barcamena nei cantieri guidando i bobcat. Mellie fa la parrucchiera in città, e adora le automobili. Vivono in West Virginia, e John Denver echeggia per tutto il film, tanto che a un certo punto sia io che la mia compagna ci siam messi istintivamente a canticchiare la colonna sonora del film. I tre se la passano molto male finanziariamente, specie dopo il licenziamento di Jimmy dal lavoro. Per questo decidono di mettere in atto una rapina ai danni del Charlotte Motor Speedway durante la Coca Cola 600, l'evento Nascar più atteso dell'anno. Per il furto si fanno aiutare dall'esperto Joe Bang, che viene fatto evadere dal carcere locale appositamente per il colpo. Tutto sembra andare per il verso giusto... Ma l'FBI entra in gioco e le carte in tavola tornano a mescolarsi.

Se questa è la trama del film, però, in sottofondo ciò che guida la narrazione è la storia di Jimmy, che perde il lavoro suo malgrado, e che rischia di perdere anche la figlia, affidata alla ex moglie, la quale si prepara a lasciare il West Virginia per seguire il proprio compagno intenzionato ad aprire una concessionaria d'auto a Lynchburg. Detta in soldoni, la telecamera si concentra molto sul rapporto padre-figlia, la quale stravede per il papà, e lo vorrebbe più vicino, e difatti si trova invece costretta a vederlo allontanarsi per motivi che non riesce a comprendere. La bambina è il perno di tutta la vicenda, che pur essendo una commedia piuttosto brillante, in alcuni momenti assume comunque toni di serietà inaspettati.
Soderbergh - qui - cerca di trovare il giusto equilibrio tra le due vicende (n.d.r. Il colpo, e la vita privata di Jimmy), senza però riuscirci a pieno. La sua esperienza con tutti gli Ocean lo condiziona, al punto che pare persino paradossale tanta scaltrezza in personaggi che faticano a tenere in piedi una conversazione sensata. Anche l'apparizione improvvisa dell'FBI, nei panni di Sarah Grayson convince a metà. Hilary Swank è brava a vestire i panni dell'agente investigativo, ma il suo intervento è forse tardivo, e pare più una comparsa che un vero elemento di thrilling nella vicenda. Funziona molto meglio Daniel Craig, nei panni di Joe Bang. Davvero un personaggio ben costruito e interpretato. Il finale, poi, lascia una 'strana' porta aperta che sia io, sia la mia compagna, non abbiamo capito.

A ogni modo, tra alti e bassi, il film diverte e intrattiene a dovere. Si guarda molto volentieri perché è spensierato e non si atteggia mai a capolavoro. Perfetto per le feste natalizie.



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mercoledì 26 dicembre 2018

Patch Adams - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Sotto le feste natalizie capita di andare a ripescare vecchi film per trascorrere qualche ora davanti al televisore e... smaltire i pasti luculliani con i parenti. Patch Adams potrebbe essere un buon film di Natale, perché diverte, perché tratta di un bell'argomento, perché è tratto da una storia vera (n.d.r. qui trovate il libro), perché potrebbe ispirarvi a fare qualcosa di buono nel futuro prossimo.

Siamo nel 1969, e Hunter Patch Adams è ricoverato in ospedale psichiatrico a causa del suo carattere instabile. Non rimane troppo a lungo in questa struttura, è lui stesso ad uscirne sotto la propria responsabilità, e dopo due anni, eccolo all'università della Virginia a studiare medicina. Il suo carattere estroverso lo mette subito sotto i riflettori: partecipa a un congresso dei macellatori, organizza una visita alla facoltà per un gruppo di ginecologi, insiste per visitare i malati prima di raggiungere il terzo anno di studi... Alla fine viene espulso dal decano dell'università, e poi riammesso dal preside della scuola. E tutto ciò non frena per un istante l'instancabile Patch, il quale lancia l'idea di creare un 'ospedale della gioia', gratuito, perché convinto che essere felici aiuti l'organismo a combattere la malattia. Alcuni suoi compagni di corso lo aiutano nell'impresa, e tra loro c'è Carin, di cui si innamora.
Il progetto di Patch, e la sua vita, sono a una svolta che pare portare tutto quanto al meglio, ma quando accoglie nella sua struttura un ragazzo problematico, Larry, l'intero universo rischia di crollare perché...

E il resto dovrete scoprirlo guardando il film, altrimenti sarebbe troppo facile. 

Su Robin Williams mi sono già pronunciato diverse volte, e anche in questo caso non posso che chinarmi alla sua capacità espressiva, al suo essere esuberante, abile, bravo, perfetto a entrare nei personaggi più difficili. Il resto del cast è all'altezza della situazione, e la regia è perfetta nel dipingere una storia così complessa. Io ho amato questo film, ma devo dire che - nonostante le innumerevoli nomination ricevute - la critica lo ha bocciato senza troppe remore. Lo stesso Patch Adams ha addirittura dichiarato di odiare il film, cito da wikipedia:
"Io lo odio quel film... Williams, per fare me, e anche in modo contestabile, ha guadagnato 21 milioni di dollari. Se fosse stato un po' più simile al vero me, quei soldi li avrebbe donati all'ospedale che tentiamo di costruire da 40 anni. Da lui non sono arrivati neanche 10 dollari"
Il ragionamento di Patch Adams è comprensibile. Il film semplifica effettivamente il lavoro che Adams svolge, ma è anche vero che è difficile condensare in poco meno di due ore un tema così complesso, per di più volendo mantenere una narrazione che non cada nel melodrammatico.

E' un film, offre un po' di divertimento, stimola alla riflessione, io non mi sento di essere così severo. Ve lo consiglio.





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martedì 25 dicembre 2018

#VenticinqueDicembre

Glauco Silvestri
Temo che oggi nessuno passerà da queste parti per leggere quanto è stato pubblicato. Oggi è Natale. La mattina si scartano i regali, a pranzo si va dai parenti, il pomeriggio è dedicato alla digestione, e la sera si rischia di dover fare il bis con gli amici...

Per questo motivo non mi dilungherò troppo con discorsi, riflessioni, foto dei regali ricevuti, eccetera eccetera.

