Bambinaia, anonima, appassionata d'arte, di politica, di fotografia. Vivian Maier è una di quelle donne che passava inosservata, se non per il fatto che vestiva in modo austero, e andava sempre in giro con una fotocamera al collo. Era una donna decisa, forte, con principi elevati, al punto da portare nei bassifondi, ogni tanto, i bambini che accudiva, così che potessero comprendere che erano dei privilegiati, che al mondo c'era chi soffriva, e che la vita non era tutta rose e fiori come poteva sembrare per una famiglia altolocata.
Vivian Maier ha lasciato al mondo uno di quei box che si vedono nelle trasmissioni in stile Affari al Buio. All'interno era contenuta tutta la sua vita. Giornali, ritagli di riviste, qualche ricordo delle sue esperienze, e più di centomila rullini da sviluppare, e tantissime foto sviluppate, e tantissimi negativi. I suoi averi sono stati acquistati in questo modo, a un'asta, per poche centinaia di dollari. Non ci è voluto molto per comprendere il valore di quelle foto... Per quanto un pochetto ci sia voluto.
Da amante della fotografia, della Street Photography, Vivian Maier non poteva sfuggire alla mia attenzione. Il motivo principale di questa mia attrazione per la fotografa bambinaia è che lei era fatta come me. Fotografava senza un progetto, senza un obbiettivo (n.d.r. Nel senso di un traguardo da raggiungere, non di un obbiettivo fotografico). Era attratta dalla vita, dalle persone, da ciò che le accadeva attorno. Le sue foto ritraggono New York, nel periodo in cui ci visse, e Chicago, dove passò quasi tutta la sua esistenza. Ci sono le foto delle vacanze, al Cairo, in pochi altri luoghi, e le foto del suo paese natale, la Francia.
La Maier stravedeva per la gente, le strade, la vita, le città. Scattava foto a raffica, poco importava se i soggetti la guardavano male, o si lamentavano per essere stati fotografati. Immortalava dettagli di una vetrina, di un palazzo, di un idrante. Immortalava fotografi che scattavano a loro volta foto a persone, o a soggetti. E si faceva parecchi autoritratti, spesso riflessa da qualche superficie metallica, o da uno specchio, o da una vetrina.
Non era una fotografa professionista. Le sue foto sono piene degli errori tipici dei fotografi principianti. Quello più frequente era l'ombra di sé stessa proiettata nel fotogramma. C'è chi dice che fosse voluto, che lei volesse apparire in un modo o nell'altro nei suoi scatti, perché del resto le inquadrature, i soggetti, ogni dettaglio delle sue foto, anche quelle mosse, sembrano pensate, sembrano frutto di una fotografa che sa il fatto suo.
Le foto della Maier possono piacere o non piacere, ma mai sono banali. Si nota la passione, l'attenzione, e il desiderio di raccontare la vita. Non sono scatti fatti a caso, c'è amore, in quelle foto. Un amore intimo, assoluto, e lo dimostra il fatto che pochi abbiano visto le sue foto quando era in vita, solo gli amici stretti hanno potuto godere di questa anteprima. Lei non cercava la fama, per quanto vivesse in un periodo in cui la fotografia era la massima arte, e gli Stati Uniti erano disseminati di talent scout in cerca di fotografi di qualità. Soprattutto, Chicago era la fucina di questo nuovo mondo; in questa città si erano radunati i maggiori esponenti della fotografia americana, le sue gallerie d'arte proponevano mostre fotografiche senza sosta. E' probabilmente per questo che la Maier si trasferì in questa città lasciando New York. Per essere più vicina al fulcro della fotografia, per respirare l'aria in fermento di una città aperta all'arte, e soprattutto alla sua passione, la fotografia.
Morta nel 2009, forse Vivian Maier è l'ultima delle fotografe di un'epoca ormai scomparsa. Il mondo di oggi non vede più la fotografia come il rapporto intimo tra il fotografo e la sua macchina. I social, Instagram, Facebook, i dispositivi mobili... Nel mondo di oggi la fotografia è diventato un mezzo per dire 'io esisto', per raccontare sé stessi, per alimentare il nostro ego. La fotografia intesa dalla Maier era qualcosa di diverso, che raccontava il mondo attorno alla fotografa. Era una questione intima, non esplicita. Forse è un bene che questa donna, che la sua arte, sia stata scoperta postuma... Non sono sicuro che Vivian Maier avrebbe apprezzato il clamore improvviso attorno alla sua opera, e la fama.
Il libro è stupendo. Una prima parte è narrata. Si racconta la vita della Maier per quel poco che si conosce. Si racconta com'è stata scoperta, le difficoltà avute per comprendere chi fosse l'autrice degli scatti, e per ricostruire la sua storia. Ci sono molte testimonianze, di chi la conosceva, di chi la frequentava. Un testo toccante e affascinante. La seconda parte del libro è esclusivamente fotografica, com'è giusto che sia. Ve lo consiglio.
E vi consiglio
la mostra fotografica a Milano. Durerà fino al 31 gennaio. Non so se riuscirò ad andarci, ma spero proprio di sì, perché... Non so, mi sento molto vicino al suo modo di fare fotografie, e vorrei - anche se in modo astratto - conoscere meglio questa donna, fotografa, bambinaia.
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About the Author
Glauco Silvestri /
Author & Editor
Vivo a Bologna. Vivo per le mie passioni. Scrivo, leggo, amo camminare. Adoro il cinema, amo tantissimo le montagne. Sono cresciuto a suon di cartoni di Go Nagai e Miyazaki.
Mi guadagno da vivere grazie all'elettronica. Lavoro nella domotica, e nell'illuminazione d'emergenza, per una grossa azienda italiana. Ci occupiamo di sicurezza, salute, emergenza... ma anche di energia pulita. Il mio sogno sarebbe vivere grazie ai miei libri, ai miei disegni, alle mie fotografie... Ma onestamente, suppongo di essere più bravo nel mio attuale lavoro. Ciò non significa che io rinunci a provare, tutt'altro, faccio di tutto per migliorare, crescere, ottenere il meglio che posso nei miei lavori, che siano racconti, digital painting, fotografie...
Ovviamente, oltre a ciò, sono anche un blogger, ma se state leggendo questa breve nota, vuol dire che già lo sapete.
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