Ultimo giorno di questo complicato 2022. Quest'anno non mi sono dilungato troppo a fare un riassunto dell'anno che ho trascorso, per certi versi perché non ne avevo voglia, per altri perché volevo dedicare il mio tempo ad altre attività, ma soprattutto, perché non sapevo esattamente da dove iniziare, e dove finire.
E oggi, voi che leggete questo breve preambolo, magari ispirati dal titolo di questo post, potreste pure pensare che ho cambiato lavoro... Ma non è così!
Quitting your Day Job è un libro, che ho scovato su Fotocrazia, e racconta della strana esperienza di vita di un fotografo eternamente insoddisfatto della propria vita, con una guerra interiore che esternalizzava su ciò che faceva, scatenando guerre forse più grandi di lui, ma allo stesso tempo, estremamente significative in anni particolarmente complessi come quelli in cui lui fu particolarmente attivo.
Se dico Chauncey Hare vi viene in mente qualcuno? Io credo proprio di no. Eppure è stato un fotografo importante nel breve periodo in cui si dedicò a questa splendida arte. E nel momento in cui dico 'arte', lui probabilmente si leverà dalla tomba per maledirmi per l'eternità... Visto che... Ma andiamo per gradi:
Chi è quest'uomo?
Hare nasce come ingegnere chimico, impiegato alla Standard Oil negl'anni sessanta, e con un grande disagio addosso per colpa del lavoro. La sua ulcera, la sua agitazione, il suo malessere spariva solamente nei weekend in cui lui scappava nella natura a scattare fotografie, poi, il lunedì mattina, ecco che tutto quanto tornava a manifestarsi non appena giunto sul luogo di lavoro.
E' da questo malessere che nasce il suo lavoro come fotografo. Qualcosa si manifesta, e lo spinge a spostare la sua attenzione di fotografo verso l'ambiente in cui lavora, forse per documentare, per rivelare, i motivi di questo suo stare male. Comincia fotografando i propri colleghi a casa loro, prosegue documentando situazioni analoghe per tutto il suo stato, e poi ritorna alla Standard Oil, e scatta foto nell'ambiente di lavoro, con il permesso dei suoi capi, convinti che la sua attività potesse essere una forma di promozione per l'azienda stessa.
Tre Guggenheim felloships, esposizioni al MOMA, la creazione di monografie a lui dedicate, tutto ciò lo spinge a lasciare il proprio lavoro, e di dedicarsi a tempo pieno alla fotografia, con una missione prefissata: documentare gli abusi sul lavoro, raccontare quanto l'industria moderna sia capace di vessare i propri dipendenti, combattere questa situazione rendendola evidente al grande pubblico.
Ma i momenti di gloria finiscono rapidamente, ed è Hare stesso a seminare discordia, quando comincia a rifiutare esposizioni finanziate dai grandi colossi dell'economia e dell'industria, a lottare contro la predisposizione dei curatori delle mostre a etichettare i suoi lavori come opere d'arte.
I suoi lavori lasceranno così i grandi luoghi di esposizione, con soddisfazione dell'autore stesso - ovviamente - ma la sua attività di fotografo non cesserà sicuramente per questo. Tutt'altro... Ad Hare viene proposta una cattedra per insegnare fotografia a Berkeley (n.d.r. Se non ricordo male...), ma il carattere dell'uomo non riuscirà a dominarsi, andrà fuori dagli schemi, continuerà la propria battaglia anche all'interno degli atenei, e attirerà su di sé ogni tipo di critica e ammonimento... Finché non vedrà insegnanti più giovani e con meno esperienza fare carriera, mentre lui fermo ai suoi corsi di breve durata. Il carattere bellicoso metterà in moto di nuovo il fotografo, che lascerà quel tipo di attività per riprendere la sua guerra fotografica, esponendo a proprie spese, pubblicando monografie di denuncia, senza mai arrenders... Ma sto raccontandovi proprio tutto, e non è certo giusto!
Sappiate solo che abbandonerà anche la fotografia, e dedicherà la propria vita ad aiutare i lavoratori in difficoltà. I suoi lavori saranno affidati alla Brancroft Library della California University con un impegno ferreo per cui:
"Se per qualche motivo una mia fotografia deve essere prestata o esibita, dovrà essere accompagnata da un testo che specifichi chiaramente il divieto del suo uso come oggetto d'arte”.
Che personaggio incredibile, eh? Ma erano anche anni davvero effervescenti, quelli, soprattutto negli USA, per cui è comprensibile che un uomo così complesso, un'artista così impegnato, abbia fatto scelte così drastiche e potenti nella sua vita, pur penalizzando sé stesso. Oggi sarebbe molto più difficile mostrare una forza e una energia guerrafondaia come quella, per lo meno, sarebbe molto difficile, nonostante determinate scelte, giungere in fondo alla propria esistenza consapevoli di essere riusciti a lottare, a emergere, a mostrare sé stessi e le proprie convinzioni, e a lasciare il segno.