Il Natale è un giorno che ognuno deve dedicare a sé stesso, alla propria famiglia, ai propri amici, e magari, anche a chi ha più bisogno... 
Perché il mondo è diventato un pochino più freddo, un pochino più isolato, un pochino più meschino di quanto ricordassi. 
Sarebbe ora di guardare dentro ognuno di noi e chiederci come la penseremmo se la nostra pelle fosse di un colore differente, se fossimo nati in uno stato 'nemico', se fossimo nati in un luogo dove essere ricchi significa avere un tozzo di pane da mangiare ogni giorno, se fossimo nati in un paese dove veniamo perseguitati dalle autorità, se fossimo nati in un luogo dove ti fanno imbracciare un fucile a dieci anni e ti mandano a combattere, se fossimo nati in una famiglia costretta alla fuga da casa propria... Forse ci sarebbero meno muri, meno reti, meno discriminazioni, meno...

Accidenti! Ci stavo cadendo...

Buon Natale a tutti.
(non mangiate troppo che poi vi vengono i sensi di colpa e vi tocca andare in palestra)


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domenica 23 dicembre 2018

Resident Evil, Afterlife - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Una volta superate le prime tre pellicole della saga - quelle che si guardano volentieri - eccoci di fronte al primo dei film che mettono in mostra il calo di idee e il desiderio di chiudere bene una saga che ha appassionato tanti spettatori per anni e anni.

Parliamo ovviamente di Resident Evil Afterlife. Qui ci colleghiamo direttamente al film precedente, ma perdiamo completamente il controllo sulla struttura del film, che si sposta da pellicola cinematografica a videogame. Avevamo lasciato Alice nella struttura americana della Umbrella Corporation. Il mostro era battuto, e il computer dell'alveare si era proposto per aiutare la nostra eroina a costruire un antidoto per il virus T partendo dal sistema immunitario di Alice. 
E poi c'erano i cloni... E poi c'era quella sottile minaccia che Alice manda al gruppo dirigenziale della Umbrella mentre si trova in riunione plenaria.
Ed è da qui che noi ripartiamo... Perché Alice non lavora all'antidoto. No! In un qualche modo risveglia tutti i suoi cloni, li addestra al combattimento, li porta in Giappone (n.d.r. Ma come fa? Con quali mezzi? E come fa a non essere intercettata dai satelliti? Mille domande non avranno mai risposta, e queste sono solo le prime) per mettere a ferro e fuoco la sede locale della multinazionale.
Qui scopre che il presidente della Umbrella di Tokyo (n.d.r. Albert Wesker, quello che si era opposto alle bizzarre ricerche del Dottor Isaac) ha fatto altrettante bizzarre ricerche sul virus T. Improvvisamente la Umbrella ha trovato il modo di dominarlo, di creare una nuova versione di zombie capaci di ragionare, di combattere, e di formare un esercito, e persino, di avere un antidoto - che però verrà usato solo su Alice per eliminare i suoi poteri (n.d.r. Giusto per qualche scena del film... Perché poi torna a volare, far piroette, eccetera eccetera, proprio come prima e senza spiegazioni). 
Giusto per chiudere in velocità il prologo del film - perché siamo ancora al prologo - Alice e i suoi cloni riescono nella loro impresa, ma Albert Wesker si salva perché anch'egli è esposto alla versione rinnovata del virus T ed praticamente più forte di Alice... E' infatti lui che inietta nella nostra eroina l'antidoto così da farla tornare normale.
Finito tutto ciò, con Wesker sparito, e Alice tornata vulnerabile, c'è un cambio di scena repentino, ed ecco Alice ai comandi di un vecchio Zero che sorvola il Canada (n.d.r. Altre mille domande prive di risposta...). Sta cercando Arcadia, ovviamente, per riunirsi a Claire e agli altri ragazzi che aveva conosciuto nel terzo film. Atterra alle coordinate prescritte - che ricordava a memoria - ma trova solamente un cimitero di aerei, e una bella spiaggia. Arcadia non esiste... Ma che fine hanno fatto gli altri. La risposta è parzialmente data dall'apparizione di Claire, inselvatichita, priva di memoria, cattiva come non mai, e con un robo a forma di ragno attaccato al petto. Ovviamente Alice la neutralizza velocemente, gli toglie lo strano oggetto, ed ecco che - salvo un po' di amnesia che passerà velocemente - Claire torna a essere la donna di sempre.
Ok, sulla spiaggia non c'è più nulla da fare, per cui - senza fare il pieno (n.d.r. Altre domande su domande...) - si sale di nuovo sullo Zero e via verso San Francisco.
In città trovano dei superstiti rifugiati in un carcere. C'è un campione del basket che pubblicizza orologi della Tag Heuer, Cypher di Matrix, una cuoca, e... Il fratello di Claire tenuto in gabbia. Fuori dal carcere, ovviamente, c'è l'intera popolazione della città zombiezzata che sembra di essere nella città di Israele in World War Z.
Alice porta però sfortuna... Quando arriva lei tutto cade a scatafascio. Mentre dal sottosuolo arrivano in nuovi mutati della Umbrella, dalla strada arriva un bestione dotato di martello che riesce ad abbattere i cancelli del carcere. 
Altra fuga, altre vittime, e infine si scopre che Arcadia è una nave su cui la Umbrella faceva esperimenti - ovviamente - e lì c'è Wesker ad attendere i nostri eroi...

Che devo dire? Che quando uccidi i mostri più grossi e cattivi cadono persino le monete d'oro a terra? Wow! Ma dove siamo capitati? Ecco che qui si ha il triste epilogo della saga che tanto mi aveva appassionato nei suoi primi capitoli.

E visto che domani è la vigilia di Natale, non vi tedio oltre.




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sabato 22 dicembre 2018

Giovanni Paolo Bedini. Il fascino della spensieratezza - #Mostre #Recensione

Glauco Silvestri
Durante le feste natalizie, dal 2 dicembre scorso fino al 3 febbraio prossimo, il Palazzo d'Accursio di Bologna ospita una bella mostra dedicata a un altro autore bolognese. Parliamo di Giovanni Paolo Bedini, vissuto tra il 1844 e il 1924, con una ottima propensione per il ritratto, e per l'arte - a mio profano parere - in stile realista. 

Il realismo è un genere che porta l'osservatore a immaginare di avere di fronte una immagine reale, e difatti Bedini è un maestro in tutto ciò. 
Le sue opere sono davvero strabilianti, dettagliate, preziose, e affascinanti. 
Osservando i suoi lavori ci si immerge nella scena come se si fosse realmente al suo interno. I dettagli così ben definiti ci portano ad ammirare anche ciò che invece è evanescente. 
I colori, i disegni delle decorazioni, i giochi di luci e ombre nei tessuti, le sfumature della pelle nei volti, tutto è davvero magico, impalpabile, ma così vero, da illudere e affascinare.

L'esposizione raccoglie una sessantina di opere, provenienti sia da collezioni private che da collezioni pubbliche, in cui si percorre tutta la vita dell'artista. Non mancano alcuni schizzi di lavori che poi sono esposti alla stessa mostra, e gli esperimenti in tarda età, quando l'impressionismo e l'espressionismo ormai dominavano, e cominciavano ad essere minacciati dal surrealismo e dall'astratto.


I migliori lavori di Bedini rimangono però i ritratti, era un ritrattista eccezionale, e la sua rappresentazione di normali scene di vita. 
Passeggiando tra le opere si possono ammirare dei nobili che intrattengono delle nobildonne, prelati che studiano, artisti, uomini ritratti durante il relax in una taverna, e scene di vita quotidiana, sia all'aperto, sia al chiuso. 

Ciò che subito salta all'occhio è la passione dell'artista per lo stile neo-rococò, che viene rappresentato in ogni sua forma nelle sue tavole più affascinanti. E ancora di più salta all'occhio il desiderio di ritrarre la spensieratezza, i momenti quotidiani, i sorrisi, la gioia, la voglia di vivere di chi è ritratto. Il messaggio è positivo e piacevole da leggere. Pare inimmaginabile che Bedini avesse iniziato la sua carriera rappresentando eventi storici (n.d.r. Affascinante La Scena ritratta dedicata alla Secchia Rapita). Fu in effetti un periodo breve. L'artista migrò velocemente nella rappresentazione della frivolezza degli ambienti nobili del primo ottocento, e forse anche del settecento. 
Il suo tocco è efficace e ricco di dettagli, e ogni quadro finisce per stupire anche l'osservatore meno conscio di cosa ha di fronte.


Per maggiori informazioni, potete cliccare qui e qui

A questo indirizzo, invece, potete trovare tutte le mostre di autori bolognesi cui ho parlato fino a oggi, inclusa, ovviamente, anche quella di cui ho parlato oggi.



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venerdì 21 dicembre 2018

Io c'è - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Io c'è è una commedia brillante che dà il meglio di sé nella prima parte, mentre cala un po' di ritmo, crescendo invece dal punto morale, nel secondo tempo, dove la chiusura del film appare forse un po' scontata, ma comunque piacevole.

Siamo in Italia, e Massimo Alberti è il proprietario del 'Miracolo Italiano', un B&B di lusso ormai diventato l'ombra di sé stesso. La crisi ha ovviamente messo in ginocchio anche l'attività di Massimo, il quale guarda con invidia i suoi dirimpettai, un B&B gestito da un convento di suore, che pare essere sempre pieno di turisti. Il trucco viene scoperto rapidamente. Essendo un ordine religioso, gli ospiti del B&B religioso offrono una 'spontanea' donazione in cambio dell'alloggio... E tutto ciò è esentasse. Per questo motivo Massimo decide di tentare l'azzardo, di fondare una propria religione fondata sull'io, e trasforma il Miracolo Italiano in un luogo di culto. Appare assurdo, ma lo Ionismo prende piede in fretta, e l'attività di Massimo si rimette in piedi velocemente. Tutto ciò grazie all'aiuto della sorella Adriana, che essendo commercialista lo aiuta ad aggirare i cavilli legislativi del fisco, e di Marco, uno scrittore ideologo che pare perfetto per creare i dogmi del nuovo credo.

Non vi starò a raccontare (n.d.r. O forse sì) dove andrà a cadere l'intera vicenda. E' evidente che dopo un avvio prospero, a Massimo vengono i primi dubbi morali, mentre Marco è ormai accecato dalle potenzialità della nuova religione. I tre soci si scontreranno tra loro - ma solo dopo aver sconfitto i 'nemici' dirimpettai - e da qui la brillantezza della commedia si offusca per andare a cercare una morale da dare all'intera vicenda. 

Bravi come sempre Edoardo Leo e Giuseppe Battiston. Adriana è una sorella perfettamente disegnata da Margherita Buy. La trama soffre di una idea brillante, ma uno svolgimento che non regge per l'intera durata della pellicola che fatica a portare lo spettatore ai titoli di coda senza deluderlo. La formula del film divertente nel primo tempo e moralista nel secondo non funziona granché, anche perché chi cerca la morale vede di cattivo occhio l'ironia di fondo del film, e chi cerca il divertimento, dopo un po', lo perde.

Nel complesso è comunque un film godibile. Piacevole in una serata di pioggia. E gli si può dare una chance se si sa a cosa si va incontro.






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giovedì 20 dicembre 2018

Motor Girl - #Fumetti #Recensione

Glauco Silvestri
Non avevo mai letto nulla di Terry Moore, anche se è da parecchio che faccio il filo a Echo, e a Strangers in Paradise. Diciamo che il caso mi ha portato ad acquistare questo Motor Girl, un'opera che - a quanto raccontato dall'autore - gli frullava nella testa da molto tempo ma non aveva mai l'occasione di scriverla come la immaginava.

La storia è quella di Sam, Samantha. Ex marine con un passato difficile. Ferita in battaglia in Iraq, fatta prigioniera, salvata dopo 10 mesi di torture e sevizie, e ora impegnata come sfasciacarrozze nel bel mezzo del deserto del Nevada, luogo che le permette di vivere tranquilla, nel bel mezzo del nulla, assieme ai suoi fantasmi e ai suoi angeli. Angeli sotto forma di gorilla parlanti, di un gorilla parlante, che lei immagina e con cui passa le giornate (n.d.r. Oltre che con la proprietaria dello sfasciacarrozze, una vecchina energica di nome Libby).
Ebbene, una notte Sam assiste a qualcosa di davvero strano. Un ufo precipita tra i rottami. Hanno un problema tecnico, ma i due alieni appaiono goffi e incapaci di risolverlo. Lei, per nulla spaventata, va verso l'ufo e lo ripara in pochi minuti... In fondo è solo una piccola perdita di liquido refrigerante, basta cambiare un tubicino e il problema è risolto.
Gli ufo ringraziano e ripartono.
La mattina successiva si fa viva Libby, un ricco magnate è interessato a quel terreno e ha fatto un'offerta per comprarlo. Libby - però - vuole sapere se Sam è pronta a lasciare il deserto, per tornare alla sua vita, e il destino dell'affare passa nelle mani di Sam. La quale vuole restare lì dove si trova.
Il magnate raddoppia l'offerta. E anche Libby si insospettisce. Quel pezzo di deserto non vale una cicca... Perché offrire così tanto?
Sam sviene. Esami rivelano una scheggia vicina al cervello, e il rischio è davvero tanto... Dovrebbe operarsi, ma lei rifiuta.
Il magnate si insedia davanti alla proprietà di Libby, manda due sicari a 'convincere' le donne. E la situazione degenera quando si scopre che...

Non rivelo altro. Il racconto è divertente, ma anche drammatico. La povera Sam vive in un mondo tutto suo, fatto di allucinazioni, terribili ricordi, stenti, e la calura del deserto. Non ha nessuno a parte Libby, nessuno a parte Libby e il gorilla. E la comparsa di questo strano milionario non fa che peggiorare la situazione. E così tutto si mescola. Fantascienza, thriller, humor, la narrazione è intricata e intrigante. I disegni sono quasi infantili, ma il tratto è dettagliato e fluido. Sam, Libby, il Gorilla... I personaggi hanno uno spessore davvero notevole, e leggere questo fumetto è un piacere.

Ve lo consiglio! Davvero bello.




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mercoledì 19 dicembre 2018

The Crossing - #SerieTV #Recensione

Glauco Silvestri
The Crossing è una serie con potenzialità interessanti, ma sviluppata in modo tale da far perdere un po' di grip allo spettatore. Siamo in America. Sulla costa del pacifico vengono ritrovati innumerevoli cadaveri, e in mare, ci sono altri corpi, tra cui anche persone vive. Si pensa a un naufragio, ma nessun incidente è accaduto in mare, e i superstiti parlano di cose assurde, di venire da un futuro prossimo dove la razza umana è braccata da una nuova specie modificata geneticamente che loro chiamano Apex.
I servizi segreti entrano subito in azione. Spostano queste persone in un vecchio camping e chiudono l'accesso all'area. Bisogna fare chiarezza. E più si investiga, più le cose appaiono oscure. Lo sceriffo locale, un tipo testardo, decide di fare di testa sua, e viene a conoscenza di una situazione sconvolgente. E' tutto vero, e questi superstiti non sono i primi ad essere giunti nel suo tempo. Quelli del primo esodo, però, stanno manovrando la storia in modo tale che gli Apex non vengano mai creati... E per fare ciò sono disposti a tutto, anche a sacrificare i loro compagni, anche a fare cose contro coscienza. Ciò che non sanno è che tra i nuovi arrivati c'è una Apex. Una fuggiasca dal suo popolo perché affezionata a una bambina 'non modificata'. E questa donna sarà disposta a tutto per non separarsi dalla bambina, e per non essere scoperta.

Strana serie... In certi momenti mi ha entusiasmato. In altri mi ha annoiato. Gli interpreti sono convincenti a metà. Il plot mi ricorda quello di Terminator, anche se con qualche variante.
Su wikipedia leggo che la serie è stata cancellata dopo la prima stagione, anche se sui siti di critica ha avuto un buon apprezzamento. Probabilmente la struttura di questa vicenda non era sufficientemente solida per permettere uno sviluppo su più stagioni. Fortunatamente la prima stagione è stata chiusa in modo sapiente. C'è margine per un futuro narrativo, ma anche così sta in piedi a sufficienza per non essere delusi alla fine dell'ultimo episodio.

Bella? q.b.


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martedì 18 dicembre 2018

Odio le discussioni

Glauco Silvestri
«Odio le discussioni. Sono un vigliacco. Le discussioni sono piene di parole, e ognuno è sicuro d'essere l'unico a conoscerne il significato. Ogni parola, per me, è un canestro di anguille. Ognuno si butta per afferrare un'anguilla, la sua interpretazione, ed è pronto a battersi a morte per quella.


Los Alamos (Martin Cruz Smith)


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domenica 16 dicembre 2018

Sulla Cresta del Baratro - #Libri #Recensione

Glauco Silvestri
Presi Sulla Cresta del Baratro in quanto ero convinto fosse la storia della Commodore, una azienda che fu pioniera nel mondo dell'home computing, e nel mondo dei computer in generale. La sorpresa ha voluto che, seguendo le orme della Commodore, il libro ci racconti l'intera evoluzione di questo affascinante mondo, e ridisegni in modo intrigante ciò che i 'vincitori' della guerra dei PC ci hanno raccontato di quanto avvenne in quegl'anni.
Già! Perché tutti ricordiamo Jobs e la sua Apple, il colosso IBM, Gates e la sua Microsoft. In pochi inseriscono Jack Tramiel e la Commodore in questo trittico come protagonista... E invece lo fu, e noi che siamo europei, specie quelli della mia generazione, dovrebbero ricordarsene bene.

Tornando al libro, gli anni volano velocemente indietro nel tempo. L'azienda - all'epoca - si occupava di calcolatrici, aveva un grande mercato, e se non era leader, poco ci mancava. Però era una azienda piena di debiti, soprattutto a causa di processi legali che si tiravano per le lunghe e stavano dissanguando la società. 
E' in questo periodo che Commodore comincia a guardare altri mercati, e nuovi finanziatori. Trova il denaro nella figura di Irving Gould, che divenne primo azionista della società, e trova il nuovo mercato quando sul suo cammino incrocia Chuck Peddle, un ingegnere con il sogno di sviluppare un nuovo tipo di processore e di costruire il computer ideale. In quegl'anni - giusto per la cronaca - i computer 'casalinghi' venivano venduti in scatola di montaggio, lo stesso Apple Lisa era venduto in questa forma. Nessuno immaginava che un computer potesse essere venduto in negozio pronto per l'uso, senza bisogno di smanettarci per riuscire ad accenderlo.
Ebbene, Tramiel cercava un nuovo mercato, Peddle voleva un computer pronto all'uso, la Commodore aveva bisogno di una nuova vita... L'unione di questi parametri, con l'acquisizione da parte di Commodore della Mos Technology (dove Peddle lavorava), fecero sì che nacque il PET, un computer a tutto tondo che - quando fu presentato al CES - spopolò letteralmente.
Il successo del PET (soprattutto in Europa) fece sì che Tramiel divenisse più ambizioso. Voleva un computer per le masse, a basso costo, e grazie alle tecnologie acquisite con lo sviluppo del PET, e le competenze della Mos Technology, nacque rapidamente il VIC20. 
Da qui in avanti, per chi è cresciuto in quegl'anni, la storia diventa abbastanza chiara. Dopo il VIC20 fu la volta del Commodore 64, poi il 128, il... ehm... Plus/4, e l'Amiga. Nel frattempo, all'interno della società, è capitato di tutto, al punto che per più volte fu a rischio fallimento nonostante il successo dei suoi prodotti, per più volte si salvò grazie alla abilità dei suoi manager, ma che alla fine collassò per... Invidia?
Già! Nel libro è raccontato tutto. 
Se Tramiel era il motore che portò Commodore all'apice del mercato dei computer (n.d.r. Al punto da mettere in ombra Atari, Sinclair, Apple, e molti altri... E soprattutto di competere a testa alta con IBM nel mondo business), Gould fu colui che fece lo sgambetto più e più volte a chi guidava realmente la società, perché lui era il socio di maggioranza, lui ci metteva i soldi, e a lui non stava bene che altri avessero troppo potere all'interno delle mura della Commodore. Furono fatte scelte sconsiderate, cacciati via uomini chiave, chiuso progetti affascinanti, e soprattutto, furono bruciati capitali inimmaginabili... Il tutto per via dell'ego di chi fu al comando di questa società.

Libro affascinante, che rimescola le carte e ci mostra una storia differente da quanto altri hanno raccontato. In effetti, negli altri racconti il nome di Commodore non è mai stato citato... Forse per imbarazzo, forse perché se ai suoi vertici ci fossero state persone più lungimiranti, oggi vivremmo in un mondo differente. Libro che mi sento di consigliare a tutti quanti ma... 
Dio mio quanto è scritto male!
Sembra tradotto con un software di traduzione automatica (n.d.r. Anzi, forse il traduttore automatico avrebbe fatto di meglio). Non solo le traduzioni sono approssimative, ma essendo tratto da innumerevoli interviste, spesso i vari interventi sono inseriti a più voci, senza virgolettato, provocando confusione in chi legge, e soprattutto, facendo sì che le oltre 500 pagine del libro siano piene di ripetizioni superflue e poco significative.
Ci vuole molto stomaco per riuscire a completare la lettura. Alcuni passaggi vanno letti e riletti per comprenderne il senso... E bisogna davvero essere appassionati per soffrire in questo modo.

Però ne vale la pena.


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sabato 15 dicembre 2018

50 anni di Strumtruppen

Glauco Silvestri

Tutto ha inizio 50 anni fa, in una di quelle cene a base di gnocco fritto e Pignoletto dei colli bolognesi. Mentre i commensali si passavano di mano in mano i cestini ricolmi di gnocco fritto, il Grazie/Prego tra un passaggio e l'altro accese nella fervida mente di Bonvi una idea che lo porterà alla creazione dei mitici Strumtruppen.

La prima vignetta in assoluto, ovviamente esposta alla mostra, ci presenta un ufficiale tedesco nel suo ufficio, mentre dalla finestra si sente un continuo Danke/Bitte che pare snervante. Al ché squilla il telefono, e la reazione dell'ufficiale è ovviamente sopra le righe.


Questa fu la prima vignetta, e dopo di essa ne seguirono altre, e poi altre ancora, fino ad arrivare a quel fatidico 1995, quando un ubriaco lo uccise mentre attraversava Via Rizzoli, proprio di fronte al suo piccolo studio.

Ed  è in via Rizzoli che ancora oggi il fumettista viene ricordato con un vicolo a lui dedicato, non molto lontano da dove perse la vita.

Ma tornando a noi, le Strumtruppen sono diventate un simbolo di quegl'anni ricchi di fermento (n.d.r. Per il fumetto d'autore italiano). Le vicende narrate nelle strisce di Bonvi non miravano solo a divertire, ma anche a rappresentare i moti di protesta che nel 1968 infervoravano l'intero paese, e forse l'intero occidente. 
La matita di Bonvi ci presenta un messaggio evidentemente antimilitarista, ove sono evidenziati - in modo caustico - le contraddizioni, la stupidità, e l'insensatezza della guerra.
Non ci sono personaggi conduttori in questo fumetto, e forse è questo che l'ha reso immortale. Ci sono però dei character ben riconoscibili: Il Sergente, il Capitano, Il Generale, il Cuoco, il Dottore, il soldato nudo, e il mitico Alleato Galeazzo Musolesi proveniente da San Giovanni in Persiceto.
E forse solo quest'ultimo è un personaggio riconoscibile ed identificabile, ed è - ahimè - il rappresentante del nostro bel paese, con tutte le sue contraddizioni e idiosincrasie.



Le strisce sono tantissime, ovviamente, e ci raccontano l'evoluzione delle Strumtruppen dai loro esordi fino ai cartoni animati che furono proposti dalla Rai a SuperGulp! ove, oltre ovviamente ai mitici soldati di cui stiamo parlando, comparve anche Nick Carter, il detective nato anch'esso dalla matita di Bonvi.

Si trovano i bozzetti di alcune strisce, le prime pubblicazioni, la locandina del film omonimo interpretato da Bozzetto, le pubblicazioni speciali per le riviste, e anche alcuni disegni dedicati ai mondiali di Calcio.

Non manca una sezione dedicata a Bonvi, e a tutti gli altri innumerevoli suoi lavori. Abbiamo già parlato di Nick Carter, non possiamo dimenticare Cattivik, così come non si può dimenticare di citare la sua Graphic Novel di fantascienza Storie dello Spazio Profondo, di cui ho già parlato su questo blog, e dove il protagonista è proprio Bonvi, o per lo meno un personaggio sagomato sulle sembianze dell'autore, mentre i testi sono del mitico Guccini.
Non mancano alcune illustrazioni provenienti dai suoi ultimissimi lavori, come la versione illustrata di Ali babà e i quaranta ladroni, realizzato in collaborazione con Enrico Brizzi.
Non mancano strisce di Cronache del Dopobomba, l'uomo di Tsushima, nonché alcune opere pittoriche VM18 di Play Gulp! Dove ritrae alcuni personaggi dei cartoni animati giapponesi (n.d.r. che scalzarono SuperGulp dalla televisione di stato) in vicende surreali ed erotiche che mai ci saremmo immaginati (n.d.r. Per lo meno fino all'arrivo di Orgia Cartoon dei Gem boy).
In conclusione alla visita, non poteva mancare un omaggio a Franco Bonvicini da parte di artisti affermati di oggi, come Pettinato, Cavazzano, nonché alcuni studenti dell'Accademia delle Belle Arti di Bologna, come la vignetta che appare qui di seguito (n.d.r. Tweet, di Laura Mennis).


Eccoci quindi alla fine di questo nostro meraviglioso viaggio nei cinquanta anni ben portati delle Strumtruppen. Un'opera che ha girato il mondo, che è stata tradotta in tutte le lingue (n.d.r. Fu il primo fumetto occidentale a entrare in URSS, se non ricordo male), e che ancora oggi non smette di divertire ed affascinare.

Per visitare questa mostra potete recarvi a Palazzo Fava, a Bologna, entro il 7 Aprile 2019.

Maggiori informazioni sono reperibili qui e qui.





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venerdì 14 dicembre 2018

Solo, a star wars story - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Pare che Solo abbia decretato la fine degli spin-off dedicati a Star Wars. Sinceramente... Mi sembra ingiusto affibbiare a questo film tutte le colpe. E' un buon film, e Alden Ehrenreich ha davvero ben interpretato il giovene Han Solo, così come Donald Glover ha prodotto un Lando Calrissian che nulla aveva da invidiare all'originale. E' probabile che questo format sia giunto al capolinea, che la Saga si debba completare e chiudere definitivamente, e chi ha avuto ha avuto, e chi ha dato ha dato.

Può essere anche stata una mossa azzardata, quella di raccontare la giovinezza di Han Solo. Rogue One aveva un senso come vicenda a sé stante, un film discreto, con bei picchi, e qualche caduta di stile, e... Si agganciava bene alla vicenda senza però inserirsi in scivolata da dietro le quinte. Qui la faccenda è differente. Qui si parla di uno dei personaggi più amati della saga, e l'intervento di Ron Howard a giochi mezzi fatti non ha potuto fare miracoli.
Probabilmente il film soffre di un problema differente. Raccontare gli anni della giovinezza di Solo è un conto, ma partire dai 18, per arrivare ai 24, in soli 135 minuti, be'... E' stato un azzardo. C'era troppo da raccontare.

A ogni modo il film regge bene la sfida. Corre forse un po' troppo. Non permette di focalizzare i personaggi, di affezionarcisi, di conoscerli meglio, e si affida molto a quanto già detto e visto nei film ufficiali della saga. E così le varie scene diventano semplici citazioni alle citazioni. Solo è il personaggio principale, ma in realtà è del Millennium Falcon che si parla in continuazione. Per cui eccoci a vedere il nostro eroe giocare a carte nei locali malfamati, mettersi nei guai, incontrare un Chewbecca giovane, scegliere la via del contrabbando unendosi a un criminale di nome Beckett, per poi arrivare alla famosa partita a carte dove vincerà il Millennium Falcon eccetera eccetera eccetera.

In fin dei conti è un film che si guarda volentieri. C'è molta azione, una buona regia, effetti speciali di ottimo livello, e forse il flop è dovuto più che altro a una quadratura dei conti, visto che il cambio di regia, le virate improvvise in fase di realizzazione, avranno sicuramente fatto lievitare i costi di produzione al punto che gli incassi abbiano a malapena fatto patta con quanto speso per fare il film e per pubblicizzarlo. Poco, molto? Chi lo sa. 
E' evidente che la saga di Star Wars poteva benissimo vivere senza questa pellicola... E forse anche questa voglia di guardare indietro rispetto alla trilogia classica non è stata una mossa vincente. Magari guardare avanti è meglio... O magari ancora sarebbe meglio smetterla di spremere vecchi format e dedicarsi a qualcosa di completamente nuovo... Ma questa è una vecchia polemica ormai sterile e inutile da affrontare su queste pagine.




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giovedì 13 dicembre 2018

Covert Affair - #SerieTV #Recensione

Glauco Silvestri
Son passati alcuni anni da quando intravidi Covert Affair su Giallo (n.d.r. O era Top Crime?). All'epoca non fui molto attratto da quella serie, cercavo altro, e di conseguenza non ci dedicai troppi pensieri, per lo meno fino ai mesi scorsi, che - vista l'offerta dell'intera serie su Amazon Prime Video - io e la mia morosa abbiamo deciso di guardare all'ora di cena.

Sono cinque stagioni! Le prime due sono spensierate, molto rapide nella narrazione, con personaggi all'acqua di rose e avventure simpatiche... Proprio una serie adatta a essere guardata mentre si cena. Buona la recitazione di Piper Pérabo (n.d.r. Avete presente Le ragazze del Coyote Ugly), che per la sua interpretazione di Annie Walker si è presa un bel Golden Globe. Carina la storia, che narra di questa giovane ragazza, esperta in lingue straniere, che viene ingaggiata come agente CIA. Le avventure sono varie, i personaggi si alternano, mentre ovviamente alcuni - come Auggie - diventeranno una parte importante della storia sopra le storie. 
Tutto cambia con la terza stagione. 
Qui il gioco si fa duro, e la serie diventa moderna, racconta una sola indagine durante i sedici episodi. Ci sono colpi di scena, una narrazione più cupa. Azione, violenza e Thriller diventano all'ordine del giorno, e lo spirito scanzonato degli esordi scompare per sempre. E l'apice dell'intera serie è la quarta stagione! Qui finalmente abbiamo un antagonista di quelli tosti, un intoccabile, uno che agisce alla luce del sole senza mai sporcarsi le mani veramente. Agisce per vendetta, per rabbia, ma è glaciale, irremovibile, e davvero difficile da sconfiggere. Annie ha ormai dismesso l'aria della ragazzina che ama l'avventura, ora è una tipa tosta, e anche la cara e assurda golf rossa è stata messa in cantina.
Sfortuna vuole che ci sia anche una quinta stagione...
Da una serie thriller con i controfiocchi si cade in una sorta di soap-opera davvero imprevedibile. Se i primi episodi ci fanno saltare dalla sedia, con tanto di distruzione di una base CIA ad opera di un terrorista, poi tutto si impantana in una serie di relazioni amorose, di amicizie rovinate, di flirt e contro-flirt, al punto da far perdere il filo del discorso e... decidere di mollare tutto entro il quinto episodio.
Strano ma vero, la produzione della serie fu cancellata proprio a causa di un improvviso disinteresse del pubblico...

Note Curiose: C'è un grande legame tra questa serie e la musica. Solo gli esperti se ne saranno accorti, altri - come me - hanno sbirciato su wikipedia dopo aver riconosciuto solo alcuni dei titoli degli episodi visti. In pratica il titolo di ogni episodio è in realtà il titolo di una canzone: quelli della prima stagione prendono il nome da brani dei Led Zeppelin, quelli della seconda da canzoni dei REM, quelli della terza da brani di David Bowie, quelli della quarta da canzoni dei Pixies e quelli della quinta da brani dei Pavement. L'unico episodio che non segue questa regola è l'episodio pilota.

In conclusione... La serie si guarda volentieri, e visto che Annie si volatilizza alla fine della quarta stagione, perché prendersi la briga di iniziare la quinta. Fermiamoci alla numero quattro.


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mercoledì 12 dicembre 2018

Resident Evil Extintion - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Terzo capitolo della saga cinematografica dedicata al noto videogame, Resident Evil Extintion prosegue la vicenda da dove l'avevamo abbandonata... 

In realtà sono passati alcuni anni, il Virus T non è stato debellato con la distruzione di Racoon City, e piano piano la Terra è diventata un luogo inabitabile e parecchio ostile.
Ovviamente ci sono alcuni ostinati che sopravvivono. Vagano senza mai fermarsi, razziando gli ultimi rimasugli di un'epoca passata, sperando di trovare un luogo non invaso dagli infettati. Ma è una speranza vana, e per quanto nessuno molli... Alla fine, tutti sanno che l'unica speranza è... Andare in Canada? Possibile?
Eppure alcune trasmissioni radio indicano che in quel luogo, forse per via del clima, c'è una zona libera dal contagio. E' per questo che uno sparuto gruppo di sopravvissuti si aggrega ad Alice per questo folle viaggio. Ma dove trovare la benzina per arrivare fino a laggiù? I piccoli paesini sono già stati saccheggiati. Solo le grandi città offrono ancora risorse utilizzabili. Il problema è che le grandi città offrono anche un grande numero di infettati.
Ok, e la Umbrella? Loro tentano ancora di trovare una soluzione facendo esperimenti su campioni di sangue di Alice. Ciò che non si comprende è che tipo di esperimenti facciano... Ma forse sono solo elucubrazioni che frullano nella mente malata di uno scienziato pazzo a cui la Umbrella, suo malgrado, si è affidata.
E così, nel frattempo, Alice e il suo gruppo arrivano a Las Vegas. La città non esiste più, è stata divorata dalla sabbia, ma le pompe di benzina, per quanto sotto la sabbia, ci sono ancora. E c'è anche un bel container ad aspettarli in mezzo alla sabbia... Un uomo saggio direbbe di aggirarlo, ma loro decidono di fermarsi e tentare di spostarlo... Ecco che il container si apre e... Sorpresa dell'Umbrella!

Non vado oltre con la mia narrazione un po' fuori dalle righe. Bisogna dire che questa pellicola regge ancora a sufficienza ed è in grado di intrattenere e divertire, e magari raccontare ancora una storia dal filo logico accettabile. Siamo al terzo capitolo, e devo dire che qui il mio tasso di apprezzamento rimane interessante ma è l'ultimo film della saga che riesce a piacermi, e che mi ha lasciato un buon ricordo, buono al punto da spingermi, nei momenti di noia, a ripescare la pellicola.
Non è un capolavoro, ma ritornano personaggi a cui ci si è affezionati (n.d.r. Più o meno) e ciò aiuta. Poi ci sono i mostri, c'è azione, c'è un briciolo di brivido, e anche se alcune situazioni sono un po' abusate, e certi schemi cinematografici sanno parecchio di già visto, ci si diverte comunque.

Di più io non aggiungerei. E' un buon pop corn movie. Buona Visione.


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martedì 11 dicembre 2018

«Merda»

Glauco Silvestri
«Sergente Stingo, se sapesse di essere in prossimità di materiale radioattivo, si sentirebbe tranquillo, preoccupato, un po' ansioso, molto ansioso?» «Merda» disse Joe.


Los Alamos (Martin Cruz Smith)


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domenica 9 dicembre 2018

Rampage - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Sono abbastanza vecchio per aver giocato ore e ore a Rampage (n.d.r. Da non confondersi con Donkey Kong) senza mai annoiarmi. Potrete ben capire il perché, ora, vi voglia parlare del film omonimo, quello uscito di recente, con Dwayne Johnson, che pur essendo grande e grosso mi ispira tantissima simpatia. 

Rampage non ha molto di più di quanto viene raccontato nel plot del vecchio videogame, anche se ovviamente si è preso alcune libertà. Una sperimentazione scientifica fuori controllo produce tre mostri incattiviti, che si dirigono verso Chicago sotto il richiamo di una stazione a onde medie (n.d.r. Accesa appositamente dalla società che faceva esperimenti per recuperare materiale genetico su cui lavorare per riprendere gli esperimenti). Tra i tre mostri è presente un gorilla albino, che fino a qualche giorno prima era George, il più buono e simpatico dei gorilla allevati in cattività, e molto caro a Davis Okoye, ex militare che dopo aver abbandonato l'esercito ha cominciato a contrastare il bracconaggio e ad aiutare gli animali a rischio di estinzione. Tutto qui! 

Gli ingredienti sono:

  • Due 'cattivi' improbabili. 
  • Tre mostri giganti - di cui uno buono - arrabbiati come la calura estiva. 
  • L'esercito che spara a go-go senza soluzione. 
  • Il protagonista, accompagnato da una bella ragazza, che combatte pressoché a mani nude e vince... 

Questi film vanno presi per quello che sono. Sono divertenti. I dialoghi sono superficiali appositamente; i protagonisti hanno caratteri scolpiti sul granito, ognuno fatto a suo modo, quasi da fumetto, senza mai una esitazione e sempre con la battuta pronta; i mostri sono grossi, brutti, cattivi, e quasi invulnerabili; gli effetti speciali sono perfetti; il finale è solitamente una conclusione a tarallucci e vino con scherzi e battutine gioiose.

Altri film di questo genere mi hanno annoiato dal terzo minuto in avanti... Ma questo Rampage mi ha conquistato, divertito, appassionato, e me lo sono guardato di gusto dal primo minuto all'ultimo. 



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sabato 8 dicembre 2018

Tomb Rider (quello nuovo) - #Film #Recensione

Glauco Silvestri
Ci casco sempre... Sono un eterno ottimista, sapete, e alla fine finisco per essere deluso. Deluso di me stesso perché sapevo che non sarebbe andata come speravo, e comunque ci ho provato. Mi capita con gli esseri umani, con i libri, e ora anche con Tomb Rider, un reboot che... Che tristezza!

Ispirato al videogame del 2013, che è a sua volta un reboot della serie videogames che tanto ha appassionato la mia generazione, questo film aveva davvero poco da regalare allo spettatore, a partire dalla interprete, che proprio non calza i panni della Lara Croft che ho imparato a conoscere negl'anni, e a seguire con la trama, che non ha nulla di nuovo, e che sembra ammiccare un po' troppo a Indiana Jones, più che a Tomb Rider.
Perché rifarlo allora?
Eccoci a parlare del film. Il sipario si alza con Lara che affronta sul ring un'altra ragazza, le busca di brutto ma non si arrende, e se chiudiamo gli occhi, possiamo udire i classici ansimi che accompagnano il videogame da sempre. Va be', Lara è una ragazza competitiva, ma c'è qualcosa di strano... E' squattrinata, non è mai andata all'università, e fa il Pony Express per vivere.
Che succede? Presto viene svelato l'arcano. Lei non ha mai accettato l'eredità del padre perché ciò siglerebbe definitivamente la sua morte. Lui è scomparso sette anni prima dell'inizio del film. L'aveva lasciata per un suo viaggio archeologico, l'aveva lasciata che tirava con l'arco a una mela, senza prenderla mai, e non è più ritornato.
A ogni modo, la tutrice di tutti i beni riesce a convincere Lara a firmare le carte, ed ecco che le viene dato in mano un rompicapo. Lo risolve, e ci trova dentro una chiave con un indovinello... Da qui parte il videogam... il film vero e proprio.
Lara scova subito cosa apre la chiave nascosta, e trova il vecchio laboratorio del padre, con una videocamera contenente un messaggio per lei. Lui dice a lei di distruggere tutto quanto. Ovviamente lei fa il contrario e si mette sulle tracce del padre.
Ma cosa stava cercando il papà prima di morire?
La tomba della regina Himiko, capace di portare la morte col suo tocco, e sepolta sull'isola Yamatai per far sì che non possa fare del male al popolo. Himiko, Yamatai... All'improvviso ho sperato che arrivasse Hiroshi e Jeeg Robot a salvare capra e cavoli.

Non vado oltre, perché sinceramente da qui in avanti è stato uno sbadiglio continuo. Tutto accade come nel plot di un videogame. Gli oggetti sono al punto giusto, i rompicapi sono di immediata comprensione per Lara, gli avversari sono spietati con tutti tranne che con lei, così da darle sempre una seconda possibilità (n.d.r. Visto che alla prima le busca sempre), e soprattutto, si sentono in continuazione i versetti che erano tipici del videogame. Non si capisce mai se la ragazza stia facendo uno sforzo o avendo un momento molto piacevole dal punto di vista intimo.
E poi i piagnucolii, le ferite pressoché mortali che un attimo prima la costringono a terra sofferente, e un attimo dopo vengono ignorate bellamente perché lei deve correre da un punto all'altro, eccetera eccetera... E che dire del potere mortale della regina Himiko, che è fatale in pochi secondi se ad essere esposti sono gli antagonisti di Lara, mentre se sono gli alleati... Be' allora c'è tutto il tempo per salutarsi, darsi qualche consiglio, farsi coraggio, eccetera eccetera.
E non vi ho detto tutto...


Bah! Mi sembrava davvero di guardare uno che giocava a un videogame. Noioso davvero, e devo dire che il talento di Alicia Amanda Vikander (n.d.r. Ex Machina e The Danish Girl, giusto per fare qualche esempio), è stato sprecato di brutto! Qui sembra un burattino... No, sembra il personaggio di un videogame.





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